La storia di Sabrina, un’avventura straordinaria

A cura di Maricla Pannocchia

La passione per il Giappone fa parte del DNA di Sabrina e, quando ha dovuto chiudere la sua impresa dedicata proprio al mondo giapponese, a Savona, per via “delle tasse che mi strozzavano e della concorrenza dell’e-commerce”, ha proposto al fidanzato Andrea di trasferirsi a Londra. Lui però aveva già vissuto in Inghilterra in passato e non pensava che fosse il posto giusto in cui vivere ma ha accettato la seconda proposta di Sabrina, quella di trasferirsi in Giappone. E così Sabrina ci racconta della vita a Tokyo, una città frenetica, di come a volte i locals guardino gli stranieri con diffidenza e dei possibili percorsi per vivere e lavorare in pianta stabile in Giappone.

“Questo Paese offre davvero tanto,” racconta Sabrina, “Quando le persone ci vengono in vacanza per la prima volta poi si dividono in due categorie. La prima è quella di chi, contento del viaggio, sulla via del ritorno programma già il prossimo in qualche altro Paese, e la seconda è quella di chi soffre di quello che io chiamo ‘mal di Giappone’ e d’ora in avanti farà il possibile per tornarci regolarmente.”

Fra i progetti futuri di Sabrina, com’è facile intuire, c’è proprio quello di vivere e lavorare in Giappone in pianta stabile e, dato il lavoro che ha fra le mani adesso, le possibilità che l’azienda la sponsorizzi non sono poi così remote… e se non dovesse essere così? “Sono già una nomade digitale,” racconta la donna, “Quindi dovrei semplicemente scegliere un’altra meta!”

Sabrina Travi Giappone

Ciao Sabrina, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao! Mi chiamo Sabrina Travi e vengo da Savona, in Liguria, anche se in realtà ho origini toscane. Posso definirmi una persona curiosa e irrequieta e, per questo motivo, nell’arco degli anni, ho cambiato spesso lavoro, interessi, residenza… Si può dire che ho vissuto diverse “vite”, ma ho sempre avuto un punto di riferimento fisso, ovvero la mia passione per il Giappone e la sua cultura.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Dobbiamo fare un passo indietro a prima del 2016. Avevo 39 anni e avevo appena chiuso il mio Japan shop-libreria specializzata-scuola di lingua giapponese a Savona per cause di forza maggiore: le tasse mi stavano schiacciando e la concorrenza spietata dell’e-commerce e delle grandi catene come Mondadori e Feltrinelli per il settore editoria e Decathlon per quello dell’abbigliamento per arti marziali mi ha dato il colpo finale. La mia azienda si chiamava Higashi no kaze (Vento d’oriente) e avevo dedicato a questo progetto tutto il mio tempo e le mie energie per almeno 10 anni. A quel punto l’unico desiderio che avevo era allontanarmi da tutto per un po’.

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Come mai hai scelto proprio il Giappone?

Un bel giorno ho detto al mio fidanzato Andrea: “Perché non andiamo a cercare lavoro all’estero? Qua non ci sono grosse opportunità per noi, questa città mi sta stretta. Che ne dici di Londra?” Andrea non sembrava molto convinto, aveva già trascorso un periodo di studio in Inghilterra in passato e non pensava fosse un posto adatto a lui per un trasferimento a lungo termine. A quel punto, quasi scherzando, gli ho proposto Tokyo e lui ha risposto con entusiasmo (avvenimento più unico che raro, conoscendo il suo carattere): “Ma sì, perché no?”

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Tutti quelli che mi conoscevano da tempo non si sono stupiti più di tanto, si sono mostrati più preoccupati quando, anni prima, avevo annunciato che volevo aprire un’attività in proprio. Chi invece non era a conoscenza della mia passione per il Giappone probabilmente ha pensato che stessimo facendo una pazzia.

Che tipo di preparazione pre – partenza hai fatto?

Dato che in Giappone non si può lavorare senza un visto lavorativo e che non si può ottenere questo tipo di visto se non si ha già un lavoro (lo so, è un po’ un cane che si morde la coda) abbiamo optato per chiedere un visto per studio che permette di lavorare part-time fino a 28 ore settimanali. Ci siamo rivolti a un’agenzia che si occupa gratuitamente di aiutare i futuri studenti con le pratiche per l’iscrizione, la ricerca dell’alloggio e la richiesta del visto. Il tutto è durato circa un annetto, nel frattempo ho insegnato le basi della lingua giapponese ad Andrea in modo da portarsi un po’ avanti con lo studio.

Hai vissuto per un anno a Tokyo, cosa puoi raccontarci della vita quotidiana lì?

Lavorare e studiare contemporaneamente non è facile, la vita diventa frenetica, ma Tokyo offre veramente di tutto e spesso è più comodo mangiare fuori o comprare qualcosa di pronto piuttosto che cucinare a casa, quindi si risparmia tempo che si può dedicare ad altre attività. La mia giornata tipo era la seguente: al mattino frequentavo i corsi di giapponese a scuola, quindi mi svegliavo verso le 8, un’ora di treno, 4 ore di lezione, pranzo, un’altra ora di treno, studio, magari una passeggiata nel parco durante il pomeriggio, cena, poi ancora studio. Nel fine settimana però esploravamo tutto ciò che la città ci poteva offrire e giravamo numerosi video che pubblicavamo poi sul nostro canale YouTube “Giappone a quattro mani” e raccoglievamo esperienze da raccontare sul nostro blog omonimo. Poi abbiamo appunto iniziato a lavorare, ma abbiamo cambiato casa e ci siamo avvicinati alle scuole che frequentavamo. Andrea era a 10 minuti a piedi dalla sua ed io potevo risparmiare mezz’ora di treno. Solo che uno o due giorni a settimana, dopo poche ore di riposo a casa, nel pomeriggio dovevo uscire di nuovo per andare a lavorare in un ristorante italiano e non tornavo a casa prima delle 23. Il sabato lavoravamo entrambi in una scuola d’italiano e la domenica io facevo il doppio turno al ristorante, quindi le occasioni per andare in giro si erano ridotte di molto.

Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita?

Molto buono se si conoscono alcuni ‘trucchetti’ per risparmiare. Come ho detto prima, Tokyo offre qualunque cosa, quindi un pasto al ristorante, volendo anche nutriente e bilanciato, può costare anche meno dell’equivalente di 5 Euro, soprattutto adesso che lo yen è debole. Poi, a seconda del tipo di ristorante, un singolo pasto può costare anche 100 volte tanto, ma questo è un altro discorso, funziona così anche in Italia nei ristoranti stellati. Comunque, per dirla in breve, gli affitti sono parecchio alti e bisogna accontentarsi di case molto piccole o di una stanza in una share house, se non si hanno molte possibilità economiche. Anche i trasporti costano più che in Italia (ma il servizio vale assolutamente il prezzo), mentre per quanto riguarda cibo e piccoli oggetti di uso quotidiano è possibile spendere veramente poco.

Come reputeresti il funzionamento dei mezzi pubblici, della sanità e della burocrazia?

Come già accennato, i mezzi pubblici sono veramente il fiore all’occhiello del Giappone, i treni sono puliti, caldi (forse un po’ troppo, a volte), silenziosi, tendenzialmente puntuali (sfato un mito, non lo sono sempre) e, se si evitano le ore di punta, dove ci si ritrova schiacciati come sardine, ogni viaggio è un piacere, si può leggere, ascoltare musica (rigorosamente con gli auricolari o le cuffie, a basso volume, in modo che gli altri non sentano nulla) o addirittura dormire. Gli autobus sono forse un pochino più scomodi e meno puntuali, ma sempre puliti e silenziosi. Per quanto riguarda la sanità ho sentito pareri discordanti, ma personalmente mi sono sempre trovata bene. Ho avuto bisogno di andare in ospedale un paio di volte a causa dell’asma (in Giappone non c’è il medico di famiglia, per qualsiasi necessità si va direttamente in ospedale o in clinica), avevo la mia assicurazione sanitaria nazionale che copriva il 70 % delle spese (da studente la spesa mensile è abbastanza bassa, 10-15 euro al mese circa, dipende da dove si risiede) e il restante 30 % mi veniva rimborsato dall’assicurazione privata che offriva la mia scuola. Le spese per visite, analisi e medicine comunque non erano esagerate e di solito il tutto si riusciva a fare in giornata. L’ospedale dove andavo offriva anche un servizio di interpretariato per gli stranieri. La burocrazia è un po’ noiosa e, visto che deve essere sempre tutto impeccabile, può risultare un po’ problematica, soprattutto per uno straniero, ma ho sempre trovato negli uffici impiegati molto disponibili a dare una mano, anche oltre i loro doveri, ad esempio ci è capitato di venire “scortati” da un ufficio a un altro che si trovava in un diverso palazzo tramite una sorta di passaggio solo per addetti ai lavori, già oltre il limite dell’orario di apertura.

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Sabrina Travi Giappone

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

In generale bene, anche se qualche episodio di diffidenza da parte di qualche persona c’è stato. Di solito i più curiosi e vogliosi di comunicare sono gli anziani, soprattutto fuori Tokyo, perché nella metropoli la gente ha sempre un posto dove deve dirigersi di fretta e ognuno tende a farsi i fatti propri.

È difficile integrarsi in una città così grande a caotica?

Dipende da cosa si intende per “integrarsi”. Sicuramente bisogna conoscere la cultura giapponese, almeno gli usi e costumi e un minimo anche la lingua, per non sentirsi un pesce fuor d’acqua. Posso dire che a Tokyo avevo trovato la mia routine e la mia serenità, stress da esami a parte. Tokyo è sicuramente grande, ma proprio per questo motivo non tutte le zone sono caotiche, anzi. Dove vivevamo noi, a Nippori (e ancora di più dove vivevamo prima, ad Adachi) i negozi e i locali chiudevano presto e alla sera non c’era un’anima viva in giro, era una zona tranquillissima e silenziosa. La cosa che amo di più di questa città, questo ci tengo a dirlo, è soprattutto il senso di sicurezza che si prova anche a girare da soli di notte, penso che sia veramente una sensazione impagabile che, onestamente, non ho mai provato da nessun’altra parte.

Poi ti sei spostata a Yokohama, cosa puoi raccontarci, invece, di questa città?

In realtà non molto perché sono qua da poco, meno di un mese, e vivo su una collina nei sobborghi di Yokohama, a un’oretta dalla zona più conosciuta di questa città, ovvero Minatomirai, la zona del porto. Qua è tutto molto tranquillo e in pratica non c’è nulla (20 minuti in mezzo a stradine con solo casette varie prima di arrivare alla zona con negozi e locali e alla stazione più vicina) però non mi dispiace nemmeno questo Giappone, diverso dalla metropoli. Yokohama ha sicuramente molto da offrire per quel poco che ho visto, non penso che abbia nulla da invidiare a Tokyo, ma devo esplorarla meglio per poter dare un giudizio.

Vuoi ottenere un visto per trasferirti definitivamente lì, qual è il processo per farlo?

Serve un datore di lavoro che sia disposto a fare da sponsor e assumere la persona in questione. A quel punto si può fare domanda per ottenere un visto lavorativo, ma non è detto che l’ufficio preposto accetti la domanda perché, a seconda del lavoro che si vuole svolgere, servono determinati requisiti e documenti che attestino che quanto dichiarato corrisponde a verità. Di solito vengono rilasciati dei visti lavorativi della durata di un anno, da rinnovare ogni volta prima della scadenza. Se tutto va come deve andare, si può poi ottenere un rinnovo con una durata maggiore, fino a poter richiedere un visto a tempo indeterminato, ma non so dare informazioni più precise perché non sono ancora arrivata a quel punto.

Come hai superato le difficoltà?

Potrei dire con coraggio e dedizione e rimboccandomi le maniche, ma in realtà passando le seguenti fasi: rabbia, disperazione e voglia di mollare tutto il primo giorno che la difficoltà si presenta, lasciandomi poi guidare dalla testardaggine e rimboccandomi le maniche il giorno dopo. C’è chi spesso mi scrive “ammiro la tua perseveranza e la tua tenacia”, ma se vedessero i miei momenti di sconforto forse cambierebbero termini. Ovviamente lo dico ironicamente, ma comunque ci tengo a precisare che non tutto è come appare sui social.

È necessario imparare la lingua? Hai suggerimenti in merito (es. scuole che hai frequentato)?

Assolutamente sì, per una vacanza non serve, si riesce benissimo a comunicare anche a gesti per le piccole necessità (in molti locali i menù hanno le immagini) e il personale di hotel, aeroporti e simili a volte parla inglese a un buon livello, ma se si vuole vivere qua poter comunicare è indispensabile sapere il giapponese. Anche in Italia è così, un giapponese dovrebbe per forza imparare l’italiano per poter vivere serenamente. È possibile anche studiare da autodidatta, sicuramente però consiglierei un corso in una scuola oppure anche delle lezioni con un insegnante privato per iniziare, anche solo per capire se è un interesse reale o solo un capriccio passeggero, per poi passare a uno studio più serio (università o una scuola in Giappone) se il desiderio di trasferirsi è reale e duraturo. Io ho iniziato molti anni fa, quando non esisteva ancora Internet, seguendo un corso in una scuola privata a Savona, poi negli anni ho studiato un po’ per conto mio quando il tempo me lo permetteva e, dopo essere tornata dal mio anno in Giappone, dove ho frequentato un corso in una scuola a Tokyo, mi sono iscritta a lingue (percorso studi asiatici e mediterranei) presso l’università di Torino. L’obiettivo era ottenere “il pezzo di carta” tanto richiesto in Giappone per avere più possibilità lavorative e magari ottenere una borsa di studio per poter tornare a studiare in Giappone grazie a un bando di mobilità Extra Erasmus. Cosa che ho fatto, ma poi purtroppo a causa della pandemia mi è stato impossibile partire e ho perso tutto. L’unica cosa che ho potuto fare è stato frequentare l’università giapponese Waseda per un semestre dall’Italia, online, quindi , e di notte a causa del fuso orario. Un incubo sotto molti punti di vista, ma questa è un’altra storia…

Quali sono i lavori più diffusi per gli stranieri, in particolare per gli italiani?

Sicuramente sono molto richiesti cuochi e pizzaioli, ma recentemente ho notato un incremento della ricerca di impiegati nel settore informatico. Purtroppo, invece, le opportunità di lavoro nel settore dell’insegnamento della lingua italiana mi sembrano in forte calo rispetto al passato.

Che cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Ogni giorno imparo qualcosa, quindi la lista potrebbe essere infinita. Posso dire di aver assimilato un modo di vivere molto diverso da quello italiano, non dico migliore o peggiore, ma sicuramente più adatto a me.

Quali luoghi consiglieresti di visitare a chi sta pianificando un primo viaggio nel Paese?

Dipende molto dagli interessi della singola persona, ma generalmente per un primo viaggio non superiore ai 10-15 giorni consiglierei Tokyo perché si può trovare sia la tradizione (in quartieri come Nippori e Asakusa), sia la modernità (Shinjuku, Shibuya, Akihabara). Tokyo è anche una buona base per gite di uno o due giorni in zone limitrofe come appunto Yokohama, Kamakura, Hakone, Nikko, ecc…

Se invece si ha la possibilità di organizzare un viaggio più lungo si può fare il classico Tokyo-Kyoto con la possibilità di visitare numerose città vicine a quest’ultima, come Osaka, Nara, ecc. e magari anche gite più lunghe acquistando un Japan Rail Pass che comprende anche i treni veloci Shinkansen. A questo punto, alcune persone sono soddisfatte del loro viaggio e al ritorno penseranno alla prossima destinazione in un’altra parte del mondo, ma altre inizieranno a soffrire di quello che io chiamo “il mal di Giappone” e ogni volta che ne avranno la possibilità programmeranno di ritornarci. A questo punto si apriranno infinite possibilità: il percorso del Kumano kodo, oppure le zone più a Nord o a Sud, Hokkaido, Okinawa, le numerose piccole isolette sparse per tutto l’arcipelago…

Progetti futuri?

Potermi stabilire definitivamente in Giappone è il mio obiettivo principale, ma non disdegno la possibilità di condurre una vita da “nomade digitale”, spostandomi periodicamente.

Attualmente sto lavorando come freelance e mi potrei definire appunto una “nomade digitale” perché svolgo le mie attività interamente online. Per questo motivo non sono obbligata a rimanere ferma in un luogo e, ovviamente, ho scelto come prima tappa il Giappone, ma da turista posso rimanere solo per un tempo limitato. Tra le mie varie attività sto collaborando a dei progetti di una startup con sede a Tokyo che produce videogiochi, la Serafini Productions, che ha appena rilasciato sulla piattaforma Steam la demo del suo primo gioco, “Unfollow”. Se questo e altri progetti avranno successo, c’è la possibilità che questa azienda mi sponsorizzi per un visto lavorativo, quindi al momento spero di poter seguire questo percorso, in caso contrario…beh, devo solo decidere la prossima destinazione!

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