Luigina: dopo più di 25 anni a lavorare in uno showroom di moda a Milano mi sono trasferita in Madagascar

A cura di Maricla Pannocchia

Se paragonassimo la “vecchia vita” di Luigina, quella a Milano, con la sua esistenza attuale a Nosy Be, splendida e famosa isola del Madagascar, trovare le differenze sarebbe sin troppo facile. In Italia, infatti, la donna ha lavorato per 25 anni in uno showroom di moda a Milano ma, a un certo punto, dopo il divorzio e senza figli, Luigina si è resa conto che, per lei, non aveva senso continuare a lavorare e basta.

Da sempre attratta dall’Africa e con diversi viaggi in Madagascar già alle spalle, a ottobre 2019 Luigina ha deciso di stravolgere la sua vita e si è trasferita definitivamente a Nosy Be. “Sono stata fregata subito da un italiano e, anche se è stato difficile, lo vivo come un corso accelerato che mi ha insegnato molto” racconta la donna che, adesso, si occupa di diversi progetti. Luigina è scrittrice (i suoi libri trattano del Madagascar e spesso i suoi lettori vanno a trovarla lì per vedere con i loro occhi ciò di cui lei scrive), insegnante e gestisce un piccolo ristorante che, di solito, apre proprio per i lettori che vanno a trovarla.

“Non posso ancora contare né sulla pensione né su un’entrata stabile” racconta la donna, “ma spero di continuare a scrivere e a supportare le persone a me care, così che possano andare avanti anche senza di me. Il Madagascar mi ha insegnato a liberarmi del superfluo e ho capito che, per vivere bene, in realtà basta poco.”

Luigina Siena Madagascar

Ciao Luigina, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

In famiglia mi chiamano Lulù e, da quando vivo in Madagascar, spesso Madame Azalah. Arrivo da Milano e, dopo circa 25 anni di showroom di moda, ho deciso di cambiare vita. Ero un commerciale per un prestigioso brand del lusso e la mia città, che ho adorato per anni, ormai mi stava stretta. Sono divorziata e senza figli e l’Africa mi ha sempre attratta.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Verso i miei quarant’anni ho iniziato ad avvertire una certa insofferenza per la vita che mi circondava, nonostante avessi fatto di tutto per crearmi ciò che credevo di volere. In particolare, mi mancava condividere la mia vita con qualcuno, lavorare e basta mi sembrava un po’ riduttivo, volevo regalarmi un senso di vivere diverso e così ho fatto nell’aprile 2019, partendo per il Madagascar.

Dove abiti precisamente? Cosa ti ha spinta a trasferirti proprio lì?

Attualmente vivo a Nosy Be da ottobre 2019, mentre i primi sei mesi ero nella vicina isola di Nosy Sakatia. Nosy Be è stata quasi una scelta obbligata. Dopo Nosy Sakatia, un progetto di lavoro non andato a buon fine mi ha fatto pensare che per una donna sola fosse l’isola più adatta e con qualche opportunità in più per potermi mantenere. Sakatia non ha l’elettricità se non con pannelli solari e, per fare la spesa, si è costretti a prendere una barca e poi un’auto per raggiungere Nosy Be, tanto per fare un esempio pratico. Il Madagascar è stato uno dei viaggi che mi ha attratto inconsciamente per anni, ci pensavo spesso e mi sono sempre sentita a casa fin dalla mia prima volta qui.

Quando sei andata in Madagascar per la prima volta?

Nel 2006 e fu il mio primo viaggio organizzato in completa autonomia, senza agenzia e in totale libertà.

Cosa ti ha conquistata del Paese?

Il fatto di sentirmi a casa è stato determinante, chissà, forse in un’altra vita ero già stata qui. Oggi che ci vivo, posso confermare che è casa e sto imparando l’arte di togliere invece di aggiungere, soprattutto osservando la vita locale, dato che gli abitanti del posto sono maestri nel vivere con poco. Si può dire, forse, che la semplicità del vivere era ciò che cercavo e che qui mi ha conquistata.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Nello stesso modo in cui ho reagito io, dato che ero la prima ad essere sorpresa di questa mia scelta, avvenuta in maniera naturale ma improvvisa. Forse era una scelta che avevo già fatto nel 2006, seppur solo a livello inconscio, e che si era depositata nella mia testa e nel mio cuore, in attesa che me ne accorgessi.

Come ti sei organizzata prima della partenza?

L’idea iniziale era quella di arrivare, guardarmi intorno e capire cosa potevo fare per vivere. Avevo già qualche contatto con alcuni residenti conosciuti nelle varie volte che ero venuta qui e, durante il mio ultimo viaggio da turista, un residente mi aveva fatto una proposta di lavoro ancora prima che mi trasferissi ma sembrava troppo bella per essere vera, infatti, non lo era! Ho affittato la mia casa vicino Milano, venduto l’auto, abbandonato il mio lavoro e sono partita. Il progetto proposto era nel settore del turismo, ma poi ho capito che volevo altro e tutto ciò che non avevo immaginato di fare è arrivato senza cercarlo. La mia esperienza qui mi ha insegnato che il Madagascar può essere imprevedibile.

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Di cosa ti occupi?

Sono al mio quarto libro e la scrittura non faceva parte dei miei progetti di vita. Mi capitava di scrivere quando ero arrabbiata o delusa, era una specie di terapia per far uscire parte di ciò che mi stressava. Qui, invece, ho iniziato a scrivere il giorno in cui ho perso il mio migliore amico ed ex collega di lavoro in Europa, per ricordare e senza pensare di pubblicare un libro. Poi, scrivendo, ho cercato di interpretare un suo desiderio: voleva essere ricordato. Oggi ogni libro che scrivo lascia segni del mio amico: una strada a Nosy Be, una casa per una famiglia malgascia, feste di Natale per i bambini e materiale scolastico. Insegno italiano, realizzo qualche capo come kimono, pantaloni e gonne che permettono a qualche donna malgascia di lavorare ed essere indipendente. Ho un piccolo ristorante che, in realtà, apre solo per i lettori dei miei libri. In sostanza sono una scrittrice che a volte insegna, altre volte crea con tessuti locali e altre ancora cucina. E’ stata una sorpresa, quest’anno, ricevere al ristorante le persone che hanno letto i miei libri, arrivano che sanno già un po’ da chi stanno andando, sono curiose di vedere con i propri occhi la vita locale e rispondere alle loro curiosità crea delle relazioni mosse da grande generosità. Spesso ci chiedono di visitare la scuola che con piccole iniziative, sostenute dalle vendite dei libri, porto avanti, ci portano vestiti e medicine e materiale scolastico che ogni anno distribuiamo. Alla fine poche certezze per vivere, ma, per ora, conduco la vita che vorrei, libera e semplice.

Come funziona per avviare un’attività lì come stranieri?

E’ necessario chiedere un visto come investitori, aprire un conto corrente per la società creata, versare un capitale sociale minimo e affidarsi a un contabile che provveda a pagare le tasse nonché avere un domicilio fiscale e di residenza. La pratica e le informazioni sono espletate tra l’ambasciata del Madagascar in Italia e il contabile in Madagascar. Bisogna ricordasi, però, che qui è meglio sorvegliare e verificare ogni passaggio, senza affidarsi troppo alla cieca.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare in Madagascar?

Casellario giudiziario, visto che può essere di vari tipi (investitori, per lavoratori, pensionati o volontari) e molte foto tessera, che ancora oggi mi chiedo se non sono troppe!

Come reputeresti la burocrazia?

Mi spiace ma le prime parole che mi vengono in mente sono: corrotta, lenta e dispersiva.

E come, invece, servizi come la sanità e i mezzi pubblici?

A Nosy Be ci sono due ospedali, come ho indicato in uno dei miei libri, con servizi limitati, in sostanza per casi gravi bisogna spostarsi nella capitale se non, addirittura, valutare un rientro in Europa. Spesso sono i volontari quelli che si avvicinano di più alla parola “sanità” e nei quali riporre fiducia. Per fortuna, ho trovato una dentista che, ogni due mesi, viene qui, che ha un’esperienza europea e uno studio nella capitale. A Nosy Be esiste un centro di analisi che mi pare funzionare bene, gli esiti arrivano persino via e-mail. Mezzi pubblici? Non esistono, però c’è un esercito di tuc tuc o bajaj che sono delle Apicar di colore giallo, spesso odiati dagli automobilisti come i ciclisti nelle grandi città, ma che sono la mia salvezza per i piccoli spostamenti. Adoperati con attenzione sono pratici. Volendo, si possono affittare autisti o auto, oppure è possibile averne una di proprietà.

Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

All’inizio, bisogna segnalare un luogo di ospitalità, come per i turisti che indicano un hotel. Anche chi è in procinto di avere una residenza deve indicare l’alloggio in cui risiede o presso chi sta. Dopo il primo anno, un po’ traumatico per il progetto non andato a buon fine e la scomparsa del mio amico, nel quale ho affittato due case in sei mesi, ho girato varie zone per capire dove vivere e cosa fare. Ormai eravamo in pieno 2020 e il mondo si era fermato a causa del Covid-19, ho dovuto prendere le decisioni più sagge e pratiche per affrontare ciò che era un’incognita per tutti in quel momento, con l’aggiunta di ritrovarmi sola in un altro Paese.

Alla fine, l’unica persona che mi ha aiutata è stata proprio un malgascio, Simon, che mi ha permesso di costruire un bungalow nel suo terreno in attesa che il mondo riprendesse una qualche direzione, e che io facessi lo stesso. E’ in questo luogo che vivo e aiuto come posso chi ha aiutato me e chi ha meno di me. E’ qui che è nata la strada per il quartiere in memoria del mio amico, è qui che ogni anno organizziamo un Natale con regali per i più piccoli, è qui che riceviamo chi, attraverso i miei libri, conosce il mio Madagascar e desidera incontrare alcuni dei protagonisti dei libri, visitare i luoghi che descrivo e portarsi a casa un ricordo che dicono essere indelebile. Trovare casa non è semplice, bisogna districarsi tra i vari annunci e proprietari di casa a volte bizzarri. Comprare terreno è ancora più complicato, a mio avviso, perché non esiste un vero e proprio ufficio del catasto. Oggi io non desidero possedere nulla. Come ho scritto prima, tolgo invece di aggiungere, così mi pare più semplice vivere e sapere che ciò che realizzo resta a qualche malgascio meritevole mi fa star bene.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Credo sia meglio farsi un’idea da sé, poiché per me che vivo nella foresta senza auto e con poche pretese i criteri di valutazione possono essere tanto differenti da quelli di un’altra persona.

Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita?

Arrivo da una delle città più care d’Europa e a me qui la vita sembra ancora economica. Certo, se uno desidera mangiare prodotti d’importazione come la pasta Barilla o altro, potrà trovarli costosi. Considerando che non ho ancora né una pensione né un’entrata sicura, riesco ad arrangiarmi abbastanza bene, ma io sono di poche pretese. Posso dire, però, che una donna di servizio può costare 40/50 Euro il mese e un affitto dai 200 ai 500 Euro il mese. Per quanto riguarda la qualità, io ho trovato un buon compromesso.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

Un pacco di pasta può costare da 1 Euro fino a 4 Euro, il latte circa 1,50 Euro, un pacco di biscotti circa 2 Euro, la bombola del gas per cucinare circa 20 Euro (a me, a volte, dura tre mesi), Internet è un po’ più costoso qui rispetto all’Italia ma indispensabile per gli stranieri che, per lavoro o per famiglia, vogliono restare collegati, anche se quando salta la corrente, comunque, si è scollegati dal mondo, a meno di non avere un generatore o dei pannelli solari.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Devo dire con un po’ di lecita diffidenza, ma questo l’ho capito dopo e spiegato in “Azalah Madagascar”, libro che dettaglia praticamente il tema di questa intervista. Ho scoperto, con il tempo, che sono stati un po’ tutti delusi o derubati dagli stranieri e spesso da connazionali. Una frase che ripeto sovente è che se i malgasci creano problemi, questi sono piccoli, mentre noi europei sappiamo essere molto più spietati e complicati. La popolazione locale, comunque, è stata ed è piuttosto accogliente con me.

Come descriveresti le loro vite?

Decisamente semplici, basilari, vivono alla giornata perché l’idea di futuro è qualcosa che in pochi possono permettersi anche solo di concepire. Capita che i turisti che vengono a trovarmi restino scioccati dalla povertà eppure nemmeno nel mio primo viaggio è stata la mia prima impressione. Non ho mai visto i locals come poveri, forse li ho guardati con occhi diversi e ho colto, invece, di quanto poco abbiamo bisogno per stare bene. A volte mi devo trattenere nel rispondere ad alcuni commenti fatti da chi crede, in una settimana di vacanza, di aver compreso il popolo malgascio. Vivere pensando di procurarsi acqua e soldi per pagare la scuola ai figli con uno stipendio che basterebbe a malapena per mangiare non è cosa da poco e lo Stato non li assiste in alcun modo.

Una volta un turista mi ha detto, “però vedo che fumano e hanno il telefono, se possono permettersi questo allora potrebbero stare meglio.” Ecco, questo è un modo superficiale di vedere le cose, le sigarette le vendono sciolte e spesso le hanno scroccate a qualcuno, il telefono a volte non ha nemmeno Internet e, quando qualcuno ha uno smartphone, fa ricariche di 50 centesimi a settimana, oppure ha le spalle coperte da uno straniero (ci chiamano Vaza) che lo sostiene. Questo turista ha persino aggiunto, “i problemi li abbiamo tutti!”. A quel punto ho respirato e, come sempre quando sento delle ingiuste sentenze, ho risposto che magari dover cercare l’acqua per lavarsi e da bere non corrisponde proprio a “tutti abbiamo dei problemi”. Per bere non intendo le bottiglie da comprare al supermercato, non potrebbero permettersele, ma l’acqua presa da pozzi, spesso contaminata da batteri.

È stato facile integrarsi?

Con la popolazione locale sì mentre con gli altri residenti stranieri come me direi meno. Ci conosciamo un po’ tutti. Per me che arrivo da Milano, dove a stento saluti il tuo vicino di casa, Nosy Be è un grande paesino ma di carattere non approfondisco troppo i rapporti se non li ritengo interessanti. Sono un po’ solitaria, anche se apprezzo la compagnia, seppur a piccole dosi (ma dev’essere buona). Sono una persona che ha masticato molto la parola “business” e oggi quasi la detesto. Non è facile trovare solidarietà se non c’è un tornaconto personale, il mio modo di vivere e vedere la vita è sempre stato un po’ contro corrente, quindi, non è mai facile integrarsi se non sei come gli altri.

Che consigli daresti ad altri italiani che volessero trasferirsi lì?

Devo citare ancora una volta un mio libro, “Il Madagascar di Lulù”, che è stato scritto proprio per rispondere alle domande che trovo continuamente sui social per chi desidera viaggiare o vivere in Madagascar. Meglio venire più volte e cercare di comprendere di persona questo Paese, fare attenzione e fidarsi poco e magari non cercare di ricreare la stessa vita che conducevano nel Paese di provenienza, apprezzando e adattandosi al Madagascar senza fare polemica.

Pensi che sia necessario visitare il Paese a lungo prima di un trasferimento o che sia possibile andarci a vivere anche senza esserci mai stati prima?

È assolutamente meglio venirci più volte e per periodi lunghi.

Quali suggerimenti hai, per chi, invece, vorrebbe venire in vacanza lì?

Consiglio di fare quante più escursioni possibile. Qui non siamo alle Maldive e pensare alla camera di hotel o al mare cristallino non è la parte più interessante. Solo guardandosi intorno i turisti potranno vedere un Madagascar che resta nel cuore per sempre.

Quali sono i luoghi da vedere “per forza” e quali quelli poco conosciuti che, secondo te, meritano una visita?

Dalle mie parti, decisamente Nosy Iranja, Nosy Sakatia e tutte le varie isole vicine, poi la vita locale tangibile se si va in città o a visitare qualche villaggio o quartiere più sperduto. Il parco naturale di Lokobe e i parchi nella grande terra.

Quali sono state le difficoltà più ardue da superare?

Decisamente essermi fatta fregare appena arrivata da un italiano nel quale avevo riposto fiducia e nello stesso tempo subire il lutto a distanza di una persona cara, senza che potessi fare nulla al riguardo.

C’è un senso di comunità dove vivi tu? Puoi farci qualche esempio?

Apparentemente sembra di sì, ma credo che il senso di comunità sia molto diverso da come lo intendiamo noi. Per esempio, a volte qualcuno crede, guardando la grande partecipazione ai funerali, che la comunità sia unita, mentre io ho compreso, parlando e vivendo con una famiglia locale, che è quasi un dovere partecipare, soprattutto perché i locals, nella loro testa, vogliono credere che se così fanno per altri, altri faranno lo stesso per loro. I funerali durano giorni e la prima cosa alla quale devono pensare è di procurare riso e da bere per tutti, è quasi un oltraggio non essere pronti tempestivamente. Inoltre, devono raccogliere soldi per provvedere alla sepoltura e al trasporto del defunto, che a volte deve percorrere molti chilometri se vogliono seppellirlo nella città di origine che non è Nosy Be. Dico spesso che la malattia peggiore del popolo malgascio è la gelosia e, purtroppo, si riduce a una guerra tra poveri. Direi, quindi, che un senso di comunità c’è, ma come l’amore e l’amicizia, è molto differente da quello occidentale.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Non mi fiderei di un bianco, anche se è stato un corso molto accelerato per comprendere tante cose.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Ho imparato che c’è sempre una soluzione e se la trovano i malgasci la devo trovare anch’io.

Progetti futuri?

È difficile pensare al futuro, mi auguro solo di poter provvedere a me e a chi mi sta vicino con il privilegio di fare solo ciò che amo. Continuare a ricevere i lettori dei miei libri al ristorante per noi significa anche lavoro. Per me, inoltre, vuol dire rendere autonome le persone che ho vicine e mi piace pensare che, con me o senza di me, potranno andare avanti. Vorrei organizzare qualche viaggio, come a volte mi chiedono. Mi piace e vorrei continuare a farlo, soprattutto per condividere la mia esperienza e lasciare un bel ricordo di questo Paese. Sicuramente, vorrei continuare a scrivere e probabilmente insegnare italiano. Tutto ciò che è arrivato è stato inaspettato, nel bene e nel male, ma è servito. Certo, ora vorrei solo continuare ad accogliere belle sorprese e, per questo, ringrazio la generosità incontrata e che confido di continuare a incontrare.

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