Fabio, rinomato chef alle Whitsunday Islands
Di Enza Petruzziello
«Per me, l’Italia si riassume in queste parole: si vive per lavorare e per pagare le spese, privi del diritto di sognare». Quando ripensa all’Italia, Fabio Chiavicatti è sicuro: la sua vita è ormai all’estero. Più precisamente in Australia, dove vive da ben 12 anni.
Trentasei anni, originario della Brianza, Fabio è un rinomato chef di cucina. La sua formazione incomincia nelle scuole alberghiere italiane. Con una passione instancabile per l’arte culinaria, decide di lasciare la sua città da giovanissimo per lavorare in prestigiosi ristoranti in Italia, Svizzera, Canada, Bahamas, Florida e Australia. Per lui è solo l’inizio di un percorso culinario straordinario che lo porta a diventare un capo cuoco di grande talento e riconoscimento internazionale.
Attualmente risiede nelle splendide Whitsunday Islands in Australia, dove continua a coltivare la sua passione per la cucina e la sua ricerca di eccellenza culinaria. Con una storia di successi e sfide superate, Fabio è un vero esempio di dedizione, determinazione e creatività nella sua professione.
Fabio, cominciamo dall’inizio: come è nata la tua passione per la cucina?
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«La mia passione per la cucina è nata fin da giovane, crescendo nel cuore della Brianza. Sin da ragazzo, ho trascorso del tempo nei ristoranti locali per prepararmi al meglio per ciò che avrebbe significato intraprendere il percorso professionale culinario. Inoltre per indole ho sempre voluto essere indipendente».
Hai avuto un percorso formativo impressionante, con esperienze in Italia, Svizzera, Canada, Bahamas, Florida e Australia. Quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera fino ad ora?
«Ho fatto tanta gavetta a Milano in ristoranti prestigiosi come Armani Cafè, Principe di Savoia, Colzani. Qui ho incontrato e avuto la fortuna di lavorare con i grandi nomi della ristorazione italiana: Fabio Masin, Fabrizio Colzani, Luca Seveso e Massimo Rovagnati, solo per citarne alcuni. Non potrò mai ringraziarli abbastanza per dove il loro insegnamento mi ha portato: oltre i miei limiti. Dopo Milano è stata la volta della Svizzera, St.Moritz Badrutt’s Palace sotto gli ordini di Andrea Panatti. Tentò di trattenermi, ma la mia indole esplorativa mi portò in Canada a Montreal dove ho studiato inglese all’University Academy per prepararmi al mio primo incarico da Head Chef alle Bahamas, Nassau che sognavo sin da bambino. Fu davvero la coronazione di un sogno, ma non tutto fu come lo immaginai».
In che senso?
«Presto feci i conti con la realtà, lavoravo 16 ore al giorno no stop, 350 coperti al giorno, 4 menu differenti al giorno, 8 paste fresche in menù, ordini al telefono con la Florida 1 giorno alla settimana per garantire il pieno stock al ristorante, il tutto con un inglese masticato se non sputato, fu la sfida più dura della mia vita. Però devo ammettere che ogni tappa del mio percorso ha avuto la sua importanza e ha contribuito a plasmare chi sono oggi come chef. Il periodo alle Bahamas è stato particolarmente significativo, perché è stato lì che ho veramente imparato quanto sia importante la determinazione e la dedizione nel perseguire i propri sogni. Vivevo il mio sogno ed ero pronto a tutto per sudarmelo, ma nulla di tutto ciò è stato possibile senza la presenza e amore della mia ex compagna Elisa, con cui abbiamo condiviso tutto e per tutto, gioie e dolori e successo professionale».
Dopo che è successo?
«Dopo le Bahamas ci trasferimmo in Florida, Miami. Qui trovammo fortuna in un ristorante stellato noto, con sede anche ad Aspen ma rifiutammo il visto di lavoro per motivi personali e culturali che non ci appartenevano. Facemmo quindi scalo in Italia per 2 mesi e venne la volta dell’Australia, nel 2013 dove intraprendemmo i primi 2 Working Holiday Visa che ci permisero di ottenere la sponsorship di lavoro, all’epoca della durata di 4 anni. Decidemmo di sponsorizzare Elisa come Restaurant Manager, io da cuoco era più che fattibile ma da Restaurant Manager entrambi avremmo acquisito la residenza permanente in Australia a fine Sponsor. Un anno dopo, 2018, acquisimmo la Cittadinanza Australiana, la fine di un percorso durissimo, dolce, amaro, con tante sfumature e rinunce ma di cui mi sono fatto carico con audacia».
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Trasferirti in Australia è stato un altro sogno che hai realizzato. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? E cosa ti piace di più del vivere nelle Whitsunday Islands?
«L’Australia rappresentava per me e per Elisa un nuovo inizio, un’opportunità di crescita sia professionale che personale. Ci siamo trasferiti qui in cerca di nuove sfide e opportunità, e devo dire che non siamo rimasti delusi. Le Whitsunday Islands sono semplicemente spettacolari, con la loro bellezza naturale mozzafiato e uno stile di vita rilassato. Qui ho trovato la pace e la tranquillità che cercavo, lontano dallo stress delle grandi città. Vivo precisamente ad Airlie Beach, 4802, Queensland. È posto stupendo, uno dei più belli al mondo per lo scenario geografico della barriera corallina, stupendo. La vita qui è un’altra vita, lo stress non esiste».
Nuova lingua, nuove usanze, un nuovo modo di vivere e una cultura diversa. Come sono stati gli inizi alle Whitsunday Islands?
«Vivo in Australia dal 2012, la lingua non è mai stata un problema reale venendo appunto dagli Stati Uniti, direi forse più da ricalibrare, perché lo slang americano non è certo quello anglosassone. In pochi anni, forse 2, già mi ero quasi adeguato. L’Australia è un paese multiculturale dove di usanze e culture ce ne sono davvero tante, cosi come le comunità, italiane e via dicendo. Personalmente sono sempre stato distante dagli altri italiani residenti qui, incontrandoli solo occasionalmente per caso. Questa scelta deriva dal mio convincimento che vivere in Australia implichi un adeguamento alla realtà locale, rinunciando al comfort della propria lingua e della vicinanza con altri italiani o europei. L’integrazione nella società australiana è un passaggio fondamentale per sentirsi veramente parte di questa realtà e affrontare le sfide quotidiane con successo».
Le Whitsunday sono un gruppo di isole situate a 55 km al largo della costa del Queensland, e offrono tutto ciò che ti aspetteresti da un paradiso tropicale: acque turchesi, sabbie bianche e bellissime spiagge appartate. Ma come è vivere qui da residente e non da turista?
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«Il costo della vita in Australia è sicuramente più elevato rispetto a quello italiano o europeo, e ho notato un significativo aumento dal mio arrivo nel 2012. Tuttavia, nonostante ciò, il bilancio tra economia, lavoro e spese quotidiane rimane positivo, consentendo un buon tenore di vita. Qui non si vive per lavorare e pagare le spese, ma si lavora per vivere, costruire e perseguire i propri sogni e progetti. È necessario impegnarsi duramente per il successo e la realizzazione personale, ma questo è motivante e gratificante. Per quanto riguarda la sanità, e qui parlo come cittadino australiano, siamo coperti per la maggior parte dei servizi, ad eccezione di interventi e servizi particolarmente costosi come ambulanze e operazioni ospedaliere di alto calibro. In questi casi, è consigliabile avere un’assicurazione privata, il cui costo mensile è ragionevole considerando il salario settimanale che si riceve qui. Infine il divertimento: c’è davvero qualcosa per tutti i gusti, dalle attività marine alla pesca, passando per una vasta gamma di sport. Le comunità, soprattutto nelle cittadine più piccole come Airlie Beach, sono molto coese e ci si impegna insieme per mantenere puliti gli ambienti naturali. Qui c’è un forte senso di appartenenza e ci si conosce tutti in qualche modo, creando un’atmosfera molto positiva e accogliente».
Hai menzionato anche il supporto della tua ex compagna, Elisa, nel tuo percorso professionale. Come hai gestito i cambiamenti personali e professionali nel corso degli anni?
«È stato certamente un percorso pieno di alti e bassi, e il sostegno di Elisa è stato fondamentale. Abbiamo affrontato insieme le sfide che la vita ci ha presentato, e anche se ora i nostri percorsi si sono separati nel 2021, sarò sempre grato per il tempo che abbiamo trascorso insieme e per il supporto reciproco che ci siamo dati».
Hai una nuova compagna adesso?
«Dopo la mia separazione da Elisa, sono rientrato in Australia dopo aver trascorso due anni in Italia, determinato a concentrarmi su me stesso e a rimanere single per recuperare il tempo perso e realizzarmi come professionista. Non avevo alcuna intenzione di coinvolgermi in relazioni sentimentali. Tuttavia, la vita ha un modo sorprendente di sorprenderci quando meno ce lo aspettiamo. Ho accettato il ruolo di secondo Chef presso un noto ristorante senza alcun ego o pretesa, focalizzato solo sul fare il mio lavoro al meglio. È stato lì che ho incontrato Erin, una donna di 40 anni e terzo Chef in carica, originaria del North Far Queensland, trasferitasi ad Airlie Beach nel 2005. Erin stava uscendo da una relazione tossica, con la sua autostima ridotta ai minimi termini e quasi disillusa riguardo al proprio lavoro. Vedendo il suo stato, non ho potuto fare a meno di sentire empatia, avendo anch’io attraversato simili difficoltà in passato. Mi sono reso conto che dovevo aiutarla a ritrovare fiducia in se stessa. Ho insistito affinché si unisse al nostro team in cucina, poiché sapevo che avevamo bisogno l’uno dell’altro per avere successo. Abbiamo lavorato fianco a fianco, e nel giro di pochi mesi, ci siamo avvicinati in modo naturale, senza forzature. La nostra collaborazione è stata fondamentale per far crescere lo Yacht Club e ottenere risultati straordinari. Senza il nostro reciproco supporto e collaborazione, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Ora, dopo un anno di relazione, condividiamo una casa e siamo felici insieme.
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In quale ristorante lavorate ora?
«Lavoriamo in un ristorante Australiano locale, Fish D’Vine, unico ristorante di pesce autentico e punto di riferimento della cittadina. Molto impegnativo e a tratti stressante, ma pagano i risultati e il lavoro di team che abbiamo portato dallo Yacht Club, come dire, ci stiamo riprovando e ci riusciremo».
In che modo vivere in altri Paesi ha influenzato la tua cucina?
«La mia influenza internazionale mi ha portato a credere fermamente che la cucina classica, poco elaborata, fatta di materie prime locali e non trattate, sia la vincente. La gente è stanca dei prezzi folli e di non capire i menù. Troppo spesso vedo ristoranti preparare piatti eccessivamente elaborati, con descrizioni così complesse che il cliente finisce per non capire cosa stia per mangiare. Personalmente, ritengo che il concetto di “Fine Dining” stia perdendo appeal e stia gradualmente scomparendo. La storia ci insegna che tutto ciò che era vecchio diventa nuovo, e credo che presto assisteremo a un ritorno alla cucina tradizionale delle trattorie, con la sua semplicità e autenticità. Per farla breve, la vecchia trattoria della Nonna e la semplicità della sua cucina, saranno presto il prodotto più ricercato ovunque all’estero, specie se cucina italiana. Perché chi è stato in Italia e ha mangiato benissimo, vuole ritrovare quel piatto e quei sapori anche nel suo paese come fosse in Italia».
Dove vivi e in generale in Australia, ci sono opportunità occupazionali per chi come te sta pensando di trasferirsi qui? E quali consigli daresti a loro?
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«L’Australia è un paese giovane, multiculturale con infinite possibilità, sia nel mio campo che in qualsiasi altro. Qui se ti rimbocchi le maniche, puoi diventare qualunque persona tu voglia diventare. È un paese che premia il duro lavoro e la voglia di mettersi in gioco, ti offre la possibilità di avere una vita bilanciata in qualsiasi parte d’Australia, ti permette di scoprire e di scoprirti relazionandoti sempre con altre culture di tutto il mondo, apre la mente a nuovi confini che in Europa non sarebbe neanche immaginabile».
Ormai sei lontano dall’Italia da anni. Come è cambiata la tua vita da quando sei un expat?
«Non ti nascondo che vivendo all’estero dall’età adolescenziale, ormai vedo la vita da expat come unica vita. Ho provato a tornare in Italia ma non sono più rimpatriabile. Nonostante l’Italia resti per me il paese più bello al mondo, dove c’è la mia famiglia e ho un nipote, ormai la mia vita è radicata altrove. Dopo anni trascorsi all’estero, ritornare a un modello di vita che percepisco come limitante e privo di prospettive non è più un’opzione. Per me, l’Italia si riassume in queste parole: si vive per lavorare e per pagare le spese, privi del diritto di sognare perché non c’è modo di avere tempo di realizzare i propri sogni. E la lista è lunga. La vita oltreoceano non è semplice e richiede sacrifici, lacrime e frustrazioni, ma credo fermamente che questi sforzi siano ripagati in molteplici modi. Per me, la ricompensa è stata la libertà di essere me stesso, di cambiare e di adottare uno stile di vita che rispecchia le mie aspirazioni. Ho trovato una mentalità aperta in un paese multiculturale, dove mi sento parte di una comunità globale, lontano dalle chiusure mentali che talvolta caratterizzano il contesto italiano. Grazie.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi obiettivi professionali e personali?
«Attualmente mi trovo esattamente dove voglio essere, qui nelle Whitsunday Islands, circondato dalla bellezza della natura e con l’opportunità di fare ciò che amo di più: cucinare. Nel futuro, spero di continuare a crescere e a migliorare come chef, magari aprendo un mio ristorante qui in Australia. Personalmente, voglio continuare a esplorare il mondo e ad approfondire le mie conoscenze culinarie».
Per contattare Fabio ecco la sua mail: fabiochiavicatti@hotmail.it