L’Italia vista dagli investitori esteri

Come ci vedono gli imprenditori e gli investitori stranieri? Perché è importante che arrivi nuova linfa economica e produttiva dall’estero? 

Interrompiamo momentaneamente il nostro viaggio nelle econome di alcuni paesi per provare a capire come ci vedono gli investitori e gli imprenditori stranieri. E non lo facciamo per mettere il dito nella piaga ma perché riteniamo che a qualcuno possa interessare capire cosa succede al nostro paese, indipendentemente che questo qualcuno voglia o meno espatriare. Il disagio che si vive qui non è solo fatto di spinte verso altri paesi ma anche di difficoltà di chi, in questo paese, vuole continuare a lavorarci.

Uno degli indicatori più importanti per valutare la salute di un’economia ma anche per dare ad essa una possibilità di sviluppo, sono gli investimenti esteri. Da noi, e non vogliamo darne un giudizio di valore, si è pensato di incrementare questi investimenti rivedendo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come se fosse questo a rendere poco conveniente investire da noi. Cerchiamo allora di capire, o almeno tentarci, cosa succede nella mente di chi volesse investire da noi e viene scoraggiato.

L'Italia vista dagli investitori stranieri

Uno degli articoli che può iniziare ad avvicinarci a questo argomento è quello pubblicato recentemente sulla testata on line Ghigliottina.it che riporta, a sua volta, i dati pubblicati sul Sole 24 ORE a metà gennaio: qui si parla, certo, di una scarsa flessibilità del nostro mercato del lavoro, ma anche e soprattutto il carico di imposte e la burocrazia che definire elefantiaca è un eufemismo. La testata ricorda i dati del rapporto Doing Business che vedono il nostro paese al 73 posto per quanto riguarda la facilità burocratica di fare impresa e addirittura un 131 posto nel così detto paying taxes: cosa significa? In poche parole significa che il carico fiscale per chi vuole tentare di fare impresa, tra IRAP, INPS, stipendi lordi e altro, arriva ad un impressionante 68%. A voi verrebbe voglia di fare investimenti qui?

Lo stesso articolo mette in luce un dato che se non fosse amaro farebbe forse molto ridere. Sapete qual è il paese che sta decidendo di NON investire in Italia? La Cina. A dirlo è Zhang Gang delegato del China Council for Promotion of International Trade secondo il quale è decisamente meglio investire (e creare lavoro) in Germania e Svizzera. Ora, si può anche non avere simpatia per la Cina e per il suo mercato del lavoro ma sarebbe meglio non dimenticare che stiamo pur sempre parlando della seconda economia mondiale e del paese che, nei prossimi anni, sembra destinato a divenire una delle capitali mondiali della finanza.

E di investimenti stranieri in Italia si è parlato anche a New York nel corso di un convegno organizzato dall’International Business & Investment Initiative e di cui ci informa sempre il Sole 24 Ore grazie al giornalista Mario Platero. Durante questo incontro sono state messe in luce le molte difficoltà strutturali, economiche, politiche e burocratiche che rendono riluttanti, dopo i cinesi, anche gli investitori americani. Tra i relatori anche l’ambasciatore Thorne che ha messo in luce alcuni elementi di criticità, primo tra tutti il fatto che l’Italia occupi un poco onorevole 160 posto in una classifica di 185 paesi per quanto riguarda la trasparenza e l’affidabilità. Consigliamo vivamente la lettura di questo articolo, rintracciabile in rete con il titolo “Italia, sburocratizzare per favorire gli investimenti esteri”.

investitori esteri in Italia

Un’altra fonte informativa che vale la pena di essere letta è l’articolo pubblicato su iMille.it a firma di Maurizio Bovi e dal titolo emblematico di “Investimenti esteri. 2012, fuga dall’Italia”. E anche qui l’interessantissima lettura, ci dice, tra le altre cose, che quando si parla di investimenti si intende qualcosa di tipo produttivo e non meramente finanziario e speculativo. Ma per per invogliare questo il nostro paese deve cambiare completamente politica.

Indipendentemente da come la si pensi politicamente, da come si valuti la presenza estera nel tessuto industriale italiano, è innegabile che l’ossigeno di investimenti esteri è indispensabile sia per un fisiologico discorso di internazionalizzazione, ma anche per un incremento occupazionale e per una ripresa che sia credibile. Difendere il made in Italy non può diventare un cieco muro di chiusura: difendere il Made il Italy significa, anche se può sembrare paradossale, aprirlo a capitali produttivi stranieri, proprio per evitare di essere mangiati dalla sterile finanza.

A cura di Geraldine Meyer