Elisa, “Amo il Giappone da sempre e accompagno gli italiani in viaggio”
A cura Maricla Pannocchia
La vita di Elisa è a dir poco avventura. Da sempre appassionata del Giappone – “credo di averci vissuto in una vita precedente – la donna, 42 enne ed ex insegnante, spesso ha fatto delle scelte popolari e a volte non comprese dalle persone a lei più vicino.
Anche adesso che Elisa ha un bambino di quasi 6 anni, Hiro, continua con i suoi viaggi in Giappone e in altri Paesi orientali. “Devo molto a quello stile di vita” racconta la donna. “Quando ho affrontato la depressione post-part e una diagnosi di tumore, ho lavorato su me stessa proprio grazie agli strumenti appresi dalla filosofia orientale.”
Sulla scia della sua esperienza personale, oltre ad accompagnare gruppi in Giappone e in Paesi come India o Nepal, tramite la sua HappinessFactory, Elisa aiuta donne che affrontano periodi di stress e ansia, o diagnosi mediche impegnative, a cambiare mindset e affrontare la difficoltà da un altro punto di vista.
A chi vorrebbe trasferirsi in Giappone, Elisa dice di pensarci bene, perché viverlo da turisti è un conto mentre da residenti è un altro. “Ad esempio, io amo il Giappone, ma non vorrei mai avere un titolare giapponese” spiega la donna. “Credo che, per gli italiani in vacanza lì, adattarsi sia semplice perché sia in Italia sia in Giappone non manca niente mentre in Paesi più poveri spesso non troviamo cose che diamo per scontate.”
Ciao Elisa, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…
Ciao! Anzi come dico sempre io: Aloha!
Mi chiamo Elisa e ho 42 anni. Da sempre ho casa a Mantova ma sono tanti anni che passo molti mesi all’anno in Oriente: India, Nepal, Cina, Tibet, Malesia…ma soprattutto in Giappone, il Paese per cui ho una grande passione, quasi una dipendenza.
Quando è nata la tua passione per il Giappone?
Non saprei, direi che probabilmente sono nata così. Di sicuro i cartoni animati come Creamy e Kiss Me Licia hanno contribuito a farmi conoscere di più la cultura giapponese.
Quando ci sei andata per la prima volta e cos’hai provato?
La prima volta è stata una decina di anni fa. Poi ho iniziato a tornarci almeno tre volte all’anno, passandoci sei o sette mesi su dodici.
La prima volta che ho messo piede a Kyoto mi sono sentita a casa, come se già sapessi come muovermi. Sono convinta di averci vissuto in qualche vita passata e vi dirò di più: il mondo dei kimono e delle geisha oramai ha pochi segreti per me. Sapete che ho una collezione di una quarantina di kimono? Anni fa organizzavo esposizioni, eventi e manifestazioni. d oggi organizzo ancora laboratori di vestizione del kimono, cerimonia del tè, calligrafia, seminari sulla storia delle geisha e sul loro portamento nonché laboratori di sushi.
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Adesso che hai un bambino frequenti il Paese,un po’ meno regolarmente di prima, ma comunque molto spesso. Come ti organizzi?
Sì, ho dovuto sospendere i miei viaggi per 4 anni per via della gravidanza prima e della chiusura del Giappone per la pandemia poi, ma direi che sto recuperando abbastanza bene visto che quest’anno sono venuta in Giappone 4 volte. Ora sto scrivendo dal treno che da Kyoto va a Kanazawa.
Mio figlio solitamente viaggia con me, dipende da quanto tempo devo rimanere. Se sono meno di due settimane sta a casa con mio marito e i nonni, se è di più viene con me. Questa estate siamo rimasti in viaggio un mese e mezzo tra Giappone, India e Nepal. Ora siamo partiti da 3 settimane e siamo a metà del nostro viaggio.
Diciamo che mio figlio (che si chiama Hiro, ovviamente nome giapponese) a 5 anni ha già un passaporto da far invidia a molte persone adulte.
Di cosa ti occupi?
Da dieci anni organizzo viaggi e accompagno gruppi. La prima volta che sono venuta in Giappone ho deciso da subito che avrei dovuto trovare il mondo di tornarci più spesso, ma ovviamente non è così facile potersi permetteredi viaggiare così spesso con un lavoro d’ufficio.
Inizialmente avevo aperto un’associazione culturale a Mantova che trattava di Estremo Oriente e dopo un paio di anni ho iniziato a organizzare i viaggi appoggiandomi per la parte organizzativa a delle agenzie di viaggio.
Poi invece ho trovato la mia socia Simona e abbiamo fondato l’agenzia Sogna Viaggi: non vendiamo pacchetti da catalogo ma tutto ciò che proponiamo l’abbiamo organizzato noi e provato personalmente. Oltre al Giappone proponiamo Cina, Mongolia, Tibet, Nepal, India e Malesia. A febbraio lei ed io andremo in Vietnam a provare un nuovo itinerario. Se ci piacerà, lo proporremo nei mesi successivi.
Ho anche un’altra attività, HappinessFactory.
Dovete sapere che i miei ultimi 5 anni li definisco “avventurosi”, nel senso che la vita mi ha messo in situazioni abbastanza complicate: le due principali sono stata la depressione post parto quando è nato Hiro e, dopo due anni, una diagnosi di tumore.
Ne sono uscita sapete grazie a che cosa? Alla cultura orientale.Passando tanti mesi all’anno nei Paesi dell’Estremo Oriente è stato inevitabile che buddhismo, meditazione, yoga, ayurveda (e anche Mindfulness, che deriva dal buddhismo) diventassero il mio stile di vita. Nei momenti in cui mi sono sentita persa ho trovato la forza di affrontare le difficoltà con tutte queste discipline orientali che già conoscevo e che insegnano a cambiare punto di vista, a non arrendersi, a diventare responsabili delle proprie scelte e della propria felicità.
Sono diventata insegnante di yoga e a oggi guido donne a superare i momenti difficili esattamente come ho fatto io. Da quasi due anni ho programmi di yoga e meditazione in oncologia e propongo percorsi individuali di yoga terapia, meditazione, mindfulness e ayurveda per donne che soffrono di stress, ansia, depressione post parto e attacchi di panico.
È un lavoro che mi dà tantissime soddisfazioni perché aiuto le persone a ritrovare equilibrio di mente, corpo e spirito… le guido ad arrivare alla felicità. Pensate che la maggior parte delle volte basta anche solo un mese e mezzo insieme per arrivare al traguardo perché bastano pochi switch mentali per cambiare mindset e vedere le difficoltà in modo diverso. Essendo che ho vissuto per prima quelle situazioni, capisco molto bene cosa si prova.
È facile, secondo te, per un italiano, avviare un’impresa in Giappone? Come funziona?
Un italiano non può prendere l’iniziativa e venire in Giappone ad aprire aziende: servono soci locali. Il Giappone è un Paese ancora molto chiuso e anche trovare lavoro non è facile. Bisogna sapere perfettamente la lingua e avere specializzazioni specifiche. Per farvi un esempio: se un’azienda ha bisogno di un programmatore informatico sarà più facile che venga assunto un giapponese piuttosto che uno straniero.
È più facile se un’azienda giapponese ha sede in Italia. Un italiano viene assunto nella sede italiana, se poi l’azienda si rende conto che il dipendente è particolarmente utile alla sede nazionale, allora può venire trasferito in Giappone.
Come funziona, invece, per chi vorrebbe studiare lì?
Per chi desidera venire a vivere in Giappone partire con la scuola è la strada giusta.Le aziende cercano nuovi dipendenti proprio nelle scuole per cui l’azienda garantirà allo Stato che la persona scelta è valida e può avere il permesso di soggiorno lavorativo.
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C’è anche da dire una cosa fondamentale e so che con questa frase smonterò il sogno di molte persone: il Giappone non è il Paese dei balocchi.
Qui la pressione mentale è ad altissimi livelli, soprattutto nell’ambito lavorativo. Le regole sono infinite e non è così facile come si possa immaginare riuscire ad abituarsi alla mentalità nipponica.
A me piace venire in Giappone e accompagnare gruppi di italiani a vedere quanto è bello questo Paese, ma non vorrei mai avere un titolare giapponese.
Come ti muovi per trovare gli alloggi? È facile trovarne?
Comprare casa in Giappone è come per il lavoro, devi avere qualcuno che fa da garante per te. Io non ho una sede fissa, vivo in hotel, sia quando accompagno i gruppi in viaggio, dato che ci spostiamo nelle varie città, sia quando vengo qui per formarmi, approfondire la mia conoscenza della cultura o provare nuove attività da poter poi proporre.
Il mio consiglio è di prendere sempre hotels vicini alle stazioni dei treni. In Giappone sono luoghi sicuri, non c’è da aver paura a girare di notte da sole in qualsiasi punto delle città.
Quali sono i costi medi e le città che, nella tua opinione, permettono di vivere bene spendendo il giusto?
Le spese più consistenti riguardano i trasporti: i mezzi sono fantastici (puliti e la rete è capillare, si arriva ovunque). Mangiare è molto meno costoso che in Italia, si può vivere con 5000 yen (intorno ai 30€) al giorno mangiando pranzo e cena al ristorante e con spuntini vari acquistati ai konbini, i supermercati sono aperti h24.Un ramen (che io adoro) costa sui 900/1000 yen (7 Euro circa), un onigiri 140 yen (meno di 1 Euro), un okonomiyaki (vi ricordate quello che cucinava sulla piastra Marrabbio, il papà di Licia?) sui 1600 yen (intorno ai 10 Euro).
Ovviamente poi ci sono anche ristoranti da 300 Euro come quelli di carne Wagyu o Kobe… ma non mangiando carne non saprei dare altri consigli.
Aggiungo una cosa importante: per chi è vegetariano è possibile mangiare ma non c’è molta varietà perché il concetto di vegetariano è ancora abbastanza sconosciuto. Magari si trova sul menu il ramen vegetariano perché non viene messa la fetta di carne, ma il brodo è sempre lo stesso, fatto con il maiale.
Anche se in Italia sono vegetariana, in Giappone sono una “finta vegetariana”. Bisogna sapersi adattare alla cultura locale e questo Paese, essendo cresciuto a riso, pesce, carne e uova, è ancora lontano dalle nostre abitudini alimentari.
Per chi è vegano è ancora più difficile, può mangiare solo frutta e riso bianco.
In India, Nepal e Tibet è molto più facile trovare la cucina realmente vegetariana e i costi sono minori.
In media, pensi che gli stipendi siano giusti per il costo della vita?
Sì, ho amici che abitano qui da tanti anni e hanno uno stile di vita come il nostro. Gli stipendi sono un po’ più alti dei nostri ma è tutto rapportato al livello di vita.
Come sei stata accolta dalla gente del posto?
Altra frase impopolare che sto per dire: in Giappone, finché sei turista, sei tollerato. Se dovessi trasferirmi qui e lavorare per un’azienda locale sarei per sempre considerata “la straniera”.
La gentilezza dei giapponesi è famosissima, ma fino a un certo punto. È vero che ci sono inchini e “sumimasen” (trad. “scusami”) in ogni occasione, ma quando ognuno sta al proprio posto.
Quali sono le caratteristiche peculiari della cultura giapponese?
La cultura giapponese è fantastica perché insegna il rispetto.
È vero che si aspetta ordinatamente in fila per salire su bus e treni; è vero che sui mezzi i cellulari sono tenuti silenziosi e che nessuno parla ad alta voce per non disturbare gli altri.
Per terra non ci sono spazzature e i bagni sono sempre puliti, nessuno si sogna si sporcare.
Aggiungo anche che è fantastico non aver paura di essere derubati. Mi è capitato tante volte di addormentarmi in treno con il cellulare sul tavolino o lasciare lo zaino incustodito sul sedile per andare in bagno senza avere l’ansia di non ritrovare più niente. È una sensazione incredibile.
Il Giappone è il Paese più sicuro in cui sia mai stata, e se penso a un giapponese che va a fare un viaggio all’estero un po’ mi spiace, perché per loro la possibilità di essere fregati o derubati è molto alta.
Figuratevi che in Giappone posso lasciare che Hiro vada al supermercato da solo a prendersi gli onigiri con tonno e maionese che gli piacciono tanto. Siamo stati ad agosto in India e non lasciavo neanche che camminasse davanti a me di 10 metri, dovevo sempre tenerlo per mano.
Cosa consigli a chi, come te, sta pianificando di andare in Giappone con un bambino piccolo?
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Faccio il giro largo e parto dicendovi che con Hiro ho iniziato a viaggiare che aveva 3 mesi, è stato un weekend di prova ad Amsterdam. Ho visto che lui ha reagito bene e allora non ci siamo più fermati. Figuratevi che il primo dentino gli è spuntato a Londra, ha iniziato a gattonare in Cina e a camminare alle Maldive.
Quando parlo con i genitori dell’asilo mi sento dire “come vorrei anche io prenotare un viaggio con mio figlio ma non ne ho il coraggio, aspetto che sia più grande”. E allora mi chiedo “perché aspettare?” I bambini nascono ovunque, basta adeguare il programma a ritmi più lenti e includere tappe che possano interessare anche ai nostri pargoli. Le paure e i problemi sono più nella nostra mente che nei fatti. Nell’ultimo anno e mezzo con Hiro ho viaggiato anche in Marocco, Maldive, India, Nepal, Thailandia, Dubai, Giordania, Spagna, Inghilterra (e probabilmente dimentico ancora qualcosa). Vi assicuro che ovunque ho trovato persone molto più gentili e disponibili ad aiutarmi perché avevo il bambino.
Dato che ti occupi anche dell’organizzazione di viaggi, che consigli daresti ai nostri lettori che stanno programmando un viaggio in Giappone?
Di farlo senza pensare troppo ai dettagli. Nei gruppi sui social leggo di proposte di itinerari che sono dei veri tour de force, e credo sia un peccato riempirsi di cose da fare senza avere il tempo per godersele.
Ma questo è un consiglio che è valido per tutti i viaggi in generale, non solo per il Giappone.
Puoi consigliare qualche luogo o attività poco conosciuti che, secondo te, meritano?
Di poco conosciuto sul Giappone oramai c’è poco. Ricordo che otto o nove anni fa, quando ho iniziato a interessarmi al buddhismo, ero andata in uno dei luoghi più importanti, il Monte Koya. È stata una bellissima esperienza: ho dormito in un monastero(shukubo) e visitato posti indimenticabili. Un paese di 1 km e mezzo con nessun turista, 3 ristoranti che chiudevano alle 16.30, un unico konbini, solo negozi di oggettistica spirituale.
Ci sono tornata con un gruppo questa estate e sono rimasta molto amareggiata: nel monastero un monaco americano chiedeva le offerte di 1000yen, infiniti pullman di turisti molto chiassosi, negozi di “cinesate”… non so se ci ritornerò con un gruppo, ultimamente sto organizzando anche tour dedicati alla spiritualità con yoga e meditazione. E lì purtroppo di zen ne è rimasto poco, anche se i luoghi sono ancora molto belli.
Invece il sud è stata una bella scoperta che ho fatto questa estate. È che solitamente per visitare il Giappone si hanno a disposizione due settimane di ferie e ci si limita alle città più conosciute, ma per chi ne avesse una o due in più consiglierei di visitare la regione del Kyushu: è un mix tra natura e modernità molto interessante, soprattutto la parte di Beppu, con il Monte Aso, le onsen con acque termali e i sette inferni, sette siti geotermici con vasche di acqua bollente ognuna con un colore diverso per via dei minerali che compongono l’acqua.
Che suggerimenti hai, invece, per chi vorrebbe trasferirsi lì?
Per trasferirsi in Giappone serve un grande cambio di mentalità, ma questo è un discorso valido per ogni luogo. Fare una vacanza è diverso che andare a vivere in un posto nuovo. In vacanza si vedono le cose belle, poi metterci le radici è un altro discorso.
Con questo non voglio scoraggiare chi ha il grande sogno di venire a vivere in Giappone. Dal momento che bisogna sapere la lingua, passare qui un anno o due a scuola è già farsi un’idea di come saranno il futuro e le nuove abitudini.
Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa di diverso?
Sono del parere che le cose accadono nel momento in cui devono accadere.Vi potrei dire che mi sarebbe piaciuto venire in Giappone prima ma probabilmente l’avrei vissuto come un viaggio con scopo turistico e sarebbe finita lì… o forse no. Chi lo può dire?È andata così, sta andando così, va bene così
Quali sono, secondo te, le differenze e gli eventuali punti in comune fra lo stile di vita giapponese e quello italiano?
Direi che sono entrambi Paesi molto evoluti per cui chi viene in Giappone per la prima volta farà un viaggio indimenticabile. In Italia dico sempre che siamo molto fortunati, siamo abituati bene, e questo è valido anche per il Giappone.Per farvi capire ti faccio il paragone con un Paese che mi piace tantissimo (e che dal 2024 inizierò a proporre ai gruppi) come il Nepal: può essere che in certi momenti manchi l’acqua in bagno, o che non ci sia l’acqua calda per la doccia, o ancora che ci siano intoppi tecnici con i mezzi di trasporto durante il viaggio. In Italia e in Giappone c’è decisamente molta meno probabilità che queste cose succedano. Siamo abituati bene. Ogni tanto un viaggio in Paesi più poveri sarebbe d’obbligo per farci ricordare quanto siamo fortunati.
Mi è appena venuto in mente un ricordo di questa estate. Dal mese in Giappone Hiro ed io siamo partiti con una borsa piena di giochi e pupazzetti che gli avevano regalato o che si era comprato con “il suo stipendio” (perché quando ho i gruppi cerco di coinvolgerlo dicendo che mi deve fare da aiutante, a fine giornata il suo stipendio è di 100 yen – poco meno di un Euro – con cui si può poi comprare i giochi). Negozi di giochi e gadget in Giappone ce ne sono a ogni angolo.Siamo arrivati in India: i negozi di giochi praticamente non esistono, e quando esistono hanno cose talmente semplici per la sua età che non c’era niente che lo potesse interessare. Ricordo ancora che si era messo a piangere e gli avevo fatto notare che lì i bambini non avevano neanche le scarpe, altro che robots, Happy Meal, Pokemon e Tamagotchi!
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Per tornare a rispondere alla domanda, il Giappone ha in comune con il nostro Paese tutte le comodità a cui noi siamo già abituati. Di migliore ha sicuramente la sicurezza, valori come il rispetto e la possibilità di far diventare indipendenti prima i bambini.
Cos’hai imparato, finora, frequentando così spesso il Giappone?
Il Giappone, ma più in generale la cultura orientale, mi hanno cambiato la vita.
Avevo un lavoro sicuro come insegnante alle superiori di grafica pubblicitaria ma a un certo punto mi sono trovata a dover scegliere se insegnare o accompagnare gruppi. Come è andata l’avete capito. Sono quindi molto grata al Giappone e più in generale all’Estremo Oriente per avermi insegnato così tanto, e sono grata a me stessa per essere stata in grado di fare scelte che mi hanno portato ad avere due lavori molto invidiati. Sapete quante volte mi dicono “come sei fortunata a viaggiare così tanto! Che bella vita che fai!”? In realtà è stato un processo lungo, durato anni, con scelte non sempre condivise da chi avevo vicino a quei tempi. Io ora sono sposata e il mio compagno accetta che io sia via di casa con nostro figlio anche per diverse settimane, e questo non è da tutti. Mi ha conosciuto che già facevo questo lavoro quindi non è stata una sorpresa che sia tornata a viaggiare anche da mamma ma prima di lui c’è stata una persona che non accettava la mia lontananza e immaginava tradimenti e chissà quali cose nascoste perché non faceva i conti con le 8 ore di fuso orario: magari mi mandava messaggi prima di cena, per me era notte per cui non rispondevo. La verità è che per me è stato sempre e solo lavoro, e il male esisteva per lui perché voleva a tutti i costi trovarcelo.
Progetti futuri?
Hiro il prossimo anno compirà sei anni per cui i viaggi si limiteranno alle due settimane di Pasqua e all’estate; continuerò a organizzare viaggi ma lascerò accompagnare di più i tour leader della nostra agenzia. In contemporanea, mi dedicherò maggiormente a HappinessFactory con i percorsi individuali con yoga, meditazione, mindfulness e ayurveda dedicati alle donne che, come ho già spiegato, si trovano in momenti difficili per via di ansia, stress, attacchi di panico, depressione post parto o che devono affrontare diagnosi mediche infelici.
Una cosa è sicura: senza viaggi non riesco e non voglio stare, viaggiare è la mia terapia, mi rende felice perché dagli altri c’è sempre qualcosa di bello da scoprire e imparare.
Per seguire e contattare Elisa:
E-mail: vivereloriente@gmail.com
Sito web (facoltativo):www.happinessfactoryitalia.com e www.sognaviaggi.it
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