Come calcolare il valore di un’attività/azienda

Di Enza Petruzziello

Una delle domande che spesso ci si pone nel momento di comprare o vendere un’azienda è: “Quanto vale?”. Il valore di un’azienda, al di là dei fattori emotivi ed emozionali che ci legano ad essa, dipende infatti da moltissimi elementi che devono essere presi in considerazione nella fase della cosiddetta trattativa. Esistono imprese e attività di infiniti generi e valori. Iniziamo col dire che il valore dell’azienda non coincide con quello dei singoli beni che la compongono, ma dall’unitarietà degli stessi, organizzati tra loro per creare un valore aggiunto derivante proprio dal loro rapporto.

Ogni azienda è composta da beni materiali – mobili ed immobili – e immateriali, dai rapporti con il personale e con la clientela, delle posizioni attive e passive, e dalle scelte imposte dall’imprenditore per raggiungere lo scopo redditizio. Da questa premessa si capisce che comprenderne il reale valore non è cosa facile, dipende da un insieme di fattori interni ed esterni che influenzano il prezzo di vendita e acquisto dell’azienda, così come i suoi movimenti sul mercato.

 

DIFFERENZA TRA PREZZO E VALORE. Occorre innanzitutto sempre fare una distinzione tra valore dell’impresa e prezzo. Come ogni prodotto sul mercato, anche in questi casi domanda e offerta determinano il prezzo. La valutazione dell’impresa costituisce un punto di partenza per fissare il prezzo di vendita. Inoltre contribuirà a suddividere correttamente le quote tra azionisti e proprietari.

A COSA SERVE. Stimare esattamente il valore di un’azienda serve prima di tutto a evitare la sopravvalutazione. Succede non di rado che i proprietari ritengano di poter andare ai vertici del mercato. Si tratta molto spesso di considerazioni sbagliate, se non coperte da opportune ricerche. La conseguenza diretta è che sarà molto difficile trovare un acquirente. Se il contratto di cessione porta un prezzo eccessivo, il contraente si troverà a un elevato rischio di fallimento. Questo determinerà una probabile chiusura dell’azienda stessa. Le aree più sopravvalutate sono solitamente la contabilità interna e la struttura organizzativa. Per avere una stima oggettiva, bisognerà quindi usare criteri oggettivi e sicuri. Abbiamo il fatturato, la suddivisione delle quote, l’entità degli utili, la crescita progressiva del patrimonio. E ancora le innovazioni e le implementazioni inserite nel corso del tempo, la dimensione dell’impresa. Ci sono poi anche i fattori esterni come il numero degli acquirenti realmente interessati. In più la situazione finanziaria del proprietario avrà una sua influenza. Nel valutare un’azienda è indispensabile considerare anche l’avviamento, la reputazione, la storia che c’è dietro quell’attività.

AFFIDARSI AD ESPERTI. Per non incappare in errori di valutazione il consiglio è affidarsi a consulenti esperti di finanza aziendale i quali saranno in grado di prevedere in anticipo l’opinione che i terzi si faranno riguardo all’azienda. Il valore di un’azienda, infatti, spesso ha poco a che fare con la quantità di denaro e di impegno investiti, aspetti che troppo spesso influenzano gli imprenditori che mancano di obiettività nel giudicare la propria attività, sia essa un semplice bar che un’impresa più grande. La valutazione di un’impresa non equivale all’applicazione di una formula standard, è necessario un giudizio ponderato ed esperto. E soprattutto non è possibile valutare un’attività solo in base ai propri desideri e sogni.

«Spesso ci innamoriamo di un posto e di una idea. Occorre però avere uno spirito critico per valutare e capire se effettivamente andare avanti oppure se far restare la nostra idea solo un sogno». Ne è convinto Alessandro Barulli, consulente aziendale che si occupa di affiancare gli imprenditori per aiutarli a sviluppare le proprie aziende secondo principi di pianificazione e strategia. Svolge la sua attività in Italia e all’estero, collaborando con imprese private, associazioni di categoria ed enti pubblici attraverso la società Interplanning S.a.s., di cui è fondatore e amministratore. Esperto di strategie di marketing, processi di internazionalizzazione e gestione delle reti di vendita, ha un sito web e da circa un anno si dedica ai processi di cambiamento, sia personale che lavorativo, attraverso la pagina Facebook “CambiaMente”.

Dottor Barulli ma come si valuta effettivamente un’azienda?

«Ci sono molti modi per dare valore a un’attività economica, forme e parametri molto strutturati. Spesso le persone che hanno un’attività economica non capiscono che non devono puntare solo al fatturato economico, ma piuttosto a creare un valore. Il valore è rappresentato dalle referenze oppure da quanto utile produce l’attività, dal negozio della parrucchiera fino alla grande impresa. Ci sono tante aziende ad esempio che realizzano molto fatturato ma poco utile. Altri elementi sono dati dalla soddisfazione dei clienti: più sono soddisfatti, più parlano bene e nel parlare bene incentivano altri a comprare quell’azienda, quel prodotto, quel brand. Un altro elemento di valore può essere l’assistenza che si fornisce al cliente. C’è poi un valore psicologico, emotivo e comunicazionale veicolato dalla pubblicità che porta le persone a comprare qualcosa. Si stima che ogni persona con il suo passaparola – positivo o negativo – riesca a contaminare circa 10 persone che saranno condizionate da ciò che hanno sentito dire. Naturalmente poi ognuno si basa sulla propria esperienza personale. Valore ed esperienze vanno quindi di pari passo ed è un circolo virtuoso che le imprese e le attività economiche molto spesso perdono di vista».

Quali sono gli altri fattori da considerare nel valutare un’azienda?

«Fondamentalmente le categorie di valore che una persona acquista sono 4. Il valore tecnico: le caratteristiche dell’offerta quindi la performance di un macchinario, le peculiarità di un’autovettura, la tipologia di un prodotto. Questa rappresenta l’area del prodotto servizio. Poi c’è il valore psicologico, emotivo e comunicazionale e riguarda tutto ciò che ha a che fare con la comunicazione, il marchio, la pubblicità, il passaparola, le referenze. Il terzo valore è logistico e organizzativo: la formazione oppure la presenza di un centro assistenza, la presenza capillare sul territorio, dove è posizionata quella attività e così via. E poi abbiamo l’ultima categoria di valore relativa all’aspetto economico, finanziario e tutto ciò che ha a che fare con il prezzo e il denaro, con i parametri economici di un’azienda dagli utili al fatturato».

Quanto conta la reputazione e quindi anche la clientela in caso di azienda già avviata?

«Tantissimo. Un altro valore fondamentale nel valutare un’attività è proprio la brand reputation, la reputazione della marca. Perché se un marchio vale, nonostante l’azienda sia disastrata, qualcuno potrebbe decidere di comprare quell’azienda solo per il marchio così da rilanciarlo e dargli nuova vita. Allo stesso modo ci sono imprese che vengono acquistate per la rete di vendita e per il portafoglio clienti. Insomma sono davvero tanti gli elementi di valore. Non esiste un valore unico come quello economico, finanziario e del fatturato. Tutto è valore».

Spesso, inevitabilmente, il fattore emotivo tende a predominare nel momento in cui si decide di mettere in vendita o di acquistare una determinata attività o azienda. In che modo è possibile essere oggettivi?

«Il business si realizza quando il valore di chi vende viene percepito allo stesso modo da chi vuole acquistarlo. Il fattore emotivo può essere un elemento in più per poter vendere quell’attività. Pensiamo alla storia di un’azienda o di un esercizio commerciale, alla sua presenza sul territorio. Questi aspetti fanno parte di quei valori che rientrano nell’aria psicologica ed emozionale che qualcuno potrebbe essere interessato a comprare. Non compro solo un immobile ma tutta la storia che c’è dietro».

Pensiamo di voler acquistare un’attività all’estero. In questi casi come ci si deve comportare?

«Esattamente allo stesso modo e cioè andando a esaminare tutte le categorie di valore che abbiamo visto finora. La psicologia dell’essere umano in fondo è uguale ovunque. In Italia come all’estero è importante valutare correttamente il valore di un’attività perché si spendono dei soldi che hanno un loro valore qualunque esso sia: 10mila, 100mila, un milione. Dobbiamo essere sicuri di comprare l’esatto valore corrispondente, altrimenti investiamo dei soldi solo perché ci siamo innamorati del posto senza sapere che la reputazione di quell’attività è pessima e non ha una clientela fidelizzata. Ecco perché nel momento dell’acquisto si dovrebbe valutare non solo il fatturato ma tanti altri aspetti».

Un esempio pratico?

«Pensiamo di fare un viaggio negli Stati Uniti dove c’è la possibilità di rilevare un ristorante a San Diego, in un posto panoramico molto bello. Attenzione però, noi non conosciamo la storia di questo ristorante. Quindi nel momento in cui decidiamo di acquistarlo dobbiamo valutare una serie di elementi che non riguardano solo quanto fattura quel ristorante. Quello che fattura potrebbe essere il 10% del suo potenziale, l’altro si è perso perché magari nel corso degli anni il ristorante ha perso di credibilità, oppure una volta c’è stata una cena e le persone sono rimaste intossicate. Aspetti che inizialmente non conosciamo dal momento che ci basiamo solo sui risvolti emotivi quali la location o la suggestione del luogo. Succede infatti che quando vogliamo cambiare valutiamo solo gli aspetti positivi e perdiamo di vista quelli negativi. In base ai primi siamo disposti a spendere ciò che ci chiedono e così capita che spendiamo più soldi di quelli che effettivamente sono necessari. È importante quindi valutare ogni aspetto perché più elementi abbiamo, più dati abbiamo, e meglio possiamo prendere le decisioni. Questo significa limitare il margine di errore. Se io non so nulla, spendo quei soldi solo perché mi sono innamorato del posto. Il risultato? Dopo un anno non sono riuscito a rilanciare il ristorante e recuperare i soldi che ho investito. Il valore economico monetario dell’acquisto è un valore che dunque non è compensato da quello che ho dovuto affrontare. Bisogna insomma valutare molti elementi di valore: la storia, la tradizione, le origini, il valore del marchio se è conosciuto o meno, la clientela, la posizione che rientra nel valore logistico e organizzativo».

Che consigli darebbe a chi sta pensando di comprare un’attività?

«Quello che suggerisco, quando ci balza un’idea nella testa, è di non fermarsi all’innamoramento. È necessario valutare aspetti più concreti, reali, tangibili. Alla fine forse siamo ancora innamorati della nostra idea, ma ci rendiamo conto che non è il caso di proseguire. Se al contrario si hanno tutti gli elementi che ci portano a credere che quel sogno sia realizzabile allora il consiglio è di buttarsi senza pensarci. Dopo 15 anni di attività dedicata ad insegnare gli aspetti tecnici, ho capito che in questo periodo storico c’è molto bisogno di lavorare sugli aspetti motivazionali, sulla convinzione delle persone di fare o non fare determinate scelte. Proprio per questo motivo è nato il progetto CambiaMente. Molti ad esempio fanno un lavoro che non vogliono, che non gli piace e coltivano altri sogni. Il cambiamento nasce dalla testa e poi va messo in pratica. Io cerco di aiutarli e sostenerli in questa scelta».

Sognare dunque non basta?

«Purtroppo no. I sogni sono importanti per avere la spinta iniziale al cambiamento, poi però ci sono tutti quegli altri elementi che servono a capire se siano realizzabili. Altrimenti si innescano, oltre ai danni materiali, anche dei danni psicologici derivanti dal fallimento, dall’errore e dalla frustrazione. Attenzione, sono molto favorevole al sognare e dare concretezza ai sogni, allo stesso tempo occorre avere uno spirito critico per valutare e capire se effettivamente andare avanti o lasciare che la nostra idea sia solo un sogno. Bisogna anche valutare il valore immobiliare dell’attività che intendiamo acquistare e questo dipende dal mercato. Poi c’è il valore economico per farlo funzionare: quanti camerieri servono, lo chef, gli stipendi, l’arredamento, piatti e bicchieri, quanti coperti, quanto si spende nella gestione dell’attività. Oltre a tutti questi risvolti, ci sono gli aspetti tecnici che vanno visti con un commercialista e valutati con un esperto che ci aiuterà ad elaborare il piano dei conti. Il processo è questo: i sogni, la costruzione dell’idea che si è sognata e poi il piano dei conti per vedere se quei soldi che stiamo spendendo possono avere un ritorno. Se non ce l’hanno ci limitiamo a sognare».