Dove vivere dignitosamente da pensionati all’estero

A cura di Gianluca Ricci

 

L’esercito dei pensionati in fuga dall’Italia è in continuo aumento. E lo sarà sempre di più se gli accordi bilaterali fra l’Italia e alcuni dei più attraenti Paesi del vecchio continente continueranno a mantenere inalterati gli indubbi vantaggi a favore di chi si sposta altrove.

Una specie di controsenso, visto che dall’esodo di chi percepisce la pensione l’Italia ci rimette anziché no. Lo ha spiegato a chiare lettere l’Inps, denunciando l’anomalia della norma che permette ad un pensionato di percepire al lordo le sue spettanze all’estero, purché ivi residente, consentendogli di versare le tasse dovute al Paese ospitante, solitamente meno impegnative rispetto a quelle del Paese d’origine.

Ciò che viene erogato a chi ne ha diritto non rientra così in circolo attraverso acquisti o investimenti, “uno scippo – così è stato definito dall’Inps – alla nostra economia a favore di altri Paesi”.

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Ma cosa può importare di queste implicazioni macroeconomiche a chi, dopo decenni di lavoro, si vede riconoscere una cifra con la quale, a casa sua, potrebbe permettersi di sopravvivere o poco più e che invece investita in un altrove più vantaggioso gli consentirebbe di cavarsi anche qualche piccola soddisfazione?

Delle straordinarie condizioni che il Portogallo fa ai suoi nuovi ospiti si è già scritto (vivere in Portogallo da pensionato). Ma non c’è solo il Portogallo dove vivere da pensionato italiano, in Europa, dove far fruttare più convenientemente la pensione. Fatti 100 i prezzi generali di merci e servizi secondo la media Ue, se in Italia si finisce per spendere 102 e in Francia 108, in Spagna si riesce ad arrivare a 92; più allettanti le prospettive per chi vuole vivere in Grecia da pensionato (86) o, appunto, in Portogallo (84); imbattibile l’offerta della Croazia, che con il suo 66 quasi dimezza il costo della vita rispetto al nostro Paese.

Nel computo dei vantaggi e degli svantaggi bisogna infatti considerare anche la portata effettiva di quello che si andrà a spendere, non solo la cifra mensile della quale si potrà disporre, al netto di tutte le tasse. E così pare di capire che, secondo quanto elaborato dall’Eurostat, il Paese che oggi permette a chi decide di trasferirsi di fare la bella vita è proprio la Croazia.

Se le tasse non sono esenti per i primi dieci anni di residenza, come accade invece in Portogallo, tuttavia le quote rimangono piuttosto basse, entro una forbice che va dal 12 al 25%: se ad esse si aggiunge il minor costo della vita, alla fine ci si può addirittura permettere il lusso di decidere dove andare a trascorrere gli ultimi anni della propria esistenza.

▶ Quali sono i  paesi dove scelgono di vivere i pensionati all'estero? ◀

Una scelta che si può addirittura allargare anche a qualche altro orizzonte, visto che i pensionati in Spagna si limitano a versare il 9,5% di tasse sulla loro rendita mensile, in Francia addirittura il 5,2% e in Grecia fra il 22 e il 35%. Per godere di tutti questi vantaggi fiscali bisogna però ottemperare ad alcune richieste, prima fra tutte quella – decisiva – di affittare o acquistare casa all’estero e stabilirvisi per almeno 184 giorni all’anno, operazione che comporta la rinuncia automatica a domicilio e residenza in Italia; il passo successivo è quello di cancellarsi dall’anagrafe italiana e iscriversi all’Aire, ovvero l’anagrafe degli italiani residenti all’estero; infine si deve richiedere l’erogazione della pensione su un conto corrente bancario estero, dove le cifre dovute verranno versate a cadenza mensile, esattamente come accadrebbe se si rimanesse a vivere in Italia.

Brutte notizie però per gli ex dipendenti pubblici, coloro, per capirsi, che hanno goduto fino ad un certo periodo del trattamento pensionistico presso l’ex Inpdap: costoro, nei Paesi sopra indicati, a causa di un corto circuito burocratico finirebbero per essere tassati sia in uscita dall’Italia che in entrata nel nuovo luogo di residenza. Per loro molto meglio Cile, Australia, pur con qualche distinguo, e soprattutto Tunisia. L’importante è però trovare una motivazione che non si limiti ai vantaggi economici: l’espatrio altrimenti si trasformerebbe in una specie di triste esilio economico e la depressione sarebbe il passaggio successivo.