Italiani in Asia: la storia di Andrea

Sembrerà strano iniziare il racconto della mia esperienza partendo da un dato statistico della Farnesina ma talvolta il senso di solitudine che circonda noi expat può essere mitigato scoprendo che non si è soli.

Faccio appunto parte di quello 0,8% d’italiani che nel decidere di vivere all’estero ha scelto l’Asia, più precisamente la Tailandia.

Sono approdato in questo paese quasi per sbaglio, come scherzo di un destino beffardo che mi aveva strappato dalle mani quello su cui avevo investito per oltre 10 anni.

Stanco da tempo della situazione che vivevo quotidianamente, al rientro da una breve vacanza la decisione di ritornare a Bangkok, accettando la proposta folle di lavorare in un settore a me del tutto sconosciuto, abbandonando familiari e amici, casa e lavoro.

Imbarcarmi a Fiumicino con davanti la prospettiva di un viaggio ben più lungo di una semplice vacanza è probabilmente stata la cosa più difficile. Per molti italiani il taglio del cordone ombelicale che li lega alle loro famiglie di origine non avviene mai.

Sono trascorsi oltre 2 anni dal quel primo imbarco da expat ma il ricordo è tuttora vivo nella mia memoria. Come vivo è il caldo afoso che mi avvolse scendendo dal taxi che dall’aeroporto mi aveva condotto alla mia dimora temporanea, un caldo che non avevo sentito così opprimente la prima volta che ero arrivato in questa megametropoli come semplice turista.

Ma il senso di solitudine e di inquietudine iniziale lasciò ben presto spazio alla mia innata curiosità, consentendomi così di aprirmi a questo nuovo mondo.

La Tailandia è un paese affascinante sotto tutti i punti di vista e i motivi che spingono i milioni di stranieri che vi risiedono sono i più svariati, dalla bellezza delle sue spiagge, al suo clima tipicamente tropicale, dal fascino ancora intatto di un oriente che ha saputo mantenersi al passo con i tempi, al ritmo di vita decisamente più rilassato rispetto a quello dei paesi occidentali.

Nel mio caso il motivo per cui mi trovo ancora qui è essenzialmente legato alla gente e alla cultura.

Sono fiero di essere uno dei portavoce dell’italianità in questo paese avendo la possibilità di trasmettere alle nuove generazioni una cultura che per molti aspetti è simile alla loro. Insegnando presso la Reale Università di Chulalongkorn sono a costante contatto con tailandesi ed in poco tempo ho imparato davvero molto su questo paese e questa gente! Come gli italiani anche i tailandesi sono molto attaccati alle loro origini e alla loro terra; il cibo rappresenta una costante fonte di conversazione; il lavoro è importante ma la famiglia lo è di più; il senso genuino di ospitalità è tuttora vivo, soprattutto nei piccoli centri.

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Ma trasferirsi a vivere e lavorare in Tailandia non è poi così facile per un italiano. La fortuna e la determinazione giocano nella vita un ruolo fondamentale e l’una non può fare a meno dell’altra.

Nel mio caso le giuste conoscenze e una grande sfrontatezza hanno accelerato il tutto: in poco tempo avevo un visto di soggiorno (inizialmente come studente tramutato poi in Non-B Visa e infine come Visto da lavoratore, la burocrazia qui non è poi tanto diversa dalla nostra), un lavoro che mi consentisse da subito l’auto sostentamento, un biglietto aereo A/R (acquistare un biglietto di sola andata spesso non è economicamente conveniente e comunque praticamente impossibile anche se si parte dall’Italia con il visto in regola) e una camera d’hotel su Silom Road non lontano dallo Skytrain.

Noi italiani siamo stranieri di seconda classe: gli “anglofoni” qui trovano lavoro con estrema facilità, se non altro come insegnanti nelle infinite scuole private, mentre per tutti gli altri la ricerca può essere faticosa e competitiva.

Per di più la comunità italiana a Bangkok è numerosa ma quasi completamente sconnessa.

Dopo poco tempo dal mio arrivo mi sono reso conto che questo paese è davvero eccezionale (Amazing Thailand è uno degli “slogan” più noti per la Tailandia) e la sua gente è solitamente ospitale e cortese, evita i confronti diretti e, nonostante la diffusa povertà, è onesta.

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La mia cerchia di amici si è allargata rapidamente. Grazie al confronto con questa nuova cultura ho ricominciato a crescere scoprendo che anche a 40 anni ci si può sentire vivi e desiderosi di imparare e scoprire.

Non faccio la vita del turista (quando parlo con gli amici in Italia tramite skype mi domandano sempre perché non sono abbronzato), guadagno meno di quanto solitamente guadagni un expat (solitamente chi viene reclutato direttamente dal paese di origine ha uno stipendio e dei benefit notevoli), non frequento italiani (se non gli altri che insegnano all’Università e il proprietario di una pizzeria stile Trastevere) e non mi aspetto di diventare ricco vivendo qui ma di certo ho riacquistato la gioia di godere delle piccole cose, ho rivalutato la qualità del tempo che posso trascorrere (al telefono, in chat, in videochiamata o dal vero) con i parenti e gli amici che ho lasciato a oltre 8000 km da qui e ho imparato che il rispetto di chi ci circonda va ben oltre le differenze di razza, sesso, orientamento sessuale e opinioni politiche… ditemi voi se questo è poco!

Andrea