La voglia di andare oltre … – per carità non prendetemi per una fan del PD, non lo sono – … frontiera ce l’ho dai 18 anni: da una cittadina di provincia il passaggio a Milano (per studiare lingue e lavorare nelle R.P.) è stata la prima catapulta. Poi non mi sono più fermata.

I milanesissimi contratti CO.CO.CO. – estesi in tutta Italia per “flessibilizzare” il lavoro e infinocchiare i giovani masterizzati disoccupati – mi stavano stretti, una nube tossica impestata di becero nazional-patriottismo padano cominciava a diffondersi e il tanfo si allargava ben al di là del fiume Po. I rampantissimi “the Berluscones”, giovani di classe medio-borghese e bassa cultura che cantano pessime canzoni (e meno male che Silvio c’èèèèè …!), e sono pure stonati, si preparavano a prendere il dominio di Milano, e oltre … (arridagli con il PD!).

Insomma era venuto il momento di fare la valigia ed espatriare. Allora via! Direzione il Sud della Francia, prima sosta: Montpellier.

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Vivere a Montpellier

Se posso dare un consiglio, se si decide di avere un figlio, la Francia è il paese ideale. Uno Stato friendly (solo per motivi economici, of course), permette alla puerpera di sentirsi un individuo piuttosto che una “chioccia”. Dunque, posto di lavoro assicurato dopo il parto (ed epidurale per tutte … chi aveva detto che bisogna partorire con dolore?), asili nido garantiti, assegni fino ai tre anni d’età del pupo per poter aiutare all’acquisto di pannolini e latte. Sul lavoro, soltanto alcune dritte: esiste lo SMIG, salario minimo garantito. Secondo la legge – che viene al 90% rispettata da Nord a Sud da Est a Ovest dell’Esagono – non si può essere pagati meno di un tot. (ora siamo a circa 1.070 euro netti per 35 ore di lavoro … di memoria, ormai dimenticata, socialista!); se si viene licenziati c’è lo chomage (un anno e mezzo di salario garantito al 70% del proprio guadagno abituale, vale anche per i contratti a termine); nessuno ti chiede di fare uno stage gratis o di cominciare a lavorare per loro senza stipendio, “e poi si vedrà”; il nero praticamente non esiste, i contratti sono un diritto e non un optional; tutti (in grosso) pagano le tasse. Questo vuol dire: scuola pubblica – e laica – di qualità accessibile a tutti (i libri sono gratis fino alla fine delle medie e per il liceo si paga veramente poco); sanità eccellente (per curare una carie si paga in media 30 euro!) su tutto il territorio. Le tariffe dentistiche – e quelle di alcuni specialisti – sono decise dallo Stato e tutti sono tenuti ad attenersi: altrimenti altro che multe che fioccano!

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Inoltre, buona accoglienza da parte degli autoctoni, molto amanti della cultura italiana – bien! almeno fino all’arrivo della banda del Bunga Bunga …tutti gli italiani all’estero sanno di che sto parlando ma … andiamo oltre (gasp!) – Signori, c’èst ça la France. Qui è nata mia figlia che è per metà galla!

Ma, nomade per natura e per scelta, nel 2008 decido di andare un po’ più in giù, lungo la costa mediterraneam e approdo in una città che per molti italiani è la mecca: Barcellona.

VIVERE A BARCELLONA

Settembre 2008, non è una buona data! È l’inizio della grave crisi economica e finanziaria mondiale e della bolla immobiliare in Spagna. Aquì hay crisis …! il governo cerca di gestire, ma la disoccupazione è alta (20%) e l’economia non si riprende. Oggi, a Barcellona è molto più difficile trovare lavoro ma la città è “encantadora”, solare, aperta, cosmopolita e giovane. Una delle ultime misure del Comune: wi-fi gratis per la strada, nelle biblioteche, nei centri civici, nei parchi. Cercano di andare oltre … e, nonostante i tagli ai servizi pubblici che non tarderanno ad arrivare, la città funziona (metropolitana estesa, bicing e piste ciclabili, vita culturale e musicale intensa).

Qui oltre a scrivere (a cottimo) per alcuni giornali italiani – prestigiosi ma pidocchiosi quando si tratta di pagare i collaboratori (che valgono in Italia meno di uno zero) – collaboro con un simpatico blog/magazine, creato da due brillanti siciliani (Fabio&Fabio): www.spaghettibcn.com

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Il titolo è ironico (… spaghetti, pizza e mandolino … a volte all’estero ci vedono ancora così!). L’idea è di parlare di Barcellona in italiano dando info, soprattutto su festival mostre fotografiche, eventi culturali, alla corposa comunità italiana (almeno 20.000) e far sapere agli italiani d’Italia, che sorprendentemente ci seguono, che succede a Barcelona e Catalunya.

A proposito, qui le lingue ufficiali sono due: castigliano e catalano. E quest’ultima è la lingua preferita dagli autoctoni. Dunque, se si vuole essere meglio accolti e non sentirsi proprio dei guiris (termine dispregiativo, indicante il turista invadente, ubriacone che vaga sulle ramblas e che si compra il sombrero messicano, pensando sia tipico di Barcellona!), imparate almeno a dire Bon Dia (buon giorno in catalano) e Adéu (ciao, arrivederci) … vi apprezzeranno di più.

Naturalmente, se volete essere aggiornati su quello che succede a BCN ed avere info pratiche su tutto quanto sia necessario per vivere a Barcellona: dalla ricerca di casa in affitto, al NIE per gli stranieri comunitari, fino alla mappa della metropolitana… stay tuned su www.spaghettibcn.com

Paola

paolagrieco@me.com