Marta: sono partita per svolgere il Servizio Civile in Madagascar

A cura di Maricla Pannocchia

Marta, 26enne originaria della Sicilia, ha sempre saputo di voler esplorare il mondo e di voler aiutare gli altri, per questo motivo, ad appena 19 anni, è andata a fare volontariato in Colombia e, poi, in Guatemala. Approfittando dell’opportunità offerta dal Servizio Civile all’estero – che è riservata a giovani ambosessi di età compresa fra i 18 e i 28 anni -, Marta ha deciso di assecondare il suo amore per l’Africa e di fare domanda per un progetto in Costa d’Avorio.

Il destino, però, aveva altri piani per lei. Quando non è stata accettata al progetto scelto, Marta non si è persa d’animo e si è resa disponibile ad andare ovunque, purché in Africa. In tempo record, ha accettato di partire per il Madagascar.

“Io lavoro presso la comunità delle Suore di Maria Ausiliatrice a Ivato, a 18km dalla capitale. In questa struttura è presente un centro professionale con 300 alunni e un orfanotrofio con circa 70 bambine. La missione delle suore è diretta ai giovani, alla loro educazione e alla loro gioventù. Vivendo là dentro sembra quasi di non vivere in Madagascar, se non fosse per la terra rossa che ci circonda” racconta Marta che, nonostante le difficoltà, come la scarsa conoscenza del francese e il doversi adattare a contesti così diversi da quelli a lei famigliari, consiglia a tutti i giovani di fare questa esperienza perché l’amore che riceveranno e ciò che impareranno vanificheranno ogni difficoltà.

Marta Bognanni

Ciao Marta, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Mi chiamo Marta, ho 26 anni e vengo dalla Sicilia. Il mio è un paesino molto piccolo chiamato Mazzarino, proprio al centro dell’isola. Ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e sono laureata presso UNIBO in Protezione dei Diritti Umani e Cooperazione Internazionale. Sono una ragazza solare, sociale e sempre molto impegnata. Ho un grande gruppo di amici che conosco da quando ero piccola. Ho una sorella più piccola, con la quale ho un meraviglioso rapporto, anche se siamo molto diverse.

Ho sempre voluto viaggiare e fare volontariato. Mi piacciono le situazioni difficili e adoro vivere e conoscere i popoli e le culture straniere. Ho realizzato il mio sogno di fare volontariato all’estero a 19 anni, in Colombia, dove ho capito e sperato che quello sarebbe stato il lavoro della mia vita. Per questa ragione, ho continuato a vivere altre esperienze di volontariato e lavoro nella cooperazione in altri Paesi dell’America Latina e anche in Europa e in Italia. Sono molto determinata e testarda, se mi metto in testa una cosa proverò fino alla fine a realizzarla. Mi adatto facilmente e cerco di comprendere sempre bene il contesto e le persone con le quali vivo o collaboro. Mi piace provare sempre qualcosa di nuovo, per poter crescere e imparare. Per me l’indipendenza personale è essenziale.

Molte volte sono troppo sensibile, buona o forse ingenua e metto sempre gli altri al primo posto. Per questo motivo, mi ritrovo in molte situazioni che mi fanno soffrire, ma questa è una mia caratteristica. Ho sempre praticato sport e, anche quando viaggio, cerco sempre di tenermi in forma. Adoro mangiare, disegnare e creare vestiti, in generale ho molta fantasia e inventiva. Detesto la routine, mi fa soffrire e soffoca il mio carattere, rendendomi pigra e assente. Il mio sogno è scoprire più che posso del mondo facendo del bene. Non mi piace visitare i luoghi come un turista, in villaggi e taxi privato, in un viaggio di sole due settimane. Mi piace mescolarmi con le persone locali, dormire, mangiare e vivere con loro. Il mio motto nella vita è “Las cosasbuenas de la vida se hacenesperar” (le migliori cose della vita si fanno attendere).

Stai svolgendo il Servizio Civile in Madagascar. Prima di tutto, puoi spiegare ai nostri lettori che cos’è il Servizio Civile e chi può farlo?

Il Servizio Civile Universale (SCU) è la scelta volontaria di dedicare alcuni mesi della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per le comunità e per il territorio. Lo SCU rappresenta un’importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per noi giovani. Lo SCU può essere definito come un impegno verso gli altri, una partecipazione di responsabilità, un’occasione di crescita e scoperta del mondo, uno strumento di pace ma, soprattutto, un atto di solidarietà. Il Servizio Civile nasce nel 1972 come diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. Era quindi alternativo alla leva e, in quanto tale, obbligatorio. Quasi trent’anni dopo, con la legge n. 64/2001, venne istituito il Servizio Civile Nazionale su base volontaria, aperto anche alle donne. Nel 2005 è stato sospeso il servizio di leva obbligatorio,mentre è proseguito il percorso di crescita del Servizio Civile su base volontaria. Nel 2017, con il dlgs n.40, il Servizio Civile da nazionale è diventato universale, con l’obiettivo di renderlo un’esperienza aperta a tutti i giovani che desiderano farla.

Per partecipare, basta avere dai 18 ai 28 anni, essere cittadino italiano o di uno degli Stati UE, oppure essere regolarmente soggiornante in Italia e, chiaramente, non aver riportato nessuna condanna in Italia o all’estero.

Come mai hai sentito il bisogno di fare quest’esperienza?

Sin da quando ero piccola ho sempre avuto il sogno di fare volontariato e vivere in un Paese africano, di andare dall’altra parte del mondo e aiutare il prossimo. Ho realizzato questo sogno a 19 anni in Colombia e, l’anno scorso, sono stata in Guatemala per tanti mesi, vivendo in un villaggio. Adoro questo lavoro, mi fa sentire viva, utile e felice. Adoro tutte le difficoltà che ne fanno parte perché quello che ricevo da ogni progetto fatto è sempre molto di più di quello che do. M’innamoro di ogni luogo, mi sento parte di una famiglia, ricevo tantissimo amore dalle persone e per me questo queste esperienze non hanno paragone con altro nella vita. Quest’anno ho scelto di andare in Africa perché ancora non conoscevo questo continente e, forse per paura, non sono voluta venire prima. Quest’anno, invece, ho deciso che era il momento giusto per conoscere la tanto attesa e idealizzata Africa, il suo popolo e tutti i suoi problemi. Io adoro il mio lavoro, e quando torno in Italia e rimango lì per tanto tempo nel comfort totale, senza poter svolgere le mie mansioni, mi sento male, sento un bisogno interno di scappare, mettermi scalza e camminare per le strade, sognando che ci siano mille bancarelle e bambini sorridenti. Questi Paesi, nonostante le loro contraddizioni, ti donano pace e felicità, delle quali sento di avere molto bisogno.

Marta Bognanni

Come sei finita a svolgerla proprio in Madagascar? È stata una tua scelta o è accaduto “per caso”?

Penso sia stato il futuro a scegliere per me. Io, al momento della domanda, avevo presentato la mia candidatura per un progetto agricolo in Costa D’Avorio con un’altra organizzazione. Pensavo fosse il progetto giusto per me, perché era molto simile a quello dell’anno passato in America Latina e, inoltre, il Paese mi sembrava una buona meta per la lingua francese, la cultura africana e il mare. Ma, come sempre, le cose non accadono proprio come avevi pianificato.

Avevo impiegato mesi interi per la scelta di quel progetto, avevo partecipato a tutte le riunioni informative delle ONG partecipanti al bando SCU e, infine, avevo scelto proprio quello, ma non sono stata accettata. Al momento delle graduatorie, la mia posizione era “Idonea, non selezionata”. Dopo due lunghi mesi di disperazione nel trovare un’altra opportunità lavorativa, ho deciso di provare con il ripescaggio per lo stesso bando. Il ragionamento era semplice: andare dove c’era posto, qualsiasi fosse il progetto, con l’unica condizione di venire assolutamente in Africa. E così, mandai un’e-mail con la mia disponibilità di partecipare allo SCU nei loro progetti in Africa, se c’erano ancora dei posti disponibili. Ricevetti migliaia di risposte, ma solo Francesca, la mia responsabile, mi diede una scadenza: puoi accettare il posto in Madagascar entro domani mattina alle 12:00. Quella notte non chiusi occhio e l’indomani ero ancora indecisa. Il Madagascar non era uno dei Paesi che avevo in mente ma la paura di non poter visitare l’Africa nemmeno quest’anno mi uccideva. E così, sabato alle 11:30 mandai il contratto firmato, dove accettavo di venire a svolgere il Servizio Civile proprio qui in Madagascar. In fin dei conti, io ho scelto di fare un lavoro che mi dica di andare dove c’è bisogno, e questo è quello che ho fatto.

Puoi parlarci del progetto nel quale svolgi il Servizio Civile?

Io lavoro presso la comunità delle Suore di Maria Ausiliatrice a Ivato, a 18km dalla capitale. In questa struttura è presente un centro professionale con 300 alunni e un orfanotrofio con circa 70 bambine. La missione delle suore è diretta ai giovani, alla loro educazione e alla loro gioventù. Vivendo là dentro sembra quasi di non vivere in Madagascar, se non fosse per la terra rossa che ci circonda. Qui viene offerta un’educazione a tanti giovani con gravi situazioni economiche. La formazione è professionale (cucito, estetica, parrucchiera, cucina e contabilità), perché la maggior parte di loro non può permettersi di continuare gli studi universitari una volta finita la scuola. Per questa ragione, la scelta di avere una scuola professionale invece di un BACC serve per donare un inserimento lavorativo più diretto ai giovani. La scuola organizza tante attività durante l’anno e, con grande difficoltà, si riesce anche a realizzare un viaggio d’istruzione di 10 giorni.

L’orfanotrofio, invece, accoglie al giorno d’oggi 64 bambine. Ognuna di loro proviene da un contesto familiare povero, difficile e violento. Non tutte le bambine sono orfane, alcune sono state abbandonate e altre sono state mandate a vivere lì dai loro genitori perché considerato un luogo più sicuro del contesto familiare. Oggigiorno, le suore offrono loro una vita dignitosa. Ogni ragazza frequenta la scuola, ha dei vestiti, un letto, il cibo giornaliero e tutte vivono come delle vere e proprie sorelle.

Quali sono le tue mansioni?

Il mio ruolo qui dentro comprende “tutto”. Sono a completa disposizione della comunità ogni giorno. Il mio ruolo è stato fare l’insegnante di potenziamento di inglese/attività ludico-ricreative con gli studenti della scuola professionale. Inoltre, tengo un corso d’ italiano per 30 persone esterne alla comunità e ne tengo altri 2 per le suore della comunità e le novizie. La maggior parte del tempo lavoro in collaborazione con l’ufficio di orientamento lavorativo della scuola. Lì cerco contatti esterni per un futuro posto di lavoro, esperienze di studio all’estero, periodi di stage, contratti brevi. In poche parole, svolgo una mansione di relazioni esterne per la scuola. Per questo motivo, la mia routine è sempre diversa ogni giorno, perché dipende dagli appuntamenti, dalle persone da incontrare, dal materiale da preparare e dalla documentazione da presentare. È un lavoro che cambia sempre e per questo adoro farlo. Mi procura tanto stress, ma è uno stress positivo che mi piace e che mi mantiene sempre attiva. Il mercoledì passo spesso il pomeriggio con le bambine dell’orfanotrofio, perché non hanno scuola, e giochiamo oppure organizziamo dei laboratori su temi attuali come l’inquinamento globale, con giochi e attività. Per il resto, rimango sempre disponibile per qualsiasi necessità, ad esempio, per funzioni come chauffeur, aiuto cuoca, sorveglianza a scuola o segretaria.

Come funziona, dal punto di vista del compenso e dell’eventuale copertura delle spese?

Tutte le spese sono sostenute dall’organizzazione di riferimento (FONDAZIONE FVGS), che a sua volta è rimborsata dallo Stato italiano. Il Servizio Civile ti fornisce un assegno mensile di €507,30, in più, per il servizio all’estero si aggiunge un’indennità estera giornaliera dai 13 ai 15 Euro, in base al luogo e al progetto. Inoltre, per il servizio all’estero vengono forniti a tutti i volontari vitto, alloggio, viaggio di andata e ritorno e un rientro (a/r) durante il servizio. Ogni spesa effettuata all’interno dell’ambito lavorativo è successivamente rimborsata, come le pratiche per l’ottenimento del visto, vaccini ed eventuali visite mediche in loco.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

I miei amici e la mia famiglia conoscono già da tempo il mio spirito avventuriero e l’amore per queste esperienze. Sono tutti molto fieri di me, continuano a ripetermi che solo io riesco a fare queste cose nella vita perché ho tanto coraggio e che per loro tutto questo sarebbe impossibile. Sono tornata in Italia a gennaio e li ho visti tutti molto curiosi di conoscere la mia missione, di vedere se quello che loro immaginano e vedono dalla televisione sia vero oppure no. Le persone che ne soffrono di più sono i miei genitori. Hanno un carattere molto diverso, mio padre è fierissimo di me ma anche molto orgoglioso e con un carattere molto forte, e per questo non si mostrerà mai debole davanti a me o agli altri. Soffre molto nel non avere sua figlia vicino ma questo non vuole dirlo. Mia madre, invece, è molto più sensibile, e ogni volta che torno a casa comunicandole che partirò per la prossima missione, comincia a farmi molte domande con le lacrime agli occhi, perché ormai è consapevole che dovremo stare lontane per molto tempo. Un giorno mi ha chiesto perché a me piaccia andare in questi posti, che per lei sono veramente pericolosi, e me lo ha chiesto con la curiosità innocente di un bambino che vuole tanto conoscere la ragione di qualcosa. Lei capisce bene ed è molto contenta che io sia felice e che stia facendo un lavoro che mi piace ma, d’altro canto, è pur sempre una mamma che vede andare via una figlia in luoghi non del tutto sicuri, con la paura costante che le possa succedere qualcosa.

Come ti sei organizzata prima della partenza?

Prima della partenza tutti i volontari presso l’ente FVGS hanno partecipato a una formazione a Roma, dalla durata di due settimane, per prepararsi al meglio a questa nuova avventura. Lì sono stati realizzati dei laboratori, ci è stato spiegato il progetto in dettaglio, la nostra assicurazione sanitaria e tutte le procedure obbligatorie da fare prima della partenza.

Per prima cosa ho dovuto pensare al visto. Tramite il contatto con il consolato malgascio a Roma, abbiamo preparato una lista di documenti e mandato tutto tramite corriere per l’ottenimento del visto da missionario, poi abbiamo preso contatto con l’ASL locale per poter fare i vaccini (non obbligatori ma altamente consigliati).

Queste erano le attività obbligatorie da fare per tutti i volontari. Io, personalmente, vista la mia non conoscenza del francese, mi sono attivata per trovare un’insegnante di francese che mi potesse dare delle lezioni della lingua francese di base, per poter almeno comprendere qualcosa, sin dall’inizio. Una volta ottenuti tutti i documenti, imparato il verbo essere e avere in francese, non bastava altro che fare delle piccole ricerche sul territorio e sulla sua cultura, così da arrivare qui e non essere completamente stravolta da un Paese diverso dal mio.

Ci sono mai stati momenti in cui hai pensato, “mollo tutto e torno a casa”?

Non nego che di momenti difficili ce ne siano stati ma non sono mai arrivata al punto di voler rinunciare alla mia missione. Il contesto, soprattutto per una donna, non è per niente semplice. A ogni uscita sentirai sempre quegli occhi puntati addosso. La lingua è incomprensibile e ciò ti fa avere la sensazione di essere sempre un estraneo. Il bisogno di aver sempre una traduzione o chiedere per fare qualsiasi cosa, ti leva la tua tanto amata indipendenza. I problemi di comunicazione per la realizzazione di una piccola attività o progetto, ti fanno uscire matto. Ci sono tanti problemi, tante difficoltà giornaliere, soprattutto all’inizio del progetto, ma tutto questo fa parte di un’esperienza fuori dal tuo habitat normale. Ho delle esperienze pregresse, ma questa volta mi sono anche detta che questa è l’Africa, un posto ancora sconosciuto per me, e che qualunque cosa succeda, prima di condannare, si deve provare a comprendere. La mia risposta a un momento veramente di crisi è una giornata di calma in solitaria. Preferisco rimanere in camera, sbrigare dei piccoli lavoretti in autonomia e donarmi così del tempo di riposo e riflessione, per poter ricaricare le mie forze e andare avanti il giorno dopo.

È stato difficile entrare a far parte dei meccanismi del progetto in cui operi?

Sì, molto. Le difficoltà linguistiche erano alla base di ogni altra difficoltà. Il francese basico, quasi assente, da parte mia e la sola conoscenza della lingua malgascia da parte degli studenti e soprattutto delle bambine del foyer, all’inizio mi ha molto scombussolata. Mi chiedevo come avrei fatto a farmi seguire da una classe di 45 alunni adolescenti se la mia era una parlata timida e non quella chiara e autorevole di un’insegnante. Come avrei fatto a giocare con delle bambine che non mi capiscono? E come avrei fatto a creare delle nuove relazioni e progetti in un contesto che non sarei mai riuscita a conoscere del tutto, perché non avevo la capacità di capire le risposte che mi sarebbero state date? Sono passati dei mesi prima che io stessa considerassi questo posto “comodo” come casa. Sono stata molto in silenzio e osservatrice dei fatti, prima di essere parte attiva del progetto.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

La vita in Madagascar in generale non è cara ma tutto dipende dallo stile di vita di ogni persona. Lo stipendio base, quindi con un contratto regolare, si aggira sui 200.000 Ariary (all’incirca 40 Euro). Le persone qui mangiano principalmente nei piccoli truck per strada, che mettono a disposizione due sedie o una piccola panca. Lì il cibo non costa quasi nulla, con 1 Euro riesci a ordinare del riso e un po’ di condimento (piatto tipico malgascio). Diverso è invece chi va a fare la spesa ai grandi supermercati, dove i prezzi dei prodotti sono simili a quelli italiani, se non addirittura più cari. Un pollo intero, nel reparto salumeria, costa 8 Euro, i cereali 3 Euro e tutti i prodotti esteri sono raddoppiati di prezzo, come, ad esempio, un barattolo medio di Nutella, che ha un prezzo di 15 Euro (75.000 Ariary, quasi la metà di un contratto di base).

La maggior parte della popolazione non può permettersi di fare la spesa nei supermercati e per questo tutte le strade sono piene di mercati della frutta, oggetti per la casa, vestiti, zaini e tutto quello che è necessario. Lì i prezzi sono molto bassi: 10 centesimi per un chilo di pomodori, 3 Euro per un pantalone, 5 Euro per uno zaino, 1 Euro per un top e 10 centesimi per vari oggetti casalinghi.

Il costo più alto è quello della benzina, e questo porta a un aumento di prezzo anche per i taxi, di solito utilizzati solo dagli stranieri. La loro tratta si aggira dai 3 fino a 40 Euro il giorno, che per un europeo potrebbe risultare un prezzo basso (comparato ai costi delle tratte a Roma o Milano) ma qui è una cifra molto alta a paragone degli autobus pubblici, con i quali ogni tratta costa appena 20 centesimi. Infine, gli hotel generalmente hanno un prezzo omogeneo (quelli semplici, con camerate) che è di 8-10 Euro a notte. Sicuramente sono presenti anche altre strutture a costi inferiori per le persone locali ma non saprei dire le loro tariffe precise.

Come valuteresti servizi come la sanità, la burocrazia e i mezzi pubblici?

Assolutamente pessimi. Gli ospedali pubblici sono pieni di personale incompetente, a eccezione di una piccolissima percentuale preparata. Tutte le cure sono a pagamento e, per questo motivo, la maggior parte delle persone si reca negli edifici sanitari solo in casi estremi di necessità. Molte persone si curano a casa con quello che hanno, non preoccupandosi di possibili infezioni future.

La burocrazia è lentissima, sia per noi stranieri sia per le persone locali. Per l’ottenimento di un documento, le persone si presentano 4 ore prima dell’apertura del centro per mettersi in fila e prenotare il proprio posto. Non esistono appuntamenti ma solo chi arriva prima, meglio alloggia. Usano ancora tante carte e poco la tecnologia. Ogni documento che passa dagli uffici si ricopre di timbri e firme rosse.

I mezzi pubblici, li definirei pieni. Ogni autobus ha posti a sedere per massimo 20 persone ma lì dentro vengono stipati più di 30 individui. I mezzi pubblici, come già accennato, sono molto economici. Ce ne sono migliaia ma, con il traffico costante presente nella capitale e il numero elevato di persone dentro lo stesso mezzo, ti stanca molto. Ogni autobus viene preso al volo mentre ancora si muove, senza mai fermarsi. Non esiste una tabella oraria ma solo l’attesa (come per la burocrazia) e ogni zona è raggiunta da un numero diverso messo sul davanti dell’autobus.

Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

L’alloggio mi è stato fornito dal progetto. Io ho a disposizione una stanza personale con bagno in camera. All’interno della stanza si trovano una scrivania, un letto con zanzariera, un armadio, una doccia, il bidet e un lavandino in bagno. Questa stanza è all’interno di una struttura con più camere da letto, una cucina con frigo e piano cottura e due bagni in comune. L’intero edificio si trova all’interno della comunità delle suore.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Sicuramente le zone meno care sono quelle meno turistiche. Ad esempio, a Tulear, Nosy Be e Saint Marie la vita è molto cara perché queste zone sono frequentate da tanti stranieri in vacanza e da altri che aprono delle attività per potersi trasferire in Madagascar, aumentando il prezzo dello stile di vita locale. Nella capitale tutto dipende dai quartieri. Antananarivo è suddivisa in 16 cerchi/zone, ma solo la prima è considerata un po’ più cara per poter vivere e pagare un affitto. Anche in questo caso dipende dalla casa. Persone con uno stipendio di 500 Euro (2.500.000 Ariary) potrebbero viverci tranquillamente. In altre zone, come quelle periferiche dove vivo io, la vita non è per niente cara e, anche con uno stipendio locale, ci si può adattare.

Come descriveresti le vite della gente del posto?

Incerte, dure, lunghe, uguali e tranquille.

Incerte, perché ci sono persone che svolgono un lavoro dove lo stipendio non è fisso e quindi quello che porterai a casa dipende dalla giornata. Inoltre, con l’alto tasso d’incidenti nella capitale, anche la tua vita ogni giorno è incerta.

Dure, perché ci sono delle persone che trasportano chili e chili di materiale con dei carretti costruiti a mano e con delle gomme sgonfie di macchine vecchie. E lo fanno per chilometri, sotto il sole e su delle salite che anche senza peso ti levano il fiato.

Lunghe, perché la loro giornata inizia alle 4 o 5 del mattino. Con il traffico che c’è, il tempo per arrivare al lavoro è sicuramente di minimo di 1 ora ogni volta e devi essere fortunato. Io, ad esempio, tornando dalla capitale per venire a lavorare a Ivato, impiego minimo 2 ore ogni volta.

Uguali, perché quasi nessuno ha la scelta di prendersi un giorno di malattia e passare una giornata diversa. Qui la routine è sacra. Tutti i giorni al lavoro, stessa ora, stessa città, stesso bus e stessa mansione. Le vacanze, per quelli che se le possono permettere, sono solo di 2/3 giorni, quando il calendario ha dei giorni rossi.

Tranquille, perché quando li vedi camminare, qui le persone non rivelano stress nei loro occhi, come capita nelle grandi metropoli italiane. Qui vedi uno sopra l’altro nel bus, la donna con i tacchi in un pavimento pieno di sabbia, il signore per strada che vende i limoni sotto il sole, i taxi fermi da ore, ma nessuno sembra essere arrabbiato, stressato o preoccupato. In generale, quello che si trasmette per le strade, è caos ma anche tanta tranquillità di una giornata come tutte le altre.

Hai conosciuto altre persone, italiane e non, che svolgono il Servizio Civile lì?

Sì, ho conosciuto tre gruppi di italiane che svolgono il Servizio Civile qui in Madagascar. Anche nei loro progetti l’obiettivo è l’educazione giovanile. Due gruppi si trovano qui in capitale e l’altro invece un po’ più al sud.

Com’è una tua giornata tipo?

Le mie giornate sono veramente una diversa dall’altra, visto il lavoro che svolgo. Di solito però mi alzo verso le 6/6:30. Mi vesto e vado a fare colazione insieme alle suore nella casa centrale. Lì, in base a quello che ci sarà da fare in giornata, faccio una colazione europea e quindi dolce con latte o yogurt, altre volte invece mi butto su quella locale con riso e verdure. Poi dipende dalle cose da fare, o vado in palestra molto presto oppure accompagno le bambine a scuola, lavoro al computer o vado in ufficio orientamento per organizzare le attività future da fare. Alle 12:00 puntuali si pranza tutti insieme e poi si sparecchia e si riprepara la tavola per la cena. Subito dopo pranzo cerco sempre di riposarmi per 20 minuti. Il pomeriggio, già alle 14.00, ho quasi sempre una classe di italiano da fare con vari gruppi e una volta finita, se non sono andata in palestra la mattina, vado lì o, altrimenti, concludo tutto il lavoro arretrato che era in programma con la Madame dell’orientamento al lavoro. Se invece ho finito proprio tutto, e questo capita raramente, scelgo di andare a passare il tempo con le bambine del foyer giocando o facendo i compiti o ancora a farmi fare qualche acconciatura ai capelli. Alle 19.00 si cena tutti insieme e, una volta finito di mangiare, si tolgono nuovamente i piatti e si prepara la tavola per la colazione. In più, si fa un momento comunitario fino alle 20.00/20.30 dove si fanno dei giochi da tavolo e, infine, recitiamo una preghiera per il giorno dopo. Si conclude così la giornata, perché, anche se sono solo le 21.00, il cielo sembra essere quello delle 2.00 di notte. Io di solito rimango un altro po’ in comunità, tra una chiamata, un piccolo momento per scrivere, un’ultima preparazione delle lezioni dell’indomani. Torno in camera e già alle 23.00 dormo.

Quali sono state le gioie e le soddisfazioni?

La gioia più grande che ricevo ogni giorno sono le bambine che ogni mattina urlano il mio nome donandomi il buongiorno. La loro felicità, i loro abbracci e le corse che fanno per venirmi incontro mi donano tantissimo amore e gioia ogni giorno. I loro sguardi piccoli e dolci, mi danno un magone ogni volta perché so che non potrò vederle crescere. Una delle soddisfazioni che ho avuto recentemente è l’approvazione di un progetto per l’inserimento lavorativo e di studio all’università per alcuni studenti della scuola e le ragazze de foyer uscenti dal BACC. Spero tanto che venga approvato dal finanziatore e realizzato l’anno prossimo. Delle piccole soddisfazioni personali sono anche il miglioramento della lingua inglese e la capacità di sostenere un’intera conversazione in lingua.

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C’è una comunità d’italiani? Ne fai parte?

Ci sono migliaia di italiani qui nella capitale e in Madagascar in generale ma una vera e propria comunità d’italiani non l’ho ancora conosciuta. So che sono presenti molte comunità a Nosy Be. Qui nella capitale, invece, conosco solo le altre ragazze italiane che svolgono il Servizio Civile e un’altra che lo ha svolto 3 anni fa e che è rimasta a vivere qui.

Che consigli daresti ad altri ragazzi che stanno pensando di fare il Servizio Civile e magari non hanno mai considerato Paesi così lontani dall’Italia?

In questo periodo ho parlato con molti ragazzi che volevano presentare la domanda per fare il Servizio Civile qui in Madagascar e ho consigliato a tutti di rischiare nella vita, di considerare il fatto che questa è proprio un’opportunità per visitare un Paese così lontano dal loro, con il biglietto aereo pagato, un supporto economico, un’associazione alle spalle, una casa già pronta ad accoglierli e un contesto completamente diverso e tutto da conoscere. Ho ripetuto loro che questa non è un’esperienza che è sempre possibile fare, ma che, se in questo momento la loro vita gli permette di farla, non dovrebbero nemmeno farsi domande al riguardo. Spesso pensiamo che, andando in un luogo più vicino a casa, sarà tutto più facile, che ci sentiremo più vicini a casa, ma così non è. Passerai comunque 12 mesi in un posto diverso da casa tua e, che esso sia a 40km o 1000km di distanza, non cambia nulla. Capisco e comprendo che accettare un contesto difficile come quelli che si possono trovare nei Paesi africani non è da tutti, ma anche questi ambienti sono solo idealizzati da noi e dalle notizie che vediamo in televisione. L’idea, la curiosità di scoprire la verità, di conoscere sul serio e personalmente questi luoghi, dovrebbe spingere tutti i noi a prendere un aereo e venire qui. Ammetto che sarà difficile ma sono difficoltà che si possono superare e che quello che poi si imparerà avrà reso giustificabile ogni paura e ogni sforzo.

Hai avuto modo di esplorare dei luoghi del Paese?

Sì, nonostante le ferie non siano poi così tante durante l’anno, noi abbiamo avuto la possibilità di esplorare tanti luoghi. Siamo stati nelle vicinanze di Antananarivo, come Betafo, Atsirabe, Mahanazary, Ampefy e Fianarantsoa ma anche un po’ più lontani come a Morondava, Tulear, al parco Ranomafana, al parco dell’Isalo, a Manza e nei villaggi locali del sud. Per le vacanze di Pasqua andremo a visitare la costa est del paese, come Tamatave e l’isola di Saint Marie. A fine aprile abbiamo in programma la gita con i ragazzi della scuola, durante la quale andremo a Mahajanga e, alla fine del servizio, speriamo riuscire ad andare a visitare Nosy Be e il nord est con Diego.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Sicuramente imparerei meglio la lingua francese prima di partire, perché questo mi avrebbe facilitato molto le cose, soprattutto nel momento dell’inserimento e dell’adattamento iniziale. Inoltre, mi preparerei un po’ meglio sulle attività ludico ricreative ed educative da far fare ai giovani, per avere più tempo e strutturare meglio ogni lezione con loro. Per il resto non cambierei nulla, la sorpresa e lo stupore di vivere ogni giorno, anche nella difficoltà e nel disagio, fa parte dell’amore di vivere queste esperienze.

Cos’hai imparato, finora, da questa esperienza?

Questa è una domanda bella e difficile. Ho imparato molto, sono certa che sono cambiata dal mio arrivo qui. Principalmente, ho imparato a osservare e stare in silenzio. Ho imparato ad avere pazienza, tantissima pazienza. Ho imparato a capire quando e quanto valga la pena lottare per le piccole lotte giornaliere, cioè a scegliere bene le mie battaglie, dettate dai miei princìpi di vita. Ho compreso che il Madagascar non è per niente l’Africa che ci raccontano, soprattutto per la storia tanto diversa che ha rispetto al continente. Ho imparato ad amare un po’ di più e il rispetto di persone con culture e credi diversi dai miei. Ho imparato a distaccare la comprensione dall’accettazione, elementi che oggi reputo molto diversi tra loro.

Progetti futuri?

Ancora l’incertezza dilata dentro di me. L’idea di restare qui per ancora tanto tempo non la reputo possibile, perché non penso che il Madagascar sia la mia meta finale, il mio Paese. D’altro canto, vorrei dare a questo Paese, e anche a me, l’opportunità di conoscerlo e conoscermi meglio. Tutte le mie esperienze passate sono durante meno di un anno e, ogni volta sono ripartita per luoghi e progetti diversi, dovendo sempre passare per il periodo di “adattamento”. Questa volta, mi piacerebbe poter iniziare a lavorare in un posto che già conosco un po’, cominciando già con la sicurezza, la conoscenza di alcune persone e la tranquillità del luogo.

Dall’altro lato, sento ancora il richiamo dell’Africa che mi dice che la sua cultura è ancora troppo grande per rimanere confinata a un solo Paese, e inoltre all’unico Paese che non si riconosce nemmeno nel continente africano. La voglia di andare a scoprire delle tradizioni ancora più forti, balli, persone, rituali africani, non è mai svanita da dentro me.

Ma a questo penserò dopo Pasqua.

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