Da Genova a Galway (Irlanda): il racconto di Francesca
Esistono storie comuni? Forse sì se ragioniamo in termini numerici, di certo no se lo facciamo in termini di umanità. Il cambiamento, in senso lato, riguarda moltissime persone. Ma come questo si sia inserito nelle loro vite ha il sapore dell’unicità.
Questa è la storia di Francesca e di suo marito Marcello, sulla rotta da Genova a Galway, nel nord ovest dell’Irlanda.
Francesca ci racconti il tuo percorso?
Più o meno finita l’università (ossia, ho finito gli esami, scritto la tesi su Joyce, ma non l’ho mai né presentata, né discussa.) ho iniziato praticamente subito a lavorare come promotore finanziario. All’epoca sembrava un lavoro pieno di aspettative, entusiasmo, ci si “credeva” ancora, e in più era soprattutto un lavoro di PR e contatto con le persone; nel mio caso famiglie normali con un po’ di risparmi e voglia di investirli meglio.
Insomma, prima per Sanpaolo, poi per Credito, proseguo su questa strada per circa 9 anni, con tutta una vita che mi scorreva a fianco (relazioni deliranti con colleghi e non, la malattia e poi la morte di mia mamma, ecc), e intorno (crack finanziari nostrani e internazionali, e l’11 settembre, tanto per dirne un paio).
Poi cosa ha cominciato a girare nella tua testa?
Tra il 2002 e il 2003 decido che era arrivato il momento di dire basta. Il lavoro nel frattempo si è trasformato in una sorta di vendita stile “folletto” di prodotti sempre più complicati e sempre più lontani dalle esigenze della gente normale. Intanto il nostro “target” (e già la scelta della parola te la dice lunga su come le banche abbiano cominciato a considerare i clienti già allora ) era diventato quello dei quasi ricchi. I ricchi veri i soldi li avevano da tutt’altra parte, e soprattutto non li davano ad una povera promotrice che li contattava per telefono. A quel punto inizio a riascoltarmi un po’, riscopro vecchi interessi e passioni, soprattutto l’esoterismo e a un approccio “diverso” alla realtà.
Quindi hai avvertito una sorta di disagio?
Sì, quindi inizio a leggere, documentarmi su internet, scopro che, nel frattempo, cose a cui avevo sempre creduto o che avevano sempre fatto parte del mio modo d’essere, sono diventate una vera e propria moda.
Adesso questo modo di vedere le cose si chiama “essere Wicca”. Entro in contatto con forum e mailing lists varie, e a poco a poco mi viene in mente un’idea leggermente (all’epoca) pazzesca: “Perché non aprire un magick shop?” Ma non con quello stile un po’ da Wanna Marchi o da cartomante da baraccone tipico dei negozi esoterici già esistenti, ma una botteghina tutta colorata e allegra, con oggetti buffi, ma anche erbe e cose che altrimenti peneresti una vita a trovare, e soprattutto un sacco di libri sull’argomento.
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Un negozio che apparentemente non si prendesse troppo sul serio, ma dove in realtà uno potesse trovare delle idee e dei consigli non campati in aria, ma basati sull’esperienza.
Questa l’idea, ma i passi concreti?
Così, tra intoppi e deliri vari (siamo in Italia, ti dirò solo che ho ottenuto un finanziamento pubblico che doveva coprirmi metà affitto per 4 anni, e non l’ho mai visto) a maggio 2003 apre O’ Rattopennugo (pipistrello in genovese), nei carruggi.
È stata una delle esperienze più belle della mia vita, nel giro di tre mesi si era formato un cerchio di persone fisse che sono diventate amiche e anche più, il negozio in poco tempo si è trasformato in un ufficioso centro culturale di magia, tra internet e passaparola. Certo, ho avuto la mia bella dose di clienti squinternati, altri decisamente inquietanti, ma la maggioranza è stata esattamente il tipo di clientela che speravo di attirare, interessata, curiosa, felice di trovare un posto affine alla propria sensibilità.
Tra questi clienti-amici avevo legato soprattutto con una ragazza che mi confidò di avere un sogno, quello di trasferirsi in Irlanda, e, a distanza di anni, improvvisamente, tutto il mio amore per quel posto, per le esperienze e i viaggi che avevo fatto, mi sono tornati in mente.
Tu eri già stata in Irlanda anni fa per studiare. Sembra quasi un segno del destino, e forse lo era.
Questa ragazza diventa una amica preziosissima, conosco anche il suo futuro marito e suo cognato. Intanto passa un anno, con lei e altri amici ci regaliamo un paio di vacanze a Galway (in realtà loro stavano verificando la possibilità di aprire un ristorante qui), e intanto con il suddetto cognato inizia una relazione.
Il negozio prosegue, anche se il peso del fare business in italia inizia a farsi sentire. Il mio rimpianto più grande è che in realtà il negozio in sè funzionava, e anche bene, ma tra tasse, interessi passivi in banca, ecc iniziavo a faticare non poco ad arrivare a fine mese. Non aiutava che il gettito principale arrivasse dai libri che garantivano un margine troppo basso.
Allora sono cominciati i primi motivi di inquietudine?
Sì e con Marcello iniziamo a pensare seriamente se Genova, e l’Italia, siano davvero il posto dove vogliamo vivere il resto della nostra esistenza. Veniamo insieme a Galway per una settimana di vacanza, a sull’aereo di ritorno prendiamo la decisione (folle, se rileggo adesso tutto quanto in sequenza) di trasferirci appena possibile!
E il negozio?
Nell’estate del 2005, in piena crisi, inizio a cercare un acquirente che sia disposto a pagare per la merce che lascio e la buonuscita per me, con il commercialista che scrollava la testa disperato ogni volta che mi vedeva e diceva incoraggiante “non ce la farai mai”.
E invece l’acquirente l’ho trovato, un vecchio amico che capita per caso dalle mie parti, vede il negozio, si ricorda che qualcuno gliene aveva parlato, entra, scopre che è il mio, mi racconta che non vede l’ora di mollare il suo lavoro e aprire qualcosa di simile, e VOILA!
Ancora il caso nella tua vita? E una serie di cose che sembrano indicare quella direzione
Davvero, se ci penso mi sembra un filo rosso. Ad ottobre il mio “ratto” passa di mano non senza qualche lacrima. In tutto questo c’è da dire che abbiamo deciso di trasferirci a vivere e lavorare in Irlanda senza avere un lavoro ad aspettarci; il nostro inglese era ad un livello assolutamente mediocre; mia cognata nel frattempo si era decisa pure, ma lei è cantante, e a settembre, durante l’ennesimo viaggio di ricognizione, trova un ingaggio in due bands, e in tre settimane fa le valigie e viene su in avanscoperta (anche suo marito salirà con noi a novembre).
Cosa avete fatto appena arrivati in Irlanda?
Per sei mesi dopo il trasferimento ci siamo dati da fare tantissimo per cercare lavoro in Irlanda, cosa all’apparenza molto facile, ma solo se conosci regole non scritte, trucchetti, mentalità e soprattutto persone. Alla fine il lavoro l’abbiamo trovato perchè abbiamo provato a guardare in una direzione completamente diversa. Trasferirsi all’estero, anche se lo rifarei altre mille volte, alle stesse condizioni, non è affatto facile.
E così sono passati 5 anni, nel frattempo mi sono sposata, abbiamo avuto un mito di bimba con nome assolutamente irlandese e temperamento italiano. I folletti ogni tanto sono difficili da vedere ma sono sempre lì. Ho dovuto ridimensionare un po’ le aspettative; speravo di aprire un ratto-bis in un paio d’anni, poi ho scoperto quanto costano gli affitti commerciali in questa città e ho rinunciato. Io e mio marito facciamo un lavoro che non ci piace (lavoriamo tutti e due in ditte biomediche come operai specializzati), anche se stiamo cercando di ritagliarci spazi migliori, sia all’interno del lavoro sia al di fuori, e comunque lo stipendio è circa un terzo più alto di un buono stipendio italiano.
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Viviamo in affitto in una casa meravigliosa, con il bosco e le volpi a dieci metri, e a 10 minuti di bus dal centro di Galway. Abbiamo dovuto ricrearci un’immagine degli irlandesi al di fuori degli stereotipi che loro stessi alimentano. Sono sì cordiali, simpatici e gentili, ma fare amicizia è difficilissimo, soprattutto se non sei un bevitore e la tua idea di socializzare non è finire con la testa nel cesso di un pub. Sono completamente approssimativi (dalla puntualità all’accuratezza sul lavoro), ma ancora ora per me è una meraviglia scambiarmi sorrisi e saluti con totali sconosciuti per strada, e se qui dimentichi la macchina aperta con le chiavi inserite (mi è successo ancora ieri), la ritrovi esattamente dove l’avevi lasciata (e così per borse, macchine fotografiche, ecc).
Certo siamo sempre in bilico, mai irlandesi, ma nemmeno più italiani.
Ora in Irlanda le cose dal punto di vista economico si sono messe piuttosto male. Voi come andate avanti? Pensate mai di tornare in Italia?
Ora che è arrivata la crisi qui si strappano i capelli e predicono una nuova carestia e noi li guardiamo un po’ perplessi perchè nella crisi ci siamo nati e ci abbiamo trascorso tutta la nostra vita; ci commuoviamo al pensiero di certi profumi, odori e sapori, e cerchiamo di ricreare le cose belle, ma mai e poi mai ci sogneremmo di tornare indietro.
Anche nei momenti peggiori, quando eravamo senza lavoro, e i soldi stavano per finire, o quando Marcello è stato lasciato a casa per ridimensionamento al mio 8° mese di gravidanza (a posteriori, ci hanno fatto un regalo: così ci siamo goduti insieme l’ultimo mese da soli, e i primi due con la bimba, e poi è stato richiamato), o dopo due settimane di pioggia e vento stile Cime Tempestose, mai ci ha sfiorato l’idea di tornare.
E di solito, mi basta arrivare in cima alla strada che mi porta in centro, da cui riesci a vedere tutta la baia, perchè mi venga un po’ il magone, e mi senta felice della scelta che ho fatto.
Per scrivere a Francesca:
Intervista a cura di Geraldine Meyer