Marta: la Thailandia mi è rimasta nel cuore

Marta Polettini, una ragazza con il sorrisone stampato in volto e gli occhi vivaci, si presenta sempre in jeans, t-shirt e scarpe da ginnastica. È proprio la persona che ti aspetteresti di vedere con uno zaino in spalla pronta a partire per una qualche meta lontana, senza paura.

E infatti a giugno dell’anno scorso è partita nientepopodimenoché per la Thailandia! Uno scambio culturale di 6 mesi che, a soli 17 anni, l’ha segnata profondamente.

 

studiare in thailandia studio

Come ti è venuto in mente di andartene addirittura in Thailandia?!

Avevo sentito di una mia amica che aveva trascorso dei mesi di scuola in un altro Paese e l’esperienza le era piaciuta moltissimo. Io stessa ci pensavo già da un po’, allora ho iniziato ad informarmi.

Inizialmente pensavo di andare in un paese anglofono, poi invece ho partecipato agli incontri dell’associazione cui mi ero rivolta dove sottolineavano spesso l’importanza di un’esperienza interculturale più che di un semplice corso di lingua, nel mio caso un corso che alla fine avrebbe semplicemente migliorato la padronanza dell’inglese.

Dovevo fare una lista di dieci Paesi in cui mi sarebbe piaciuto andare, e a dir la verità non ci ho pensato troppo ai nomi che ho messo. In realtà non avevo nemmeno tante possibilità di scelta tra i Paesi da selezionare, e la Thailandia mi sembrava quella più particolare, quella più distante sia dal punto di vista geografico che culturale.

La mia prima opzione era la Finlandia perché i miei preferivano qualcosa di più “occidentale”, ma meno male mi hanno mandata in Thailandia, che era la mia opzione numero due. È stata la cosa migliore, perché mi ha dato la possibilità di vivere qualcosa di diverso e alternativo.

Ho dovuto superare delle selezioni che consistevano in test di lingua inglese e di psicologia, che valutavano quanto fossi pronto per partire, dopodiché ho fatto un paio di incontri che spiegavano a cosa vai in contro quando ti trasferisci in un Paese che non conosci. Gli incontri comunque erano molto generali perché vi partecipavano tutti i ragazzi assieme, non potevano soffermarsi su un Paese piuttosto che su un altro.

Poi il Fez Tailandia mi ha spedito per posta dei fascicoli, tutti in inglese, che contenevano delle direttive per esempio sul codice comportamentale, l’insieme delle cose utili da portare, o le cose sulle quali bisognava stare attenti…

Per esempio su cosa ti hanno messo in guardia?

Innanzitutto se sei straniero è facile che cerchino di alzarti i prezzi. Inoltre il codice comportamentale, oltre che decisamente particolare agli occhi di un europeo, è molto rigido e preciso. Bisogna assolutamente osservarlo per non avere problemi.

Ad esempio bisogna salutare compiendo un gesto che si chiama Wi: bisogna unire le palme delle mani e posizionarle davanti al viso, a diversi livelli a seconda dell’importanza della persona che saluti. Se saluti un professore devi tenerle alte, più o meno a livello degli occhi, se saluti il Buddha devi posizionarle a livello delle sopracciglia. Ci sono tanti livelli, ed è davvero meglio non scordarsi di farlo!

Altri gesti che è meglio evitare o è meglio fare?

Non si può accavallare le gambe! Il piede è considerata la parte più impura del corpo e in effetti se ci fai caso accavallando le gambe si punta il piede verso qualcuno: questo gesto viene considerato addirittura alla stregua di un insulto.

Sono cose che non ti aspetteresti mai. Io le avevo lette prima di partire ma avevo pensato che fossero usanze che vivevano solo nelle campagne, in ambienti legati alla tradizione, invece dovunque tu vada devi fare molta attenzione a come ti siedi.

Come avevi pensato di organizzarti con la scuola?

Non ci ho pensato più di tanto. Avevo in mente di partire già da tempo, quindi mi sono detta che era meglio provare, poi “come va, va”. Inoltre non ho mai sentito di nessuno che torna da uno scambio e viene bocciato. Una cosa interessante che ho notato è che una volta tornata a casa sono migliorata in determinate materie, come ad esempio matematica, nonostante non studi più di prima. Penso sia dovuto al fatto che quando vai a scuola in un altro Paese inizi a studiare compiendo dei processi mentali diversi perché diversa è la lingua. Ti devi arrangiare e lo sforzo ti apre la mente, acquisisci meccanismi diversi e così alleni il cervello a diventare più rapido ed elastico.

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Com’è stato il primo impatto?

Il primo impatto ce l’hai proprio quando scendi dall’aereo: ti sembra di attraversare un muro di umidità. In Thailandia fa sempre caldissimo, nonostante io non sia stata là nella stagione calda per mia fortuna. È tutto diverso in quel Paese. I thailandesi sono molto amichevoli e non a caso la Thailandia viene chiamata La Terra del Sorriso. Sono tutti sorridenti ma allo stesso tempo sono anche molto distaccati: c’è pochissimo contatto fisico, anche tra amici non ci si abbraccia mai e non ci si bacia mai.

La tua famiglia com’era?

Sono stata in due famiglie diverse, perché non mi trovavo benissimo con la mia prima famiglia e allora chiesi di cambiarla. Viveva in città in una grande villa. Avevo una “sorella” di un anno in meno di me e non ci andavo troppo d’accordo. Era una di quelle ragazzine tutte affettate e zuccherose, che si circondano di leziosissime cose rosa… non era il mio tipo, io non sono decisamente così. La seconda famiglia invece viveva nella più sperduta campagna.

Com’è la campagna thailandese?

È una distesa di palme e banani e ananas… la frutta in Thailandia è buonissima!

La vita in campagna?

La mia famiglia aveva la cucina rotta in quel periodo, e allora cucinavamo in giardino in un fornelletto a gas, e sempre in giardino si dovevano lavare i piatti, sedendosi davanti ad un rubinetto che scaricava l’acqua direttamente per terra. Di certo la famiglia era agiata, una figlia studia in Germania e un’altra in America, ma la vita era questa.

Mio cugino adottivo poi andava a lavorare nei campi tutti i fine settimana e se in casa c’era qualcosa da fare, come lavare la verdura e cose simili, allora davamo tutti quanti una mano. Forse se fossi arrivata subito in questa famiglia, in campagna, mi sarei sentita un po’ a disagio, ma essendo in Thailandia già da qualche mese e avendo già fatto delle esperienze particolari, non sono rimasta particolarmente traumatizzata.

Inoltre nella mia prima famiglia non mi lasciavano fare nulla, non mi lasciavano nemmeno apparecchiare o mettere a posto e quindi mi sentivo un po’ tagliata fuori, invece il clima che si respirava nella seconda famiglia era completamente diverso, era la mia madre adottiva che mi esortava ad aiutarla in cucina.

Prima hai vissuto a Chonburi, a est di Bangkok, e poi a Ratchaburi: come mai hai cambiato città?

L’ho chiesto io perché sapevo che a Ratchaburi avevano un centro dell’associazione con la quale sono partita che, diciamo, funzionava un po’ meglio. Inoltre Chonburi non è il massimo: è una meta di turismo sessuale.

E si percepiva questa realtà?

Non troppo, ma era comunque pieno di turisti occidentali, e questo tra l’altro determinava un rapporto un po’ distorto dei thailandesi con gli occidentali, che venivano visti in un certo modo, non certo lusinghiero. Invece Ratchaburi si trova in una regione che non è frequentata da turisti, e questo fa sì che ci sia un altro rapporto con gli stranieri: siamo diversissimi da loro, anche e soprattutto fisicamente, quindi ogni volta che vedono un occidentale strabuzzano gli occhi e sembra abbiano appena visto un alieno!

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Com’è stato cercare di inserirsi nella società e nella loro cultura?

Imparare il codice comportamentale e tutto l’insieme delle loro abitudini non è troppo difficile, dopo un po’ ti entra in mente. Cosa strana ma vera, è più difficile riadattarsi quando si torna. In Thailandia infatti impari tutta una serie di cose da fare e di comportamenti da tenere e poi quando torni scopri che queste cose non servono a niente.

O meglio, perdono di significato. Per esempio, appena tornata la mia posizione da seduta era perfettamente rigida con le mani appoggiate sulle ginocchia. Oppure non gesticolavo più perché là non si usa e anzi viene considerato maleducato. Stesso discorso addirittura per la lingua. Il Thailandese è basato sui toni, cosa che per un occidentale è difficile da capire.

Prendiamo il verbo Ma (venire): a seconda di quanto lunga tieni la “a” o del tono con cui la dici la parola, può significare anche cane o cavallo. Rischi di dire di quelle cose! Beh, quando ricominci a parlare in italiano la tua cadenza è necessariamente diversa, molto più musicale, con i toni controllati. Insomma, una volta tornata in Italia mi sentivo davvero strana.

Solo per la difficoltà del reinserimento?

Anche per un altro aspetto. Quando arrivi là diventi una specie di bambino: sei super controllato e ti devono insegnare tutto. In un Paese così diverso poi non capisci niente della lingua e rischi di fare continuamente delle figuracce. Quindi alla fine ti ritrovi a voler bene a questo Paese, dove hai dovuto re-imparare praticamente tutto da capo, come se fosse casa tua, e nel momento in cui devi tornare in Italia ti trovi diviso tra due Paesi. Ti fa piacere tornare a casa, ma dall’altra parte senti come casa anche il posto in cui hai vissuto per quegli ultimi mesi. Ti senti diviso, infatti se mi nomini la Thailandia io sussulto ogni volta, mi è rimasta dentro e non vedo l’ora di tornarci. Sembra una cosa banale da dire, ma a me è rimasta sul serio nel cuore.

Per quanto riguarda la lingua? Dev’essere stato terribile!

Nella prima scuola in cui sono stata c’era la possibilità di seguire le lezioni in inglese frequentando un’apposita classe.

Ho potuto fare le mie verifiche e tutto il resto in modo normale. Invece in campagna andavo in una scuola che prevedeva lezioni solo in thailandese. I primi giorni andavo e facevo la bella statuina tutto il tempo, riuscivo solo a seguire matematica. Alla fine mi sono arrangiata io. Mi avevano dato un libro per fare i primi passi e me lo sono studiata da sola e poi cercavo di parlare il più possibile. Quando stavo con la prima famiglia in città, tornavo da scuola con l’autobus insieme alla mia cugina adottiva, e il viaggio era tutto un “come si dice questo? E questo? Questo come si chiama?”. Poi la situazione si sblocca, dopo un po’ ti rendi conto che bene o male riesci a comunicare. Adesso io riesco a sostenere una conversazione. È stato faticoso, e molto lungo, ma in 4 mesi ce la si fa.

Il rapporto con i coetanei?

Nella prima scuola non mi sono trovata benissimo perché era una scuola femminile e quindi ero in una classe con sole ragazze. Una classe con sole ragazze è terribile, si litiga in continuazione. In campagna invece oltre ad essere miste le scuole, erano tutti più rilassati, vivevano con più tranquillità perché tranquilli sono i thailandesi, basti pensare che la loro frase per eccellenza è “non importa”, lo dicono sempre e per qualsiasi cosa.

Come sono le scuole?

Superaffollate. Nella mia classe eravamo ben 44! Bisogna sempre indossare la divisa con la camicetta, con su scritto il nome, e la gonna alta.

In classe rigorosamente senza scarpe perché è un segno di mancanza di rispetto verso il professore, come a casa del resto. Dal punto di vista dell’istruzione sono molto più semplici. Per esempio per matematica fanno in un anno il programma che noi facciamo in due anni e agli esami finali ho preso il punteggio più alto senza problemi. Comunque, a differenza che in Italia, in Thailandia spendono di più per la scuola: hanno il proiettore e i computer in ogni classe, le strutture sono efficienti, di sicuro più presentabili delle nostre, si vede che ci investono parecchio.

Penso che sia dovuto al fatto che in Thailandia sono molto attenti all’aspetto formale, a volte anche più che a quello sostanziale. Se non studi tanto non ne fanno un problema, ma non ti fanno passare la camicetta spiegazzata fuori dalla gonna. Una volta c’era stata un’ispezione da parte del Comune e allora si sono raccomandati più volte di farci sistemare le scarpe in fila una volta tolte, ma non si sono preoccupati di far vedere che la scuola funziona dal punto di vista dell’insegnamento.

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In Italia fioccano i ristoranti thai.. com’è mangiare thailandese ogni giorno?

Riso riso e ancora riso. Riso a tutte le ore! A colazione, pranzo e cena. Di solito hai la tua ciotolina di riso che puoi condire con varie cose, la maggior parte piccantissime, anche a colazione. Poi fanno anche tanti spuntini durante il giorno, ma anche in questi c’è sempre dentro il riso.

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Quando torni in Italia e ti accorgi che tutto questo riso non c’è più, ti senti spaesato! Una cosa che ho notato è che mangiano tantissimo, se vogliono farti sentire a tuo agio ti offrono del cibo.

Il loro rapporto con la religione?

La religione è il buddhismo ed è molto sentito. In giro è pieno di monaci che vengono super rispettati. I thailandesi offrono loro cibo in continuazione, e lo fanno sempre togliendosi le scarpe, anche se sono in strada. Le donne non possono toccarli e nemmeno guardarli negli occhi e possono parlare solo se interpellate. A scuola tutte le mattine c’è l’alzabandiera, si canta l’inno nazionale e poi si fa la preghiera a Buddha.

Hai mai partecipato ad una funzione religiosa?

Sì! Ognuno aveva cucinato varie pietanze che poi aveva portato al tempio. Il cibo era stato messo su un piano rialzato, davanti a tutti, e poi erano arrivati i monaci che avevano iniziato la preghiera, un lungo canto tutto sulla stessa nota. Finita la nenia avevano iniziato a mangiare, per poi condividere il cibo con il resto della gente lì presente. È stata una bella cosa, di vera condivisione.

Sono dunque molto ancorati alle tradizioni. Ma l’hai vissuto come un Paese arretrato o semplicemente diverso?

Più che altro diverso, un Paese che funziona nonostante tutto, anche se di sicuro ci sono delle situazioni particolari. Ti capita di vedere il villone e poi la casa fatta di legno.

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Come occupavi il tempo libero?

In Thailandia di fatto non si ha troppo tempo libero. Infatti sentivo che un problema degli studenti orientali che vengono a studiare in occidente è proprio gestire il tempo libero, perché là stanno a scuola fino al tardo pomeriggio, poi tornati a casa fanno i compiti e la sera stanno a casa.

I giorni in cui non si ha scuola o si organizzano gite, perché i paesaggi sono davvero fantastici, oppure si va al tempio o al mercato, soprattutto se si vive in campagna. Mio cugino adottivo, quello della seconda famiglia, tutti i venerdì mi portava al mercato, dove si ritrovavano anche tutti gli altri compagni di classe dopo scuola. Alla fine non è nemmeno così particolare il mercato, ma c’è tanta roba da mangiare!

Ad ottobre c’è stata una brutta alluvione, vero?

Era il clou della stagione delle piogge. Praticamente era straripato un fiume in Cina collegato ad altri fiumi che arrivavano fino in Thailandia, dal nord. L’acqua ha allagato moltissime città ed arrivava sporca, piena di malattie. I

o in quei giorni ero in una delle città colpite dall’alluvione (stavo seguendo, insieme ad altre studentesse straniere, un corso di massaggi thailandesi!). Una mattina ci siamo alzate e abbiamo visto la strada trasformata in un fiume. Siamo dovute uscire in pigiama, bagagli in testa, abbiamo attraversato il torrente a piedi e una volta arrivate in uno spiazzo asciutto abbiamo telefonato all’associazione per chiedere cosa fare. All’inizio ci hanno detto che dovevamo restare là perché tutte le strade di raccordo erano completamente allagate: ci ha preso una paura pazzesca!

Alla fine però le nostre insegnanti di massaggio ci hanno caricato su un camion di gente che stava andando via con i mobili che si era riusciti a raccattare, direzione Bangkok. Da lì poi ognuno ha preso il pullman per raggiungere casa propria. Quando l’acqua ha raggiunto Bangkok è stato davvero lo sfacelo, perché Bangkok è il centro economico e produttivo dell’intero Paese. Ad un certo punto nei supermercati non c’era più nemmeno l’acqua, ed è stato il panico.

Meno male la mia famiglia aveva un cisterna di acqua potabile (in Thailandia non si può bere l’acqua del rubinetto!). Finalmente dopo pochi giorni l’acqua ha raggiunto il mare e l’emergenza è rientrata.

Hai mantenuto i legami con i tuoi genitori adottivi, o gente del posto in generale?

In realtà non ho instaurato legami troppo duraturi perché con entrambe le mie famiglie adottive ho vissuto solo per pochi mesi. Ci sentiamo ancora, ma sporadicamente, se fossi rimasta un anno intero e sempre con la stessa famiglia di sicuro il rapporto sarebbe stato diverso. E’ strano da dire e forse anche da capire, ma il legame e l’affetto mi è rimasto proprio per il posto in sé. Non vedo l’ora di tornarci.

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A cura di Giulia Rinchetti

www.mollaretutto.com/cambiare-vita/oriente-2/thailandia