Vivere in Thailandia tra pregi e difetti: la storia di Carlo expat dal 1993

Ha lasciato l’Italia nel lontano 1993, subito dopo la laurea, deluso dall’immobilismo del sistema Italia e in cerca di meritocrazia. Carlo Gardella dopo aver girato molto tra Asia ed Europa, dal 2012 vive stabilmente a Bangkok. Qui ha fondato la sua società, la AdvisingAsia, con cui aiuta aziende e privati ad entrare nei mercati del Sud-Est asiatico.

La vita in Thailandia? Non è tutta rosa e fiori. «Il costo della vita è aumentato tanto negli ultimi anni e i thailandesi non sono esattamente ospitali nei confronti degli expat – racconta -. In compenso è un Paese giovane, economicamente vivace e in cui il “fare adesso” diventa ancora possibile!». Ecco la sua storia.

Di Enza Petruzziello

Carlo Gardella

Expat di lungo corso, Carlo Gardella 54 anni originario di Stradella, piccolo comune della provincia di Pavia, vive e lavora stabilmente a Bangkok, in Thailandia, dal 2012.

Lascia l’Italia nel 1993, a soli 24 anni, pochi mesi dopo aver conseguito la laurea a pieni voti in Scienze Politiche. Parte nonostante il disappunto iniziale dei suoi genitori che avrebbero voluto che il loro unico figlio diventasse avvocato o ingegnere, senza nemmeno immaginare che si sarebbe “ricollocato” in Asia a 8000 km dal ridente paesello che lo ha visto crescere.

Dopo aver girato il mondo per lavoro, muovendosi tra Asia ed Europa, Carlo trova la sua dimensione nella capitale thailandese. Apre una sua società, la AdvisingAsia con cui aiuta aziende e privati ad entrare e a crescere nei mercati del Sud-Est asiatico. Ha una bellissima moglie e due splendide figlie, Martina e Sara, rispettivamente di 14 e 15 anni. Ecco cosa ci ha raccontato.

Carlo, quando sei andato via eri molto giovane, avevi solo 24 anni e ti eri appena laureato in Scienze Politiche. Perché hai deciso di lasciare l’Italia?

«Me ne sono andato spinto dal desiderio di esplorare Paesi nuovi, culture diverse, ma soprattutto per lavorare in Paesi in forte via di sviluppo, in grado di offrire reali opportunità meritocratiche a chi avesse veramente avuto il coraggio di mettersi totalmente in gioco. Sono partito deluso dall’immobilismo del sistema Italia, coincidente con la fine della prima Repubblica e la penosa stagione di “Mani Pulite” che mise irrimediabilmente a nudo le carenze croniche dell’Italia, Paese che amavo, ma che dal quale sentivo fortemente di dovermi staccare».

Come mai la scelta è ricaduta proprio sulla Thailandia?

«In realtà feci il primo viaggio in Thailandia nel 1988 per caso, accompagnando un amico di mio padre che intendeva importare mobili in teak. Non essendo in grado di parlare in Inglese, mi offrì il viaggio in cambio della mia collaborazione come interprete. Con Bangkok fu un immediato colpo di fulmine, vuoi per la giovane età, ma anche per quel fervore che solo le città in rapidissima crescita sono in grado di dimostrare. Cinque anni dopo ritornai in Thailandia e dopo alcune peripezie trovai lavoro presso una società italo – thailandese nel settore dell’imballaggio flessibile. Dopo poco più di 2 anni di lavoro in fabbrica durante i quali ebbi modo di comprendere il processo produttivo, mi fu data l’opportunità di trasferirmi a Manila nelle Filippine presso la loro filiale in qualità di General Manager. In quel momento sentii di avercela fatta. Avevo vinto la sfida».

Che esperienza è stata quella di Manila?

«Fu una esperienza formativa durata due anni, come si direbbe oggi in Inglese, una sorta di “sink or swim situation”, nella quale riuscii ad accrescere la mia esperienza manageriale e la fiducia nei miei mezzi che mi permise di prendermi le prime vere soddisfazioni in ambito lavorativo. Li posso considerare i mie anni magici».

Dopo sei tornato in Italia, quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a rientrare?

«A causa della improvvisa malattia di entrambi i genitori (mio padre aveva 49 anni quando sono nato), e spinto anche dalla voglia di provare una vera esperienza lavorativa in Italia, sono rientrato trovando lavoro come Area Manager Italia per la nota multinazionale Americana Caterpillar. Questi cinque anni in Italia mi hanno dato l’opportunità di visitare tutte le regioni del Belpaese: da Bolzano a Palermo, da Torino a Venezia, ho avuto la possibilità finalmente di fare una bellissima e formativa esperienza , riuscendo al contempo ad essere vicino ai miei genitori durante gli ultimi anni della loro vita. Ma il “mal d’Asia” mi perseguitava, e dopo la prematura scomparsa di entrambi i genitori (nel 2003 e nel 2005), pensai che sarebbe stata una buona idea tornare in quei paesi che tanto mi avevano dato anni prima. Feci così domanda e anche forte della mia esperienza nell’area ASEAN, fui assunto da Iveco Spa in qualità di General Manager ASEAN responsabile dell’area e di due uffici: quello di Bangkok e quello di Ho Chi Minh. Nell’aprile 2005 rimettevo così trionfalmente piede a Bangkok insieme al mio gatto certosino, Cicciuzzo».

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Poi cosa è successo?

«In seguito ho conosciuto mia moglie (Thai – Cinese) che ora lavora con me, dalla quale ho avuto due splendide bambine, Martina e Sara, che hanno oggi rispettivamente 14 e 15 anni. Sempre per Iveco ho lavorato per 1 anno a Jakarta, aprendo il terzo ufficio dell’area, ed in seguito sono stato promosso e mandato in Cina, prima a Shanghai e poi a Nanchino per seguire le negoziazioni con l’azienda cinese SAIC per la implementazione di una joint venture produttiva».

Carlo Gardella

Con la crisi globale del 2008 vieni richiamato in Europa, a Lione, e poi a Mumbai, in India. Che esperienze sono state?

«Esatto, a Lione sono rimasto due anni sempre per Iveco come Sales & Marketing Director per Africa e Middle East, sempre in viaggio tra Dubai, Il Cairo ed altre interessanti destinazioni. In seguito poi ho avuto l’occasione di fare una nuova esperienza, questa volta come Amministratore Delegato in India a Mumbai, incaricato di gestire la negoziazione di una JV produttiva per conto di Landi Renzo Spa. È stata un’esperienza fantastica in un Paese affascinante ma anche complicato come l’India, che malgrado tutto, non ritenevo essere il luogo adatto per crescere le mie figlie. Dopo due anni alla fine del 2012, decidemmo quindi di tornare in Thailandia dove ho aperto la mia società di consulenza aziendale (www.advisingasia.org) e divenni in seguito co-fondatore ed azionista di una società che si occupa di verniciatura industriale (tra i nostri clienti: Ducati Spa) www.bianchithailand.com».

Dal 2012, quindi, vivi e lavori a Bangkok. Come si vive qui?

«È una domanda complicata e la risposta dipende molto dalla personalità di ognuno di noi. A Bangkok si può vivere molto bene ed avere una qualità della vita molto buona. Nel mio caso abitiamo nella zona centralissima della città a poche centinaia di metri dalla fermata della metropolitana Prong Pong. Si tratta di una “expat bubble”, dove vivono molti stranieri provenienti da vari Paesi. Il costo della vita è molto aumentato negli ultimi 5-6 anni specialmente se si vuole vivere all’europea mangiando cibi importati. Per fare un esempio una pizza Margherita in un ristorante del centro costa 7-8 euro. I servizi in centro da noi sono buoni, la metropolitana è molto efficiente e non mancano taxi e mototaxi a prezzi molto bassi rispetto all’Europa. La sanità pubblica è sotto-finanziata, pertanto i tempi di attesa sono molto lunghi e la qualità del servizio (salvo rare occasioni) non è delle migliori. Come famiglia ci serviamo di ospedali privati essendo in possesso di una assicurazione medica di prima classe. La Thailandia, e Bangkok nella fattispecie, sono generalmente molto sicure e soprattutto non c’è quasi mai la percezione di pericolo, anche camminando di notte».

Sei arrivato per la prima volta in Thailandia nel 1988. Come era il Paese quando sei arrivato? È stato difficile ambientarti?

«Come ho detto, fu un vero e proprio colpo di fulmine. Mi colpì molto la gentilezza delle persone e il clima generale di fervore che si respirava in un Paese che stava crescendo moltissimo e in tempi molto rapidi. Non fu molto difficile ambientarmi, anche perché si trattava di vincere una scommessa con me stesso, dimostrando comunque di potercela fare. Con questa mentalità positiva si possono superare molte difficoltà che spesso dal “divano di casa”, sembrano insormontabili».

Com’è stato crescere le tue figlie in giro per il mondo? E com’è crescerle oggi in Thailandia, sia per quanto riguarda il sistema scolastico che la propria vita personale?

«Martina e Sara sono naturalmente italiane, ma anche cittadine del mondo, avendo alla loro giovane età già vissuto in 3-4 Paesi diversi. Questo le ha portate a sviluppare una mentalità molto “politically correct” e di apertura al mondo. Per chi vive in Asia con figli in età scolare, l’istruzione per questi ultimi può rappresentare un ostacolo, soprattutto in relazione ai costi delle scuole private che possono essere anche molto elevati (si può arrivare a 10-20 mila euro l’anno). Non è a mio avviso pensabile mandare figli nelle scuole pubbliche thailandesi, anche perché il livello offerto nella stragrande maggioranza dei casi è molto basso con insegnanti mal pagati e non motivati. Le mie figlie frequentano un scuola privata con curriculum in inglese e si possono considerare madrelingua a tutti gli effetti».

Dal punto di vista burocratico quali sono i passaggi da compiere per vivere in Thailandia?

«Dal 2014,anno in cui ci fu l’ultimo colpo di Stato (ce ne sono stati 13 dal 1932) che ha portato al potere l’attuale giunta militare, le cose si sono un pochino complicate per gli stranieri. L’enfasi nazionalista tipica di questi regimi, intrisa di populismo e becera retorica, spesso porta a considerare i non thailandesi in modo un po’ ambiguo. All’atto pratico significa maggiore burocrazia e tempi più lunghi per ottenere i vari permessi. È necessario fare una precisazione: il solo visto consente alla persona di rimanere legalmente nel Paese, ma non di lavorare. Esistono diverse tipologie di visto: da quello turistico della durata di 30 giorni fino a quello dato ai “pensionati” con almeno 50 anni di età, soggetto però a restrizioni e regolamentazioni specifiche.

Discorso diverso per il permesso di lavoro, che deve essere abbinato ad un visto ( normalmente chiamato NON-IMMIGRANT). Per ottenere il permesso di lavoro è necessario che lo straniero venga assunto da una società di diritto thailandese, la quale dovrà dimostrare di aver impiegato almeno 4 cittadini thailandesi. In pratica per ogni straniero impiegato, è obbligatorio assumere 4 thailandesi. Ci sono delle eccezioni per società che godono dei benefici del BOI (Board Of Investment), ma nella stragrande parte dei casi ci si deve regolare come appena detto».

Carlo Gardella

Cosa invece non ti piace della Thailandia?

«Diciamo che negli ultimi anni è diventata una società iper materialista, dove l’ostentazione e la ricerca di una facile ricchezza la fanno da padrone. L’integrazione è a volte difficile, almeno per me; gli stranieri si frequentano tra di loro ed è spesso difficoltoso intrattenere una vera amicizia disinteressata con i thailandesi, quando in passato invece era più facile. Spesso ci sopportano, pensando che comunque nella maggioranza dei casi portiamo lavoro e quindi benessere. Si è sviluppato negli anni uno sgradevole fenomeno di “dual pricing”: in molti parchi nazionali ed attrazioni turistiche l’ingresso per gli stranieri è anche 5 volte superiore a quello riservato ai thailandesi (scritto chiaramente in Thai e quindi non comprensibile dai turisti). In alcune spiagge militari ad esempio, io come bianco non posso entrare anche se pago le tasse, do lavoro a thailandesi e sono residente qui da molti anni, quando invece un turista cinese, solo per il suo aspetto “orientale”, entra senza problemi».

A proposito della tua attività, a Bangkok nel 2014 hai aperto la tua società di consulenza aziendale, la AdvisingAsia. Ti va di parlarcene? Di che cosa ti occupi, quali tipi di servizi offri ai clienti e chi si rivolge a te?

«Advising Asia, aiuta le imprese, perlopiù italiane, nel processo di internazionalizzazione verso i 10 Paesi del consesso ASEAN (Thailandia, Cambogia, Laos, Singapore, Le Filippine, Vietnam, Indonesia, Myammar, Malesia e Brunei). Tra i nostri servizi ci sono: ricerche di mercato, assistenza legale, creazione, implementazione e gestione di una rete commerciale, business development e ricerca fornitori, delocalizzazioni, digital marketing , temporary management, selezione del personale e gestione contabilità. I nostri clienti sono piccole e medie imprese, ma anche persone fisiche».

È stato difficile, economicamente e burocraticamente, aprire un’attività in Thailandia?

«Non particolarmente. I tempi per la costituzione di una società di diritto thailandese sono brevi e anche i costi accettabili. Come ho detto prima c’è un po’ di burocrazia da affrontare, ma nulla di particolare, specialmente se si viene seguiti da consulenti, cosa che consiglio sempre».

Ci sono degli aspetti di Bangkok a cui ancora oggi fai fatica ad abituarti? E quelli che ti piacciono di più?

«In primis c’è sicuramente il traffico caotico, seguito purtroppo dall’inquinamento che soprattutto nella stagione secca, a causa degli incendi indiscriminati, raggiunge spesso livelli elevati specialmente qui in città. Cerco quindi di guidare il meno possibile e quasi sempre solo per visitare clienti. Tra i lati positivi sicuramente il fatto che Bangkok è in realtà una città che si può vivere h24. C’è sempre vita a qualsiasi ora, se si sa dove andare».

Prima hai detto che in Thailandia gli stranieri si frequentano tra di loro, visto la scarsa apertura dei thailandesi nei confronti degli expat. A Bangkok ci sono italiani? Conosci qualcuno dei nostri connazionali e hai modo di frequentarli?

«In Thailandia credo ci siano circa 8-10 mila italiani sparsi in tutto il Paese. Conosco diversi connazionali: alcuni sono miei clienti, altri sono residenti da molti anni. Personalmente preferisco intrattenere rapporti con americani, scandinavi e tedeschi. Non frequento molto la comunità italiana. Dipende dalla tipologia di expat. Preferisco frequentare famiglie con bambini anche se spesso il traffico e le distanze tra punto A e punto B di questa enorme città, non sempre rendono facile incontrarsi».

Che cosa, secondo te, manca al nostro Paese che invece hai trovato in Thailandia?

«L’Italia, come ho detto all’inizio, è ancora e sempre più un paese vecchio, ingessato e con scarsa propensione per la meritocrazia. Un paese che si regge sulle rendite di posizione, su anacronistiche corporazioni e dove, specie a livello politico le competenze sono mediamente basse. Un paese che salvo rare eccezioni vive ancora grazie all’inerzia generata dal boom economico degli anni ‘60, ma che ha perso competitività in molti comparti strategici, specialmente nei settori più innovativi e nelle nuove tecnologie. La Thailandia, e con essa altri paesi del Sud Est Asiatico, si trova ancora a vivere in quel momento di crescita economica, in cui il “fare adesso” diventa ancora possibile».

Ci sono opportunità lavorative per i tanti giovani che vorrebbero trasferirsi qui? E che consigli daresti a chi come te sta pensando a un cambiamento radicale?

«Assolutamente sì. Qui ci sono opportunità di lavoro per giovani specialmente presso società straniere, purché posseggano delle competenze. Ad esempio nel settore IT (coding, programmazione etc) ma anche nella ristorazione (chef, pasticceri, etc) o nelle vendite (prodotti italiani, servizi vari). È anche fondamentale da subito iniziare a studiare la lingua del paese nel quale si sceglie di vivere. Nel caso della Thailandia questo può essere di grandissimo aiuto in ogni circostanza.

È importante altresì avere la necessaria determinazione. Consiglio a tutti prima di trasferirsi di passare 1 mese o più in “avanscoperta”, anche perché quello che magari a me può sembrare facile, può non esserlo per altri e viceversa. Una cosa mi sento di dire però: sfatiamo il mito, purtroppo ancora ricorrente che vuole che “con mille euro al mese in Thailandia vivo come un Re”. Forse 30 anni fa, ora sicuramente no».

Carlo Gardella thailandia

In tutti questi anni hai mai pensato di tornare stabilmente in Italia? Cosa ti manca ?

«Mai, stabilmente no. Rientro in Italia perlopiù per lavoro circa due volte l’anno. Dell’Italia mi manca l’aspetto culturale (mostre, teatro, musei,) che qui è praticamente inesistente, o comunque difficile da vivere appieno. Essendo un appassionato di motori, mi mancano tanto le strade panoramiche con molte curve e poco traffico che si possono facilmente trovare in ogni regione del Belpaese».

Ormai sei un expat da 30 anni. Come è cambiata la tua vita da quando abiti a Bangkok?

«Sicuramente l’esperienza lavorativa in vari Paesi e l’immersione in culture diverse, aiutano a sviluppare non solo competenze specifiche ma anche quelle “soft skills” che ti consentono di trattate con persone dalla mentalità molto diversa, uscendo da quella logica provinciale, purtroppo spesso presente in molti italiani che vanno all’estero. L’esperienza di vita e lavoro all’estero (anche temporanea), dovrebbe essere alla portata di tutti i giovani, che cosi facendo avrebbero la possibilità di guardare al di là della siepe, arricchendosi immensamente, evitando la sindrome da villaggio turistico, per la quale dopo 15 giorni in vacanza si pensa di aver compreso tutto di un paese».

Progetti per il futuro?

«Sono sempre alla ricerca di nuovi business e nuove opportunità di crescita. Essendo una persona “sposata al lavoro” questo è quello che veramente mi piacerebbe continuare a fare».

Per contattare Carlo Gardella ecco i suoi recapiti:

LinkedIn: https://www.linkedin.com/in/carlogardella/

Facebook: https://www.facebook.com/carlo.gardella?locale=it_IT

Sito web: www.advisingasia.org

Mail: carlo@advisingasia.com