Annalisa: In Svizzera non è tutto oro quello che luccica

A cura di Maricla Pannocchia

“Spesso, quando le persone pensano al trasferimento all’estero, s’immaginano una meravigliosa avventura”, racconta Annalisa, siciliana, che ha vissuto per diversi anni in varie città della Svizzera, “Ma, in realtà, spesso ci ritroviamo ad affrontare malinconia e difficoltà di vario tipo.”

Quando, alla soglia dei 30 anni, complice un periodo di forte crisi personale, Annalisa ha deciso di andare a trovare delle cugine che abitavano da sempre a Montreux, in Svizzera, non si aspettava che, aiutando un’amica che aveva appena aperto un ristorante lì, si sarebbe ritrovata assunta! E così la donna, che nel frattempo si è sposata ed è diventata madre, ha vissuto a Montreux e Losanna nel Vaud e Monthey, in Vallese. A Monthey, però, Annalisa e la sua famiglia non si sono trovati per niente bene, soprattutto dal punto di vista umano.

Adesso la donna è tornata in Italia perché si è resa conto che sarebbe stato impossibile insegnare alla figlia a crescere libera, se fosse rimasta a Monthey. “Spesso pensiamo che, per essere felici, basti avere la meritocrazia o uno stipendio alto ma, di solito, in tali scenari siamo costretti a sacrificare il nostro lato emotivo. Non per niente, la Svizzera è il Paese con il più alto tasso di suicidi in Europa.”

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Annalisa Baeli Svizzera

Ciao Annalisa, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Mi chiamo Annalisa Baeli, ho 39 anni e vengo da un piccolo paese montano della provincia di Messina, Novara di Sicilia.

Professionalmente, credo di aver variato molto anche a seconda dell’età. Durante gli anni del liceo, ho fatto la cameriera e lavorato in alcuni locali. Subito dopo il diploma ho fatto la commessa per parecchio tempo, fino all’età di 25 anni, quando ho deciso di mollare il lavoro per riprendere a studiare. Ho cercato di arrotondare dando lezioni private di italiano, storia e latino fino a quando, solo per puro caso, mi sono trasferita in Svizzera.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Non è stata una vera e propria decisione, forse è stata la vita a scegliere per me. Alla soglia dei 30 anni attraversavo una forte crisi personale, avevo bisogno di allontanarmi per qualche tempo e, cogliendo l’occasione di rivedere le mie cugine che da sempre vivono a Montreux, decisi di andarle a trovare per qualche settimana.

Come mai hai scelto di trasferirti proprio in Svizzera?

Mi si è presentata l’occasione, in quel momento un posto valeva l’altro.

Conoscevo bene Montreux poiché i miei nonni ci hanno vissuto per più di cinquant’anni e metà della famiglia di mio padre era ancora lì. Quella che era iniziata come una vacanza, in poche settimane si è rivelata essere una buona opportunità per mettere radici. Ho sempre avuto la passione per la ristorazione, ambiente nel quale avevo lavorato per parecchio tempo in Italia. Un’amica aveva da poco aperto un ristorante italiano a Montreux e, per qualche sera, mi chiese di aiutarla. Alla fine della settimana, invece, decise di assumermi!

Dove abitavi e di cosa ti occupavi?

Devo dire di essere stata molto fortunata. I miei nonni avevano lasciato un intero palazzo di loro proprietà in Svizzera e, d’accordo con mio padre e mio zio, presi l’appartamento più piccolo tutto per me!

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

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Con il senno di poi, ammetto che erano tutti più entusiasti di me!

Come ti sei organizzata prima della partenza?

Per me è stato facile. La casa era già arredata e ho fatto solo in modo che mia madre mi inviasse tre scatoloni di vestiti per l’inverno. Dal punto di vista burocratico, una volta firmato il contratto di lavoro, ho ottenuto un permesso di soggiorno provvisorio.

Annalisa Baeli Svizzera

Avevi dei dubbi o delle paure? Se sì, si sono rivelati fondati?

Può sembrare sciocco, ma l’unica mia preoccupazione riguardava la lingua. A scuola e all’università avevo sempre studiato inglese, addirittura tedesco, ma il francese era davvero un idioma sconosciuto del quale non avevo nemmeno le basi. Il lavoro a contatto con il pubblico, invece, ha agevolato l’apprendimento della lingua e le difficoltà sono state mitigate dal fatto che buona parte dei colleghi fossero italiani, quindi non avevamo problemi di comunicazione.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Qui mi tocca fare un excursus più approfondito. Nei miei quasi dieci anni in Svizzera ho avuto modo di vivere in tre città differenti di due cantoni diversi. Montreux e Losanna nel Vaud e Monthey, in Vallese. Penserete che un Paese così piccolo come la Svizzera non comporti grossi cambiamenti da un cantone all’altro, ma in realtà è proprio così. Una confederazione come quella Elvetica tende a conservare proprie usanze, modi di vivere e di pensare, e ogni cantone ha una cultura propria che si può ritenere tratto distintivo di ognuno. Sia a Montreux sia a Losanna, città che ha accolto mio marito ben 23 anni fa, non ho avuto alcun problema a integrarmi, trovare degli amici, sentirmi parte viva di città multiculturali e attive. Tuttavia, sentimmo il desiderio di cercare un posto più piccolo, più a misura di bambino, meno caotico e più familiare. Scegliemmo quindi di trasferirci a Monthey dove addirittura, in pochi mesi, riuscimmo anche a comprare casa, cosa che a Losanna ci sarebbe stato impossibile, visti i prezzi. A Monthey però le cose non andarono bene, soprattutto dal punto di vista umano. Gli stranieri non sono ben visti, se ne ha una visione stereotipata e alquanto retrograda (io per prima mi sono sentita dire “l’italiana che parla con le mani”) e inoltre ho trovato un ambiente misogino e poco propenso al confronto. Tutto è molto selettivo, a partire dalle amicizie: gli italiani con gli italiani, gli spagnoli con gli spagnoli, i portoghesi con i portoghesi…

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Ricordi che cos’hai provato durante i primi giorni di vita lì?

I primi giorni a Monthey ero entusiasta, girai l’intero paese con mia figlia di pochi mesi nel passeggino, scoprendo bellissimi paesaggi, negozietti biologici e parecchi parchi. Mi ricredetti quasi subito quando una mattina, per un piccolo errore nei miei documenti appena emessi, mi recai al Comune chiedendo qualche informazione. Dovetti chiedere all’impiegato di ripetere cosa avesse detto, perché non riuscivo a credere alle sue parole: “non può venire suo marito? Sa, da queste parti, di queste cose se ne occupano gli uomini.” Immaginate me! Una donna siciliana, cresciuta in un piccolo paese di montagna che si scontrava per la prima volta con questo tipo di atteggiamento in un Paese che reputava all’avanguardia. Il mio piccolo paese, a confronto, mi sembrava Woodstock!

È facile trovare un alloggio? Quali sono i costi medi?

Anche in questo caso, la facilità nel trovare un appartamento e i relativi costi variano da cantone a cantone. Innanzitutto, per stipulare un contratto d’affitto si necessita di busta paga o contratto di lavoro, permesso di soggiorno valido e un’attestazione nella quale vengono riportati eventuali debiti con l’ufficio delle imposte o con le assicurazioni in generale. Gli affitti partono da una base di 1000 franchi in media, per un piccolo monolocale in periferia.

Come valuteresti la sanità, la burocrazia e i mezzi pubblici?

Ineccepibili! La sanità, come è ben noto, in Svizzera è privata, alimentata dai cittadini attraverso il premio assicurativo obbligatorio (LAMAL) e le assicurazioni complementari. I premi in generale sono abbastanza alti, per le donne più che per gli uomini, ma i servizi offerti sono ottimi. La burocrazia è piuttosto snella, grazie a un’ottimale suddivisione del lavoro negli enti, e i mezzi pubblici offrono più di un’opportunità a chi ha necessità di muoversi così.

Annalisa Baeli Svizzera

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Come bisogna muoversi, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare in Svizzera?

La legislazione prevede di poter rimanere in Svizzera fino a tre mesi senza avere un permesso di soggiorno. Superati i tre mesi, o si consegna un contratto di lavoro regolare o si dovrà lasciare il Paese. In base al contratto di lavoro, verrà rilasciato un permesso di soggiorno (il G per i frontalieri, permesso L per gli stagionali, o B per gli indeterminati che sono da meno di dieci anni sul territorio. Passati i dieci anni si può richiedere il permesso C che equipara alla quasi cittadinanza).

Cosa si fa, lì, in ambito artistico, ricreativo e culturale?

Anche in questo caso, molto cambia da regione a regione. Losanna, Montreux, Ginevra o Berna, sono città che offrono moltissimo dal punto di vista artistico e culturale. Per i paesi più piccoli è tutto ridimensionato e, in alcune zone, quasi nullo.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi in Svizzera?

Di pensarci molto bene! Tutti pensano sempre a una bellissima avventura da vivere all’estero, il più delle volte, invece, si rivela essere una vita di sacrifici e malinconie. Per gli italiani che in sé hanno una forte cultura della famiglia, dei rapporti amicali, vivere in un paese dagli affetti “freddi e sterili” può comportare più di un problema, soprattutto umano. Consiglio di chiedere su forum o pagine dedicate sui social, perché la Svizzera, vista da chi ci vive, ha quasi sempre una doppia visuale.

E quali a chi vorrebbe venire in vacanza lì?

Se si cercano relax, silenzio, pulizia, è il luogo ideale, anche se a caro prezzo.

Hai avuto modo di visitare dei posti meno conosciuti dai turisti, che vorresti consigliare ai nostri lettori?

Direi che ci sono dei luoghi da non farsi sfuggire, piccole perle poco conosciute: il museo dei Queen presso il casinò di Montreux, i bagni di Lavey, il museo delle Belle Arti di Losanna…

Sei anche una scrittrice dei tuoi romanzi. Ti va di parlarcene?

Credo che il mio malessere nella vita in Svizzera, c’entri parecchio con la nascita dei miei romanzi. Il lockdown per noi non è stato duro come in Italia, si è avuto un approccio che contrastava con tutto ciò che noi italiani, ogni sera, sentivamo dai telegiornali o dai nostri parenti e amici. La scrittura è quindi iniziata come valvola di sfogo, anche se è una più vecchia passione rimasta confinata nei famosi cassetti. Il lockdown mi ha dato opportunità di dedicarmi seriamente a essa, anche se mai avrei pensato di farne un mestiere, Tuttavia, quasi tre anni dopo, ho ben due pubblicazioni alle spalle, entrambe per la Pav Edizioni. La prima s’intitola “Nap- Non avere paura”, presentato a Una marina di libri nel giugno 2022. L’ultimo mio romance invece è “La strada di casa”, presentato al SalTo23 e andato sold-out in pochi giorni. Per Pav Edizioni ho anche curato il concorso e la relativa antologia “Sicilia in penna” e, da poche settimane, sono diventata uno dei direttori scientifici per RomancePav, esattamente per la collana Chicklit.

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Annalisa Baeli Svizzera

Che cosa ti ha spinta a rientrare in Italia?

Si sono sovrapposti bisogni e necessità differenti. Avevo dei libri da promuovere e in sostanza, né io né mio marito volevamo che nostra figlia vivesse e crescesse in un ambiente limitante come quello che avevamo trovato a Monthey. Insegnarle a essere libera di scegliere, dire, fare, per noi è sempre stata la prima responsabilità come genitori, e l’Italia, di che se ne pensi e se ne dica, offre tutto ciò.

Che cos’hai imparato, vivendo in Svizzera?

Ho imparato che non bastano stipendi alti, ordine e meritocrazia per essere felici. Questi tre elementi fanno di un essere umano un “essere professionale”, ma la sua parte emotiva è sacrificata. Non è un caso che la Svizzera sia il Paese con il più alto tasso di suicidi in Europa.

Progetti futuri?

Non mi piace fare progetti, voglio solo essere pronta a cogliere ogni opportunità che mi si presenterà davanti!

Per seguire e contattare Annalisa:

Facebook: Annalisa Baeli

Instagram: annalisa.baeli

E-mail: annalisamaria.baeli@gmail.com