Artista e designer, Leandro: “In California ho realizzato il mio American Dream”

Di Enza Petruzziello

L’American Dream? Leandro Conti Celestini lo ha trovato in California! Milanese, classe 1978, Leandro decide di trasferirsi a Los Angeles 15 anni fa alla ricerca del classico sogno americano. Designer e artista italiano, dopo una laurea in Storia dell’Arte, Leandro arriva nella città degli angeli per lavorare nella moda e nel cinema, da sempre attratto dall’estetica glamour della Old Hollywood.

Dopo un primo impatto culturale piuttosto difficile, scopre una vita easy, un’economia che funziona e una realtà che ispira. Una città che lo spinge a esplorare nuovi orizzonti, sia creativi che lavorativi, che in Italia non avrebbe mai potuto avvicinare. Oggi collabora come head designer di un marchio di moda americano, insegna pittura e storia dell’arte in alcuni college della contea e ha un suo brand made in USA commercializzato online e in alcuni store esclusivi.

“Alle corde” è il suo primo romanzo, la storia di formazione di un giovane wrestler negli anni ‘70 alla ricerca di se stesso che ha anche ispirato l’idea dei combattimenti clandestini in una Los Angeles senza regole nella seconda opera “L’educazione sentimentale di un ragazzo”. Nei suoi libri non mancano riferimenti alla sua esperienza personale.

La sua vita, da quando è partito, è cambiata profondamente: si ritrova in una posizione stabile e soddisfacente. È felice nel vedere i suoi progetti artistici avere successo ed è sempre in cerca di nuove sfide. Cosa lo spaventa? «Il pensiero di non aver preso questa decisione e di essere rimasto in Italia, ritrovandomi ad essere un artista disoccupato o costretto a vivere in condizioni di ristrettezze». Ecco la sua storia!

Leandro, partiamo dal principio, da dove nasce la tua passione per l’arte e la creatività?

«La mia storia è piuttosto banale in questo senso, ero il classico bambino un po’ solitario a cui piaceva disegnare, leggere libri e così via… Mi sono portato l’interesse per l’arte avanti per tutta la vita, tenendomi lontano da materie scientifiche o economiche per scegliere una (allora inutile lavorativamente parlando) laurea in Storia dell’Arte. Devo però ringraziare proprio i miei studi classici per aver tenuto questa passione sempre viva, aver sviluppato curiosità, apertura mentale (almeno spero) e un senso di sopravvivenza per ogni situazione».

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Perché 15 anni fa decidi di lasciare l’Italia? Quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a trasferirti a Los Angeles?

«Ho cominciato a lavorare nel mondo della moda piuttosto presto – in concomitanza con l’università – ma dopo una decina d’anni l’ambiente ha iniziato a diventare un po’ stretto. Ero annoiato, avevo bisogno di cambiamenti e la prima occasione arrivò a metà anni 2000 con un viaggio in California. Spargendo la voce tra i miei clienti, iniziai a organizzare delle produzioni di pubblicità in loco, unendo l’utile alla vacanza. Visto che la location “esotica” fu molto apprezzata, l’esperimento ebbe successo e così lo ripetei più volte passando tre mesi a Hollywood, fino al 2009. Fu l’anno in cui decisi di trasferirmi definitivamente.».

Come sono stati gli inizi a Los Angeles? Penso all’ambientazione, alla lingua, a nuove abitudini di vita e alla gente del posto.

«Los Angeles è proprio come la città che abbiamo in mente nell’immaginario collettivo: palme, oceano, tramonti, viali di stelle e il Sogno Americano più vivo che mai; ti fa sembrare letteralmente di vivere in un film… almeno i primi anni. Io mi ero già fatto degli amici quando venivo per “lavoro” e avevo imparato a capire i meccanismi, le relazioni e lo stile di vita completamente diverso dal nostro. In più sono una persona che si adatta senza problemi, mi tuffo e sfrutto la corrente, non ci vado contro cercando di mantenere le mie usanze a tutti i costi. La vita qui, pur essendo frenetica, è mitigata dal clima di eterna estate/primavera che rallenta i ritmi e ti fa godere il non correre troppo, mentre la lingua la si impara in fretta anche solo conversando e per me è molto più comprensibile del British English».

Per quanto riguarda i visti, gli americani sono piuttosto rigidi riguardo le leggi sull’immigrazione. A voi com’è andata?

«In effetti gli americani sono famosi per la questione visti, ma per fortuna è andato tutto senza problemi. In teoria il processo è semplice, ma il materiale richiesto può essere difficile da reperire. Ci sono diverse categorie di visto, quello che ho richiesto io è la visa artistica O1, anche detta per eccellenza artistica): ci vuole uno “sponsor” ovvero un’azienda americana che ti assuma, non devi essere una persona qualsiasi però, ma un individuo con qualità eccezionali, altrimenti quell’azienda assumerebbe un americano; bisogna poi presentare lettere di raccomandazione da aziende italiane che attestino il tuo buon lavoro e infine un fatturato che dimostri che il tuo lavoro è stato altamente remunerato. Tutto questo deve essere fatto tramite avvocato dal costo non trascurabile. Negli anni in cui venivo da visitatore, avevo preso contatti professionali che ho riallacciato prima di trasferirmi, fino a trovare uno sponsor con cui ho richiesto la mia Visa. Forse il fatto di essere arrivato a trent’anni – e non da ventenne senza esperienza – mi ha aiutato ad avere solide basi professionali appetibili al mercato americano e ottenere il permesso di lavoro anche grazie a numerose lettere di raccomandazione dalle aziende e riviste con cui avevo collaborato in Italia (tra cui anche Vogue). Al termine dei primi tre anni (la durata del visto), ho semplicemente richiesto un upgrade per green card e con l’esperienza maturata mi è stata concessa subito. Soltanto dopo essere arrivato ho sentito storie di gente che ha fatto cose impossibili per restare (ben oltre il leggendario matrimonio con un’americana) e mi sono quasi vergognato di aver fatto tutto come da manuale invece che vivere una di quelle avventure degne di un film!».

Los Angeles è conosciuta per la grande industria cinematografica, per le spiagge di Malibù e per le sue “stelle”. Ma com’è vivere nella città degli Angeli da residente e non da turista?

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«Paragonata all’Italia, l’America è decisamente più costosa (e la California in testa), ma dall’altra parte gli stipendi e il guadagno sono altissimi… sembra strano da dire, ma con la mentalità da italiano per me lo sono quasi troppo. Qui il consumismo esiste davvero e la gente spende a più non posso, mentre noi italiani, con uno stile più sobrio, non abbiamo bisogno di tutto quello che loro acquistano per vivere bene! Quindi le due cose insieme consentono una vita di qualità senza farsi mancare niente ma comunque piena di divertimento. L’aspetto sanitario forse è quello che lascia più a desiderare: in Italia ci si lamenta, ma qui io un po’ rimpiango la sanità del mio paese. Come per tutto il resto, quella americana è un business e i dottori ti vedono come un modo per far guadagnare case farmaceutiche e ospedali, raccomandando cose che a mio parere non servono troppo se non a creare effetti indesiderati. Si capisce che dal dottore cerco di andarci poco?».

Tu sei l’incarnazione del sogno americano. Sei riuscito non solo a trasferirti ma anche ad affermarti subito come designer e artista…

«Sono orgoglioso di rappresentare uno dei successi del Sogno Americano (ai miei occhi ovviamente, a quelli degli altri non mi interessa) essendomi reinventato dopo aver cominciato da zero. Qui tutto è possibile, se vuoi una cosa la devi prendere perché si trova proprio lì a pochi passi. Hai la possibilità di fare vedere quanto vali (con il rischio di essere sostituito se non rispetti quello che hai promesso) mentre se hai una buona idea è facile realizzarla senza complicazioni burocratiche; stai sicuro che se piace, la gente ci investirà molti soldi. In Italia ci sono invece troppe regole e permessi che ti bloccano già prima di cominciare e la situazione economica costringe l’italiano a stare più attento al portafoglio. Altra cosa interessante è la versatilità: come quasi tutti io ho due lavori e un paio di side business».

Di che cosa ti occupi precisamente?

«Disegno la collezione di moda per un marchio di abbigliamento donna americano, collaboro freelance con alcuni studios e insegno pittura in un college della contea; in parallelo ho creato un mio brand di underwear che commercializzo online e in alcuni store esclusivi e collaboro con un art gallery per vendere i miei quadri a collezionisti o appassionati. Il mio brand di moda, al sesto anno di vita, è diventato un classico per un certo target di uomo e se ogni tanto qualcuno sorride nel vederlo, io sorrido ancora di più nel pensare ai proventi incredibili che ha realizzato. In Italia non avrei potuto insegnare all’università, qui invece ho potuto farlo con la mia sola laurea e sin da subito (la mia prima esperienza è stata un seminario a Berkeley) è stato amore a prima vista: giornate a dipingere con gli studenti, parlando di musica, film e arte, è il paradiso! Eccomi adesso al quindicesimo anno in California, dove posso dire di avere una vita tranquilla e senza problemi economici, viaggio molto, faccio lavori che mi piacciono (che non richiedono troppo tempo o fatica), ho un gruppo di amici con cui mi diverto e torno in Italia ogni volta che mi va. Per me questa è l’idea di successo».

Come è il tuo stile e da quali influenze trovi inspirazione?

«Nel mio stile la nostalgia è sempre al primo posto… sono un immenso nostalgico, in particolare di quell’era pre-internet in cui sono cresciuto. La cultura di quel periodo (anni ‘80 ma soprattutto ‘90) mi attrae ancora tantissimo: dalla moda dei grandi stilisti come Valentino, Ferrè e Armani, al cinema di Hollywood (il vero momento d’oro), poi l’eleganza rarefatta, piccoli gesti come parlarsi al telefono di casa, le fotografie negli album, il fare ricerca in biblioteca e l’investire su progetti non solo dettati dal numero di followers. La mia ispirazione in ogni disciplina viene proprio da lì, unita all’amore per vecchi film, romanzi e ovviamente la storia dell’arte, con una fortissima contaminazione degli anime giapponesi trasmessi in quel periodo. Con loro sono cresciuto, ho passato la mia infanzia felice e penso che sia colpa di alcuni di questi se sono anche diventato gay (ride, ndr)!».

Ecco come fare per andare a vivere in America: i documenti necessari e molto altro!

A Los Angeles oltre al tuo lavoro di artista e designer, hai iniziato anche un percorso come scrittore. “Alle corde” è il tuo primo libro, a cui è seguito “L’educazione sentimentale di un ragazzo”. Come è nata l’idea di scrivere un libro? E di che cosa parlano i tuoi romanzi?

«Los Angeles è una città ricca di ispirazioni che ti spinge a esplorare, non solo in senso fisico (il paesaggio cambia costantemente dall’oceano, al deserto, alle montagne e alla città) ma anche in senso culturale. È un calderone di idee, razze, creazioni e movimenti da ogni parte del mondo, quasi un avamposto alla fine di tutto, oltre cui non c’è più niente a parte che miglia e miglia di oceano infinito. Non ci si stupisce che il venire a contatto con realtà diverse ti incuriosisca a uscire dalla comfort zone e apra nuove visioni. Ho trovato così nuovi approcci nel mio lavoro, ho iniziato a dipingere fine art e da qui ho iniziato a scrivere.

I miei libri nascono proprio dal mio brand di moda a cui ho voluto creare un mondo di fantasia intorno; siccome l’ispirazione dei miei capi sono gli anni ‘70, la prima storia parla di un giovane wrestler nell’America di periodo in cerca di successo e soprattutto del suo posto nel mondo. Ho voluto descrivere una terra lontana, desolata, un po’ malinconica ma anche generosa di possibilità e sfide.

Il secondo libro – ispirato all’omonimo romanzo di Flaubert, mio scrittore preferito in assoluto – racconta invece vent’anni dopo di un ragazzo italiano che si trasferisce a Hollywood per lavorare nel cinema ma finisce invece invischiato in un giro di combattimenti clandestini; se in questo ci sono echi dei b-movies di Jean Claude Van Damme degli anni ‘90, nel precedente c’è il chiaro riferimento a un altro eroe dei cartoni della nostra generazione che non ho bisogno di nominare (almeno credo). Ne ho scritto anche un terzo che per ora è in cerca di editore, in cui esploro un altro tema a me caro e molto attuale: la storia degli Illuminati».

Quanto di autobiografico c’è nei tuoi libri?

«C’è molta storia personale, si trovano le scelte che ho fatto e soprattutto il tema del viaggio, della ricerca, di traguardi lontani che prima erano soltanto sognati ma che il viaggiare rende più vicini, fino a poterli toccare, raggiungere e trovarne di nuovi».

Gli Stati Uniti da sempre rappresentano per noi italiani, e non solo, quella terra promessa dove poter trovare fortuna e vivere bene. Ma è davvero ancora così? Ci sono ancora occasioni per gli italiani?

«Penso che purtroppo negli ultimi anni sia iniziato un declino (culturale ed economico) a cui non sono sicuro seguirà una nuova rinascita nell’immediato. Ma chi lo sa, non è sempre stato così nella storia dell’uomo? Nuovi poteri salgono, cadono, altri arrivano, le cose cambiano e, anche se è difficile, diventa stimolante. Penso che l’unica cosa da fare sia continuare a cavalcare l’onda, e quando diventa troppo alta è importante stare attenti a non affogare… ma mai lasciarsi scoraggiare!».

Quali sono le principali differenze tra l’Italia e la California, sia lavorative che personali?

«Se gli Stati Uniti (California in particolare, insieme a NYC) sono il posto migliore per il business e per fare soldi, penso che la qualità della vita di noi italiani sia irraggiungibile, siamo maestri in tutto e io me ne sono accorto vivendo in un altro paese. Proprio questo bagaglio culturale mi ha salvato, facendomi capire come apprezzare quello che abbiamo, gli affetti personali, le piccole cose e la felicità di una vita tranquilla. Le relazioni sono più difficili, nel senso che noi italiani siamo calorosi, ci abbracciamo, ci piace stare insieme, qui e tutto più “professionale”, anche i rapporti, ma da quello che vedo gli americani adorano il nostro modo di essere (e chi non lo fa comunque?) e io da parte mia… adoro gli americani!».

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Che consigli daresti a chi, come te, vuole mollare tutto e ricominciare a Los Angeles?

«Ero giovane quando mi sono trasferito, adesso non so se ne avrei la forza, ma chiunque si trovasse nella situazione in cui ero (annoiato, senza più voglia di fare), penso che un cambiamento sia sempre ottimo. Il consiglio è di venire preparati e non allo sbaraglio senza documenti come fanno in molti… ma anche questa è un’opinione personale, seguire il proprio istinto is always the best. Unica cosa da non sottovalutare è la necessità di un investimento iniziale: la vita qui è cara e si dovrà pagare un avvocato per sistemare le faccende burocratiche… quindi non un passo da fare alla leggera o si corre il rischio di finire male. Sono comunque disponibile a raccontare meglio i miei primi passi a chi cercasse consigli, scrivetemi pure!».

Com’è cambiata la tua vita da quando sei in California?

«Decisamente è una scelta che approvo anche quindici anni dopo: sono sempre io, ma con una posizione stabile, mi sento felice, ho portato al successo progetti artistici e sono sempre alla ricerca di nuovi. Mi spaventa invece il pensiero che avrei potuto non fare questo passo e rimanere in Italia; probabilmente sarei stato un artista disoccupato o comunque costretto a vivere in ristrettezze».

Quali sono le tue speranze e i tuoi progetti per il futuro?

«Ho diversi progetti che sto portando avanti e tutti in ambiti diversi. In parallelo con il mio lavoro ho iniziato a investire in real estate, mentre per ambiti più artistici sto cercando una casa editrice per il mio terzo romanzo e finanziando una graphic novel del mio primo con un fumettista con cui mi trovo molto bene. Sicuramente mi piacerebbe allargare il mio profilo “letterario” con più amici per parlare di libri, ma anche scambiare idee e magari creare un nuovo progetto editoriale. Vorrei anche introdurre nuovi capi nella mia linea ma questo so che succederà molto presto! Parlando di futuro più distante invece… se rimarrò in California ancora non ho deciso, vorrei andare “in pensione” anticipata tra qualche anno e vivere in un posto ancora più tranquillo, dove dedicarmi allo studio di qualcosa di nuovo e magari anche un po’ di volontariato… quindi sono aperto a nuove proposte. Anzi ne approfitto per chiedere se qualcuno è stato in Sud America, come Argentina o Brasile – due posti che mi attirano molto – per favore mi scriva! I would love to exchange ideas!».

Per contattare Leandro ecco i suoi recapiti:

Instagram: @leandroconticelestini e @tigerheatproductions

Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=100016381392297

E-mail: tigerheatproductions@gmail.com