Nadia: amo la mia Saigon ma la mia famiglia ed io ci prepariamo al rientro in Italia

A cura di Maricla Pannocchia

L’esperienza a Saigon, Vietnam, ha insegnato tanto a Nadia che, con la sua famiglia, ha potuto immergersi totalmente in una cultura diversa dalla propria. “Adoro i vietnamiti, noi italiani abbiamo diversi punti in comune con loro e questo fa sì che ci accolgano molto bene”, racconta Nadia, mamma di Nicola e della piccola Giulia, 5 anni, adottata proprio in Vietnam.

Saigon è una città dove, ci racconta Giulia, chi è single e si trova un lavoro, può trasferirsi senza troppi problemi. Le famiglie o i genitori single devono fare i conti, invece, con i costi piuttosto elevati delle scuole in inglese, “Se non è la tua azienda a pagarne il costo, è necessario che tu faccia bene i conti e, se non si riesce a sostenere questa spesa, sconsiglio il trasferimento”.

Nonostante Nadia ami tantissimo Saigon, lei e la famiglia pianificano il rientro in Italia. “Ci stiamo preparando a quello che sarà un forte shock culturale”, racconta la donna, “Ma voglio che mio figlio riprenda le amicizie lasciate a 6 anni e che mia figlia conosca la sua famiglia e la sua nuova cultura”.

Nadia: amo la mia Saigon, ho adottato una bambina di origini vietnamite, ma la mia famiglia ed io ci prepariamo al rientro in Italia A cura di maricla Pannocchia

Ciao Nadia, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao, mi chiamo Nadia, sono nata a Oderzo (Treviso) il 23 Marzo 1973. Laureata in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Verona con specializzazione in Marketing e MBA in Sustainable Fashion Management presso la Sustainability Management School in Svizzera. Ho lavorato come product marketing manager e consulente marketing e vendite in interessanti aziende. Mi sono realizzata nella vita familiare, crescendo due fantastici bambini con mio marito. Dal 2016 ci siamo trasferiti a Saigon per un periodo determinato, dove abbiamo vissuto delle esperienze uniche. Abbiamo pensato di lasciare una sorta di eredità ai nostri figli, che ha preso la forma di un libro.

A differenza di molte persone che lasciano l’Italia perché si sentono insoddisfatte, tu avevi una vita molto ricca sotto ogni punto di vista. Cosa ti ha spinta, quindi, a partire per l’estero?

I motivi sono 2. Sia io sia mio marito avevamo buone posizioni in azienda e per anni abbiamo viaggiato entrambi in varie parti del mondo ma non ci siamo mai trasferiti. Volevamo capire cosa volesse dire “essere internazionali” e dare a nostro figlio l’opportunità di crescere in un ambiente internazionale. Nicola oggi ha una sorella adottiva di 5 anni, di origini vietnamite. Entrambi hanno frequentato le scuole internazionali con 55 nazionalità, distinguono e valorizzano le diversità dei coetanei, sono connessi con amici in tutto il mondo, conoscono i fatti politici e di attualità internazionale e sono in grado di fare collegamenti e confronti esprimendo la propria opinione. Sono dei Third Culture Kids, hanno perso il senso di appartenenza a un luogo, si sentono parte della tribù dei ragazzi che hanno vissuto la stessa esperienza di trasferimento.

Spesso in casa ci diciamo che “siamo partiti grazie all’Italia e non a causa dell’Italia’.E’ proprio la grande forza, il patrimonio di competenze e del fare del nostro distretto del Montebellunese, che è stato attrattivo per la creazione di una subsidiary estera che ci ha offerto l’opportunità di vivere da expats. Vivendo all’estero si nota maggiormente il valore e il potenziale a volte inespresso della propria nazione e noi ne abbiamo riscoperto la qualità, le diversità e le ricchezze inestimabili.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua decisione?

Ci siamo sentiti capiti nel senso che ci riconoscono come famiglia che da sempre ha seguito dei percorsi tortuosi e straordinari ma queste scelte vengono vissute da chi rimane come egoistiche, portando sofferenza per il distacco.

Tuttavia, soprattutto l’esperienza a Saigon, si è rivelata una opportunità per molti dei nostri cari e amici che sono venuti a trovarci ed è stato emozionate per noi ospitarli e fargli conoscere una realtà incredibilmente diversa da quella che vivono in Italia. Ci siamo sentiti capiti per la profonda ricchezza che queste esperienze portano nelle nostre vite e nel tempo si sono rasserenati quando ci hanno visti felici e in sicurezza.

Di cosa ti occupi?

Ho 20 anni di esperienza in contesti corporate come Merchandising Manager e product marketing manager, 3 anni come sales e marketing consultant e a Saigon ho creato un mio marchio di abbigliamento, un progetto sostenibile che prevedeva l’acquisto dei tessuti, rimanenze di marchi noti, la realizzazione da parte di capi da parte di sarti locali da distribuire poi nelle boutique della città. Durante il trasferimento tra Saigon e Portland ho chiuso il mio business e da qualche mese ho concluso il mio MBA in Sustainable Fashion Management.

Com’è la tua vita quotidiana?

Anche se in un Paese diverso, si cerca di creare delle routine quotidiane fatte di scuola, lavoro, amici, ma gli alti e bassi sono molti e la vera opportunità è quella non solo di saperli gestire e superare ma soprattutto di utilizzarli per sfruttare capacità personali o individuare una vocazione che in Italia probabilmente non sarebbe emersa per mancanza di tempo o limitatezza culturale. Tra espatriati, si cerca di ricreare la comunità, di individuare plurime occasioni per stare insieme, socializzare e far giocare i bambini. Questo è vitale quando si è lontano dalle famiglie, dagli amici, da tutti gli “ammortizzatori” che ti permettono di superare le difficoltà e vivere in modo bilanciato sotto tutti gli aspetti.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

I vietnamiti sono abituati a convivere con gli stranieri e, anche se non si sarà mai parte di loro, sono molto socievoli, festaioli, conviviali, adorano stare a tavola a mangiare, anche per delle ore. Per questo noi italiani c’integriamo benissimo, siamo stimati e amati. Ho studiato il vietnamita per qualche mese e questo mi ha aperto le porte verso chi non parla inglese. I locali apprezzano lo sforzo di qualche parola detta anche con fatica, ti sorridono e trovano il modo di accoglierti. Io li adoro, sono innamorata dei vietnamiti. Adoro la loro determinazione, la capacità di raggiungere grandi obiettivi aiutandosi l’uno con l’altro, i comportamenti a volte naive che mi fanno sorridere. Ho una stima tremenda di questo popolo che ha superato tutto, ha un’identità e autenticità molto forti e assorbono dall’estero solo ciò che gli è utile, non lasciandosi completamente contaminare.

Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita?

I prodotti importati sono molto costosi, per esempio il cibo e soprattutto il vino, anche se gradualmente le tasse d’importazione si stanno abbassando grazie ai grandi accordi commerciali. I prodotti locali e le cucine asiatiche in genere sono molto economiche. Se non hai la necessità di mangiare italiano, cosa che solitamente si fa per i bambini, è più conveniente mangiare fuori che a casa. A Saigon esiste quella che io chiamo “accessibile luxury”. Puoi permetterti dei ristoranti indocinesi e hotel 5 stelle per il prezzo equivalente a quello di un motel in America. Le offerte di alloggi sono le più disparate e per tutti i livelli.

Ci sono delle zone della città che consiglieresti come base a chi vuole risiedere lì?

Dipende chiaramente dal proprio stile di vita. Le aree tipiche per gli espatriati, dove si può avere una “international immersion” sono il Distretto 2, Thao Dien e il Distretto 7. In queste aree si trovano le scuole internazionali. Se si è single si può scegliere di vivere anche in centro, al Distretto 1.

Cosa significa, per te, essere un expat?

Expat per me significa vivere all’estero ma per un periodo limitato, spesso legato a un termine contrattuale, mantenendo forte l’identità culturale, e lo distinguo dal termine “emigrato”, status che coinvolge chi, per necessità o scelta, decide di trasferirsi definitivamente, spostando radicalmente le generazioni successive della propria famiglia e perdendo in parte l’identità culturale.

Quali suggerimenti daresti, anche dal punto di vista pratico e burocratico, a chi sogna di trasferirsi a Saigon?

Non vedo grosse complicazioni per il single se si trova un lavoro. I visti non sono complicatissimi.

Per chi ha figli può essere un po’ più complicato perché le scuole in inglese sono piuttosto costose. Ci sono due opzioni: l’azienda supporta il costo della scuola o lo stipendio deve essere sufficiente per coprirne il costo. In caso contrario sconsiglio di trasferirsi.

E quali luoghi, magari lontani dai sentieri più turistici, suggeriresti a chi sta pianificando una vacanza in città?

Io consiglio tutti i quartieri, sono meravigliosi, autentici e passeresti una vita a esplorarli.

Che cos’hai imparato, per ora, vivendo a Saigon?

Ho imparato a vivere altri aspetti della vita non limitati al contesto corporate o locale, è stato un vero corso di parenting visto si è in parte soli, senza i familiari e amici con cui confrontarsi per prendere costanti decisioni nuove e difficili. Ho imparato ad accettare crescenti nuove sfide, a spingermi ai limiti della comfort zone, a investire in cultura, conoscenza, esperienza, nuove attività e nuove conoscenze. Con questa ricchezza, oggi mi sento realizzata.

Progetti per il futuro?

Rientrare in Italia, dare l’opportunità a Giulia di conoscere la sua nuova cultura e i suoi familiari e a Nicola di continuare a vivere le amicizie che ha lasciato a 6 anni e di frequentare le scuole italiane. E a noi di goderci l’Italia con l’occhio dello straniero. Quello che si prospetta infatti è lo shock culturale più impattante e ci stiamo preparando.

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