Intervista con Walter Sinigoi, ideatore di CVPRO

Di Enza Petruzziello

Italiani popolo di lavoratori, purché sia a tempo indeterminato. Lo ha descritto bene Checco Zalone, nel film Quo Vado, in cui il protagonista faceva di tutto pur di non rinunciare all’ambito posto fisso. Ma è davvero ancora così? In un mondo lavorativo sempre più precario e incerto, dove insieme alle competenze è richiesta una maggiore flessibilità, e in cui lo smart working non è più un’utopia, vale la pena ancora sognare di essere assunti definitivamente quando di definitivo, in fondo, c’è poco e niente?

Secondo una recente indagine di Randstad Workmonitor, multinazionale dei servizi per la gestione del personale, condotta in 33 Paesi su campioni di 400 persone in ogni nazione, ben tre lavoratori su quattro — il 74% — si sono rassegnati all’idea che la carriera di una vita all’interno della stessa azienda non esista più. In particolare sono le donne e i senior ad essere convinti che la flessibilità sia ormai diventata la regola, più propensi forse al cambiamento e all’ampliamento dei propri contatti. La disfatta del posto fisso, infatti, non è detto sia una sciagura come molti pensano. Al contrario può rilevarsi un’opportunità: di carriera, di crescita personale e professionale, di grande dinamismo.

Ne è convinto Walter Sinigoi, giovane Business Manager di Curriculum Professionale, start-up che offre molteplici servizi di Personal Branding utili ad incrementare le opportunità lavorative delle persone attraverso la riscrittura del curriculum vitae, la stesura della cover letter, l’ottimizzazione dei profili virtuali indispensabile per incrementare la visibilità online dei candidati, una consulenza strategica per ricercare una nuova potenziale professione utilizzando i canali multimediali in modo efficace, lo sviluppo di siti web indirizzato a realtà aziendali presenti nel territorio e così via. Trentotto anni, triestino, una laurea in Scienze della Comunicazione, un MBA in International Business ed esperienze in grandi aziende del calibro di Lamborghini e Microsoft, Walter sa chi cerca lavoro e come lo cerca, e al contempo è informato su coloro che offrono lavoro e su come lo offrono.

Walter Sinigoi, ideatore di CVPRO

Walter le trasformazioni dell’economia hanno reso tutto più flessibile e volatile, spingendo le imprese a rivisitare i loro modelli organizzativi: all’insegna dell’adattabilità al tempo stesso della precarietà. La parola d’ordine è adesso flessibilità. Ma esiste ancora il mito del “posto fisso”?

«Non ho intenzione di negare che, tra la proposizione di un contratto precario e un’allettante posizione professionale a tempo indeterminato, ciascuno di noi si getterebbe a capofitto sulla seconda scelta. Questo è un dato di fatto, incontrovertibile. Quelli che appaiono in maniera più nebulosa, sono i rischi che ogni tipologia di contratto porta con sé, tempi indeterminati inclusi. In altre parole: e se tra qualche anno o mese l’azienda presso la quale avete un posto fisso dovesse fallire? O se vi licenziassero per giusta causa? O se magari dovreste necessariamente abbandonare il vostro posto di lavoro per necessità personali? In questi casi, chi si dimostra più competitivo tra una persona che ha passato vent’anni della propria esistenza all’interno di un’unica azienda e chi invece è abituato al cambiamento? La risposta viene da sé».

Per molti rimanere a lavorare per tutta la vita nello stesso posto è rassicurante. Per altri può rappresentare una condanna, perché tutto ciò che è sicuro, robusto, solido, spesso non si rompe né migliora. Chi fa sempre lo stesso lavoro, dunque, si troverà in maggiore difficoltà in caso subisse un cambio di direzione obbligato?

«Sì. Chi è abituato a cambiare professione spesso, reagisce in maniera molto più efficace e rapida allo shock generato dalla perdita dell’occupazione, volontaria o meno che sia. Con ogni probabilità, conoscerà più in profondità gli strumenti che gli permettono di ritrovare velocemente lavoro in quanto ne ha già fatto uso più volte, e potrà contemporaneamente contare su una serie di contatti professionali più amplia e utile rispetto a colui che sinora è rimasto immobile, guidato dagli eventi. La persona con l’attitudine a “mettersi in gioco”, avrà con tutta probabilità coltivato una serie di competenze diversificate in più ambiti, con la conseguenza di possedere un paniere di scelta più elevato rispetto ad i suoi competitor».

Essere aperti al cambiamento spesso comporta incertezza ed errori. Sbagliare è sinonimo di crescita?

«Assolutamente. La persona predisposta al cambiamento ama il caso e l’incertezza, il che significa anche, ed è fondamentale, che non ha paura di sbagliare. L’errore permette di apprendere, approfondire e sviluppare nuove tematiche, consentendoci di acquisire capacità che potremo utilizzare in seguito per amplificare le possibilità lavorative. Lo stesso sviluppo economico moderno viene guidato proprio da coloro che osano di più: imprenditori che immaginano un’idea vincente, costruiscono il loro progetto e rischiano tutto pur di realizzarlo. Nel metodo per tentativi l’elemento casuale non è poi così casuale, se lo si porta avanti con razionalità utilizzando l’errore come fonte di informazione. Ogni tentativo fornisce informazioni su ciò che non funziona, consentendoci di avvicinarci sempre di più ad una soluzione. In questo senso, l’errore è un grande investimento».

Hai parlato prima di “rischi occulti” del lavoro a tempo indeterminato. Che cosa intendi esattamente?

«I rischi degli impiegati a tempo indeterminato, a differenza dei lavoratori autonomi, non sono facilmente identificabili. I primi potrebbero rimanere di sasso vedendo il loro reddito azzerarsi dopo una telefonata dell’ufficio risorse umane, che comunica il loro licenziamento. Questo discorso non vale per le professioni autonome, abituate a scontrarsi con piccole variazioni che costringono chi le subisce ad adattarsi e cambiare continuamente, imparando dall’ambiente e sentendosi, in un certo senso, stimolati a dimostrarsi all’altezza. Inoltre, chi predilige una professione autonoma ha la libertà di continuare finché non ce la fa più, mentre l’impiegato non può deciderlo, perché a cinquant’anni non lo assumerebbe più nessuno».

Quali sono i vantaggi di un lavoratore flessibile?

«La persona flessibile ha maggiori possibilità di conoscere i propri punti di forza, che vengono quotidianamente coltivati attraverso la sperimentazione pratica. Ciò consente di indirizzarsi verso professioni che esaltino le qualità personali, strategia sicuramente più profittevole e divertente rispetto a chi cerca disperatamente di compiacere il proprio superiore nonostante svolga da vent’anni o più una professione che odia».

Parliamo di pensioni, uno dei maggiori freni al cambiamento. Questo beneficio è ancora così inattaccabile?

«Il rischio di porsi un traguardo a lunghissimo termine come quello pensionistico, è di farci perdere il presente. La pensione non distingue tra una professione “soddisfacente” e una “da incubo”, ma è interamente basata su una gratificazione economica. Lasciarsi influenzare eccessivamente da questo obiettivo significa scegliere di sopportare amaramente un lavoro – per quanto terribile esso sia – durante gli anni migliori della propria vita, invece di costruire il proprio futuro attraverso una professione più gratificante. Inutile dire che niente al mondo può giustificare un simile sacrificio. Inoltre, la maggioranza delle persone non riuscirebbe a mantenere uno standard di vita comparabile con quello attuale basandosi unicamente sulle entrate pensionistiche. Alcuni non riuscirebbero nemmeno a mantenersi considerando che l’inflazione diminuisce costantemente il potere di acquisto. Senza contare che nulla garantisce la tenuta del sistema pensionistico durante i prossimi venti, trenta, quarant’anni e più. Anche volendo essere ottimisti e ipotizzando di trovarci di fronte ad una pensione soddisfacente, siamo sicuri che tutte queste persone iper-attive, guidate da ambizione e voglia di fare, non morirebbero dalla noia dopo una settimana in pensione? Magari sceglierebbero di aprire una attività in proprio o continuerebbero la propria professione. La domanda sorge spontanea: vale la pena attendere per così tanto tempo un traguardo da cui rifuggire subito dopo?».

Walter Sinigoi

Quali consigli daresti a chi sta pensando di cambiare lavoro ma ha paura di perdere il posto fisso?

«Un contratto a tempo indeterminato è sicuramente fondamentale per la tenuta sociale. Ciò però non significa che sia l’unica forma di sopravvivenza possibile, né tantomeno quella migliore. Per chi non c’è l’ha, per chi odia la propria professione, per chi desidera crescere sperimentando nuove opportunità professionali che sono presenti “lì fuori”, cito Nassim Nicholas Taleb, saggista, filosofo e professore all’Università di New York: “Se correte rischi e affrontate il destino con dignità, niente di ciò che fate potrà rendervi piccoli; se non correte rischi, niente di ciò che fate potrà rendervi grandi, niente”».

Si tratta comunque di un rischio notevole, considerando il quadro economico attuale…

«Senza ombra di dubbio. Infatti, prima di farlo, una persona dovrebbe creare le condizioni per diminuire il più possibile il rischio di andare a sbattere contro un muro. Detto questo, trovo che spesso le nostre definizioni del termine “rischio” siano alquanto fuorvianti. Non risulta forse più rischioso sperperare l’intera esistenza in qualità di sudditi di una professione da noi odiata con tutto il cuore? Perlomeno, il rischio del cambiare percorso professionale prevede una possibilità di riuscita. Nella società attuale non si fa altro che parlare di “rischi”, di “emergenze”, quasi fossimo posti sotto assedio da un nemico invisibile. Etichettiamo come “emergenze” delle problematiche che in realtà non lo sono affatto. Pensiamo ad esempio alla questione dei flussi migratori, tema esistito da sempre ma enfatizzato in maniera incredibile da alcuni politici del nostro tempo. E contemporaneamente rifuggiamo dalle problematiche internazionali più rilevanti, come il surriscaldamento globale. Anche il disastro nucleare di Fukushima fu causato da una previsione errata dell’indice di rischio stesso: furono stanziati dei fondi economici enormi per “prevedere eventi non prevedibili” implementando alcuni stress test ingenui invece di utilizzare tutte le risorse per mettere in massima sicurezza le centrali nucleari. Purtroppo, è il nostro stesso concetto di “razionalità” ad essere fallace, influenzato com’è da politici e media. Lo stesso ragionamento si ripercuote nel mercato del lavoro: spesso, ci affanniamo a rincorrere il fatidico posto fisso senza vedere che il terreno crolla sotto i nostri piedi. La crescita in Italia è ferma da oltre un decennio, lo sviluppo economico si è mosso altrove (Asia in primis), e il debito pubblico risulterà tra non molto completamente fuori controllo. A questo aggiungiamoci pure una classe politica incapace e il dado è tratto».

Restando in tema di lavoro, secondo la tua esperienza dove si sta dirigendo il mercato? Quali sono attualmente i mestieri “utili e profittevoli” verso la quale indirizzarsi?

«Domanda ostica. È sempre difficile prevedere il futuro, ancora di più in un contesto di “società liquida” (rubando il termine al sempre attuale Z. Bauman) come quello odierno. Ci sono però alcuni trend che sono relativamente chiari: il mercato si sta spostando da una logica funzionalista ad un approccio molto più creativo. Guardiamo i grandi nomi delle multinazionali di successo oggi: vi troviamo Apple, Facebook, Google, tutte aziende estremamente diverse rispetto a quelle dominanti durante il fordismo o il post-fordismo, dove dominava la logica della catena di montaggio. È facile comprendere che da qualche tempo, i mestieri lineari e ripetitivi sono stati “ereditati” dalle macchine. Queste ultime sono molto più veloci di qualsiasi essere umano nello svolgere mansioni di questo tipo, non c’è semplicemente storia. Inoltre, ritrovarsi a competere con i Paesi in via di sviluppo su mestieri di natura lineare significa andare a suicidarsi: l’India ha i migliori ingegneri del mondo, il loro salario è bassissimo e la loro produttività è estremamente elevata. Non ci resta quindi che puntare sulla parte creativa, che probabilmente è anche quella più interessante. La creatività, l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, il design, risultano irriproducibile da qualsiasi macchina, almeno per ora, e le competenze richieste per raggiungere livelli di eccellenza rientrano di più nelle nostre corde di italiani, di europei, di occidentali direi. Da questo punto di vista, l’economia cinese e quella indiana non sono ancora in grado di competere».

Come si sposa il concetto di “utilità” con quello di “mestiere creativo”?

«Il concetto stesso di utilità è stato spesso utilizzato in modo distorto da noi occidentali. Cosa significa utilità? Rispetto a cosa la si misura? Per uno scrittore, risulterà senz’altro più “utile” leggersi le opere letterarie di Lev Tolstoj o Fëdor Dostoevskij rispetto a qualsiasi manuale di fisica quantistica presente sul mercato. Discorso inverso per un Ingegnere. Per quanto mi riguarda, le attività maggiormente “utili” sono quelle che mi fanno sentire bene, anche se non servono “funzionalmente” a nulla. L’arte è forse “utile” a qualcosa? No, eppure senza di essa non potremmo definirci pienamente umani. Gli stessi assassini dell’Isis colpiscono i siti archeologici, i reperti storici, i monumenti religiosi, nel folle tentativo di eliminare la storia stessa di un’intera civiltà. Non mi risulta vadano in giro a distruggere una fabbrica di scarpe, no?».

Parliamo di te. Giovanissimo nel 2014 hai fondato CVPRO. Com’è nato il progetto?

«Nel pieno della crisi economica che ha colpito i Paesi occidentali a partire dal 2007, l’occupazione ha iniziato a scendere considerevolmente, attestandosi a livelli preoccupanti. Molte persone si sono ritrovate senza un’occupazione, così ho pensato di offrire loro una serie di servizi per aiutarli a trovare una nuova collocazione lavorativa. Ho studiato l’idea, creato il sito web aziendale, impostato un business plan affiancato da un piano di marketing per capire se il tutto era sostenibile dal punto di vista finanziario, trovato i finanziatori e i partner che mi hanno accompagnato nell’impresa. A maggio del 2014, il progetto è divenuto realtà».

Quali sono i professionisti che si rivolgono a CVPRO?

«Direi che i nostri clienti operano in quasi tutti i settori economici attualmente esistenti. Ci ritroviamo a lavorare con studenti, commessi, impiegati, affiancati da avvocati, esperti nel campo del marketing, amministratori delegati e dirigenti. Alcuni di loro sono giovani imprenditori e questo ci ha dato modo di seguire anche i loro piani di comunicazione aziendale, pianificando le attività social e creando le loro piattaforme web».

Come è cambiato, oggi, il modo di trovare lavoro?

«La nostra mission aziendale è fornire ai nostri clienti tutti gli strumenti necessari per facilitare il reperimento di una nuova occupazione. Cerchiamo di fare in modo da rendere le persone più indipendenti e meno impaurite nel cambiare occupazione, perché se qualcuno desidera cambiare lavoro deve essere facilitato a farlo. Parte tutto dal nostro incipit: “Il lavoro, sceglilo tu!” che rappresenta un atto di ribellione allo status quo, una “chiamata alle armi” se posso metterla in questo modo. Basta far decidere tutto agli altri. Grazie al web, le aziende hanno iniziato a cercare delle risorse senza la necessità di dover scrivere un annuncio e attendere per giorni o settimane la ricezione dei CV. Come lo fanno? Grazie a LinkedIn, il social network professionale più usato a livello mondiale. L’azienda utilizza la geo localizzazione del motore per individuare la provenienza dei candidati desiderati e utilizza i filtri di ricerca per visualizzare i profili migliori presenti all’interno del social network. E allora sfruttiamola, questa possibilità! Creiamo un profilo perfetto e facciamoci trovare: i lavori spesso ci sono, siamo noi a cercarli nel posto sbagliato».

In un mercato del lavoro sempre più competitivo, insomma non è più possibile prescindere da un’ottima presentazione di se stessi. Come deve essere il curriculum perfetto?

«Per prima cosa, un CV deve avere una grafica “customizzata”, creata su misura basandosi sulla tipologia di mansione ricoperta e sulla seniority del candidato. Questo per due motivi ben precisi. Innanzitutto un CV originale è molto più visibile rispetto alla miriade di template europei che un selezionatore è costretto a visionare nel corso di una giornata lavorativa e, in secondo luogo, il candidato farà un ottima impressione in quanto avrà trasmesso al recruiter l’impegno nel creare da zero un documento senza copiare e incollare il formato europeo. Inoltre, non dimentichiamo che l’aspetto visivo di un Curriculum Vitae appartenete a un neolaureato deve essere necessariamente diverso rispetto a quello di un dirigente con esperienza ventennale. Un CV perfetto, inoltre, non supera mai la lunghezza delle 2 pagine e deve implementare delle sezioni specifiche: il “Profilo Professionale”, che riassume l’esperienza lavorativa e il background accademico del candidato in cinque o sei righe di testo facilitando enormemente il lavoro del responsabile HR che non dovrà leggersi l’intero documento solo per capire chi ha di fronte; una storicità delle mansioni lavorative che diventa meno descrittiva man a mano che si va indietro nel tempo; il Background Accademico con annesse le votazioni dei titoli di studio ottenuti; le competenze informatiche e linguistiche e, per ultimo, gli interessi. D’altro canto, è necessario eliminare tutte le informazioni superflue e generiche che sono esclusivamente autoreferenziali e, come tali, non congruenti alla tipologia di documento. Le autovalutazioni, insomma, lasciano il tempo che trovano».

Molti anche coloro che vogliono tentare fortuna all’estero, per cambiare vita e per crescere professionalmente. Uno dei vostri punti di forza è proprio il servizio di traduzione del curriculum. In cosa consiste?

«Predisponiamo la traduzione documentale in tutte le lingue del mondo. Più che traduzione mi piace, però, parlare di “trans-creazione”. La differenza può essere sottile ma risulta fondamentale: la trans-creazione considera infatti, a differenza della pura traduzione, tutti quegli elementi e quelle abitudini culturali del Paese destinatario del messaggio. Detta in altri termini, se ricerco una posizione di “Responsabile Commerciale” e traduco il testo utilizzando il termine inglese “Sales Manager”, con tutta probabilità mi ritroverò a Londra a fare il venditore porta a porta, e non il responsabile commerciale».

Curriculum Professionale è ormai attivo dal 2014. Un bilancio di questi primi 4 anni di attività? E progetti per il futuro?

«Il successo è stato notevole. Siamo partiti investendo pochissimo e nel giro di 4 mesi abbiamo raggiunto il break event point. Abbiamo iniziato a svilupparci in maniera più ampia e ragionata e ora stiamo valutando la possibilità di estendere il servizio di riscrittura CV anche alle Business School, che lo potrebbero utilizzare come “benefit” per i propri studenti. Vi è poi tutta la parte aziendale: in Europa si stanno moltiplicando le aziende che offrono ai propri dipendenti alcuni servizi di Personal Branding, che consente ai dipendenti di migliorare il proprio posizionamento web e permette all’azienda di incrementare la propria Brand Image organizzativa».

Grazie mille per la conversazione Walter e in bocca al lupo per tutto!

«Grazie a voi, crepi il lupo!».

Per ulteriori informazioni potete collegarvi al sito di CVPRO a questo indirizzo:

www.curriculumprofessionale.com.

O alla pagina Facebook:

www.facebook.com/cvprofessionale/

Per contattare Walter Sinigoi questa la sua e-mail:

info@curriculumprofessionale.com.

Mentre questo il suo profilo LinkedIn:

https://www.linkedin.com/in/waltersinigoi/