Valentina: ammirando l’aurora boreale dalla finestra in Norvegia

A cura di Paola Grieco

Da quasi 10 anni Valentina Bernasconi vive nel nord Europa. Dopo la laurea in Biotecnologie Mediche, nel 2014 si è trasferita in Olanda e poi in Svezia. Nel 2019 arriva, infine, in Norvegia dove vive e lavora tutt’ora, con il marito svedese, la loro bimba di appena 3 mesi e il loro cane, un Basenji, razza originaria del Congo.

Tutti gli spostamenti di Valentina sono stati dettati da motivi di studio e lavoro. La sua occupazione principale è, da sempre, lo studio e la ricerca relativa a vaccini contro vari tipi di virus.

Nonostante il clima rigido, la qualità della vita nel grande Nord è, secondo Valentina, eccellente: “cara, sì, ma essere immersi nella natura norvegese, a pochi passi dalla città non ha prezzo, senza contare un raro privilegio, quello di vedere l’aurora boreale dal giardino di casa”.

Valentina Bernasconi

Ciao Valentina parlaci di te. Quanti anni hai, di dove sei. 

Ciao a tutti. Ho 34 anni e sono nata e cresciuta in un paesino alla periferia di Milano, dove ho frequentato il liceo scientifico. Ho frequentato il corso di laurea in Biotecnologie Mediche presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e 10 anni fa mi sono laureata con una tesi sperimentale su vettori virali ricombinanti esprimenti diverse proteine del virus dell’influenza da utilizzare come i vaccini antinfluenzali. Da allora il mio lavoro si focalizza sui vaccini antivirali. 

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Dopo la laurea hai fatto i tuoi primi passi all’estero, in Olanda. Come mai questa scelta? 

Nel 2014 mi sono trasferita a Leida, in Olanda, per lavorare per un’azienda che produce vaccini (chiamata Crucell allora, oggi parte di Johnson&Johnson); dopo la laurea trovare lavoro in Italia si è rivelato difficile, quindi ho seguito l’esempio di alcune mie colleghe che si erano trasferite lì e lavoravano nella stessa ditta. Dopo aver mandato il mio curriculum, ho ottenuto un colloquio e sono stata assunta. Mi piaceva l’idea di fare un’esperienza lavorativa in un’azienda: l’ambiente e le condizioni di lavoro sono molto diversi rispetto all’università.  

Cosa facevi esattamente in Olanda? 

Lavoravo come tecnico di laboratorio nel gruppo di “Generazione Vaccini”. Mi occupavo di testare la stabilità di vettori virali esprimenti proteine del virus Ebola. Tutti i miei colleghi erano molto giovani, spesso uscivamo assieme e durante tutta l’estate ho girato l’Olanda in lungo e in largo. Tutti parlavano inglese, quindi non ho mai avuto problemi con la lingua e, con mia sorpresa, anche aprire il mio primo conto in banca è risultato una passeggiata. Vivevo in una casetta di legno nel giardino di una famiglia olandese. Ancora oggi sono in contatto con loro! 

Com’è stato il primo impatto con l’Olanda? 

L’impatto con l’Olanda è stato molto positivo, ero davvero contenta di fare un’esperienza all’estero. Mi sono trasferita là all’inizio della primavera, quando i campi si riempiono di fiori e il clima diventa piacevole. Paesaggi veramente meravigliosi! Ovviamente, il giorno dopo essermi trasferita, ho comprato una bicicletta di seconda mano: un mezzo di trasporto essenziale in quel paese!

Dopo l’Olanda, la Svezia. Com’è avvenuto questo passaggio? Dove vivevi e di cosa ti occupavi allora?  

Ho vinto una borsa di studio Marie Curie per un dottorato in Immunologia e mi sono trasferita a Göteborg, dove ho vissuto per quasi 5 anni. Mi occupavo di testare varie formulazioni di vaccini a subunità contro il virus dell’influenza. In più, tenevo corsi pratici in laboratorio in materie biomediche per gli studenti universitari. 

Che differenze hai trovato tra l’Olanda e la Svezia? E che difficoltà hai dovuto affrontare? 

La gente in Svezia sembrava fredda e distaccata e ho fatto fatica a fare amicizia con i locali, per questo ho cercato una comunità di stranieri. La fortuna è proprio di essere capitata in un gruppo molto internazionale. Gli inverni svedesi sono lunghi, freddi e bui. L’esperienza di avere sei ore di luce in tutta una giornata è abbastanza destabilizzante.  

La lingua svedese non è una delle più facili da imparare, ho frequentato diversi corsi durante la mia permanenza e ancora oggi faccio fatica a esprimermi. L’inglese rimane sempre la mia “comfort zone”.

La difficoltà maggiore, però, è stata trovare casa: liste d’attesa di anni per avere un appartamento in città, affitti in nero con prezzi esorbitanti. Alla fine, dopo un anno, ho trovato casa con un contratto stabile, con l’aiuto di una collega che non finirò mai di ringraziare.

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A Göteborg ho anche conosciuto mio marito Jens, che è svedese, e ci siamo sposati nel 2020, solo pochi giorni prima dell’annuncio di una pandemia globale. 

Valentina Bernasconi

Approdi, infine, in Norvegia dove vivi attualmente con la tua famiglia. In quale città della Norvegia vivi ora e cosa fai in questa nuova tappa del tuo cammino, tanto importante non solo dal punto di vista professionale ma anche personale? 

Durante il dottorato ho conseguito un master in Salute Globale presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra. Questo mi ha aiutata a fare un “passo” fuori dal laboratorio e ad essere assunta a CEPI (Coalition for Epidemic Preparedeness Innovations, la Coalizione per le innovazioni nella preparazione alle epidemie – www.cepi.net) che ha la sua sede principale in Norvegia.  

CEPI è una fondazione che raccoglie donazioni da organizzazioni pubbliche e private per finanziare progetti di ricerca per sviluppare vaccini contro malattie virali emergenti e fare in modo che questi vaccini arrivino a chi davvero ne ha bisogno. I virus su cui ci concentriamo includono coronavirus (MERS-CoV e SARS-CoV-2), il virus Nipah e Lassa, Ebola e Marburg, il virus della febbre della Rift Valley, nonché il virus Chikungunya e l’ipotetico agente patogeno sconosciuto Malattia X.

Il mio ruolo consiste principalmente nel gestire una rete globale di laboratori clinici, uno dei quali si trova in Italia, più precisamente a Siena. Il nostro obiettivo principale è analizzare la risposta immunitaria prodotta dai diversi vaccini e accertarci della loro efficacia.

Mi sono trasferita a Oslo nel 2019 con mio marito e da allora vivo e lavoro in questa parte della Norvegia. Abbiamo comprato casa fuori città e da 3 anni abbiamo un cane, Rosso, un Basenji molto testardo e coccolone a cui non piace l’inverno norvegese e che ha anche un suo profilo Instagram (rosso_the_basenji).  

È necessario nell’ambito della ricerca mettere in conto una tappa all’estero più o meno lunga? Che consigli potresti dare a chi volesse seguire le tue orme? 

Secondo me sì, fa crescere sia a livello personale che lavorativo, e non solo nel mio campo. Trasferirmi all’estero ha dato sicuramente una svolta alla mia carriera. Per molti i vantaggi di lavorare all’estero sono collegati unicamente agli stipendi più elevati o alle migliori condizioni di vita. Tuttavia c’è molto di più.  

L’inizio di una nuova vita all’estero comporta di sicuro una serie di sfide: dalla ricerca di un alloggio alla risoluzione di varie questioni amministrative, fino a comprendere come pagare le bollette e muoversi col trasporto pubblico locale.  

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Una volta risolti i problemi iniziali, però, la soddisfazione di sapere che puoi farcela in un ambiente completamente diverso da quello a cui sei abituato accresce l’autostima. Inoltre, un trasferimento all’estero ti offre una nuova preziosa prospettiva: l’opportunità di conoscere la mentalità e l’approccio alla vita di altre culture aiuta a espandere e arricchire la tua visione del mondo, a definire i tuoi valori personali e migliorare il tuo livello di comunicazione.

Un’esperienza di lavoro internazionale sul CV non sarà mai fuori moda, in quanto sinonimo di adattabilità, motivazione e determinazione, tre competenze a cui i datori di lavoro attribuiscono grande importanza, ed è una grande opportunità per espandere la propria rete professionale.  

Il mio consiglio è: buttatevi, non abbiate paura! 

Sei da poco diventata mamma. Dicci com’è stato affrontare una gravidanza e la maternità all’estero? 

Il sistema sanitario norvegese è molto buono, è gestito a livello comunale ed è parzialmente gratuito. Le casse della sanità sono sovvenzionate dai cittadini attraverso le tasse trattenute dallo stipendio per l’85% e per il 15% dalla compartecipazione alla spesa dei pazienti. I servizi sono gratuiti per i bambini, gli adolescenti e le donne in gravidanza.  

Appena rimasta incinta sono stata affidata ad una “Jordmor”, un’ostetrica che mi ha monitorata regolarmente durante il corso della gravidanza. Non avendo avuto problemi di salute, non sono mai stata visitata da un ginecologo. Il mio medico di base è stato responsabile all’inizio della gravidanza di prescrivermi gli esami di routine. La procedura standard per le ecografie e controlli si possono riassumere brevemente: 8 appuntamenti di controllo incluso 1 screening ecografico durante la gravidanza (sì, una sola ecografia, attorno alla ventesima settimana!).

Inizialmente ero un po’ sconcertata, ma poi ho cominciato ad abituarmi all’idea di una gravidanza poco medicalizzata. Ho scoperto anche che, in caso di minimo dubbio, il personale medico non sarebbe stato restio a un’ecografia di controllo.

La Jordmor è anche responsabile di parlarti di parto, allattamento e maternità. E’ noto a molti che in Norvegia si punta molto al parto naturale (non è possibile fare un cesareo per scelta tranne che in rari casi) e all’allattamento esclusivo.  

L’ospedale alla quale sono stata affidata si trova a 15 minuti di macchina da casa nostra. Ad agosto di quest’anno, in una nottata di pioggia torrenziale, è nata nostra figlia Isabel. Dopo 3 giorni, eravamo già tutti a casa. 

Il congedo parentale in Norvegia è pagato al 100% per 49 settimane (oppure all’80% per 59 settimane). Ci sono delle settimane dedicate alla mamma, altre all’altro genitore, e le restanti settimane da dividere tra i due.  

Anche la crescita del bambino è poco medicalizzata. Tutti i controlli nelle settimane e mesi successivi alla nascita avvengono alla “Helsestasjon”, il centro di salute di quartiere, dove viene assegnata una puericultrice che viene anche a domicilio per la prima visita. La Helsestasjon crea anche gruppi di neo-mamme con cui ci si può incontrare per confrontarsi e supportarsi nei mesi di congedo. In caso di malattia i bimbi vanno semplicemente dal medico di famiglia. 

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Fortunatamente la mia gravidanza è stata senza problemi e Isabel è nata sana e forte. Sono contenta della mia esperienza all’interno del sistema norvegese ma non nego che ci sono stati dei momenti in cui avrei desiderato essere in un ambiente a me più familiare. Non ho esperienza diretta di come gravidanza e maternità siano affrontate in Italia, ma probabilmente molte lettrici troveranno l’approccio norvegese molto diverso da quello italiano.  

Torni spesso in Italia? Nel tuo futuro vedi un eventuale trasferimento per te e la tua famiglia? 

Faccio del mio meglio per tornare in Italia regolarmente, i miei genitori e mio nonno (96 anni) vivono lì. In passato rientravo almeno 4 volte all’anno, per le vacanze. Ora organizzarsi con marito, cane e bimba è un po’ più difficile ma ce la mettiamo tutta. Un paio di anni fa abbiamo anche comprato un piccolo camper e viaggiamo regolarmente dalla Norvegia all’Italia guidando. Devo dire che è un modo molto divertente per tornare a casa e ci dà la possibilità di visitare diversi paesi sul percorso e di andare a trovare amici che nel corso degli anni si sono sparpagliati per l’Europa.

Non vedo l’ora di fare il nostro primo viaggio con Isabel, sono sicura che i nonni italiani non stanno più nella pelle all’idea di conoscerla! 

Spero un giorno di rientrare in Italia stabilmente, anche se non sarà una cosa facile, specialmente per Jens che non parla l’italiano.  Sono molto contenta di dove sono arrivata dal punto di vista professionale, della mia carriera e della mia vita in Norvegia. Ma mancano l’Italia e la mia famiglia d’origine e non smetto mai di pensare al fatto che i miei genitori, invecchiando, avranno bisogno di me e che vorrei che Isabel potesse crescere vicino ai nonni.

Vivere all’estero è eccitante, divertente, appagante ma la nota dolente è il fatto di essere sempre e comunque lontani dai luoghi dove sei cresciuto e soprattutto dalle persone che ti legano alla tua terra d’origine.