Vivo a Malta da due anni e ho imparato a conoscere molto bene i pregi e i difetti di quella che, soprattutto negli ultimi anni, rappresenta una delle mete più gettonate degli italiani che hanno deciso – per motivi che tutti conosciamo – di trasferirsi all’estero. Prima di raccontarvi quello che so sull’isola, sono necessarie alcune premesse. Risiedo ancora a Malta per mera convenienza economica e da tempo sto progettando di trasferirmi in Irlanda. La mia prima volta sull’isola è stata da turista nel 1983. Dopo un breve soggiorno rientrai a Roma con un bilancio sostanzialmente positivo. Ritornai a Malta nel 2008 con mia figlia, sempre per tre settimane. Nonostante l’euro e il boom turistico, il posto rimaneva economico ma qualcosa era cambiato, e non certo in meglio. In albergo, ad esempio, dove gli schiamazzi cessavano solo a notte fonda, fu impossibile ottenere un cornetto a colazione al posto di bacon, fagioli, uova strapazzate, pomodori grigliati e altro.

Una seconda premessa da fare riguarda me e il lavoro. Ho la fortuna, secondo molti, di vivere senza dover lavorare, per cui espressioni come ”Torna al tuo paese, se qui non stai bene” oppure ”Non puoi sputare nel piatto in cui mangi”, non mi si adattano incrementando io il PIL maltese. Non solo, ma il mio paese ormai da otto anni è il mondo. Lavoro da quando avevo 14 anni e la voglia non mi è ancora passata. Non credo sarò mai ”pensionato”, almeno così come lo intendiamo in Italia. E così con la mia voglia ancora intatta di lavorare, due anni fa ho deciso di trasferirmi a Malta alla ricerca di un lavoro dipendente in linea con le mie skills. Cinquecento curriculum inviati, 25 job interviews. Risultato? Nessuno. La colpa? Forse sarò ”vecchietto” o forse ”overqualified”, non parlo maltese  e non ho nessuna intenzione di impararlo, anche se ormai conosco l’inglese come l’italiano. Oppure forse, semplicemente, perché sono italiano e i maltesi gli italiani li accettano, magari li fanno lavorare, possono addirittura invidiarli, ma di certo non li amano. E, spesso, non hanno neppure tutti i torti, vista la qualità di molti di noi presenti sull’isola.

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Vi racconto questo perché il principale squilibrio che ho notato, assieme all’inquinamento, riguarda proprio il profondo divario tra costo della vita, in primis gli affitti cosiddetti “long term”, e il livello medio delle retribuzioni. L’economia maltese, da sempre, necessita di manodopera straniera. Qualificata e non. L’edilizia, prima industria nazionale e dove è impiegata la maggior parte degli extra comunitari, ha ormai saccheggiato irrimediabilmente le coste, realizzando orridi palazzoni che si tenta di vendere, a prezzi italiani, a stranieri (in primis russi e libici) in cerca di investimenti alternativi. L’attività di mediazione immobiliare non è regolamentata per cui si incontrano dozzine di agenti non sempre all’altezza del loro delicato compito, e spesso improvvisati.

Subito dopo l’edilizia, troviamo il turismo facilitato da un clima decisamente piacevole, anche se la pressoché mancanza di pioggia ha i suoi lati negativi, soprattutto in agricoltura. Malta è sempre stata una meta cheap, economica, adatta anche alle tasche più piccole. Purtroppo però, anche se apparentemente fissati sulla ”customer satisfaction” qui non esiste il concetto di service a nessun livello. Un esempio? Non aver ancora visto, in oltre due anni, un tovagliolo di stoffa. Anche per un pezzo di pizza a taglio dovrete richiederne uno, di carta ovviamente, altrimenti sarete costretti ad arrangiarvi con le mani. E potrei continuare con dozzine di altri esempi.

L’ultima industria nazionale, quella cresciuta impetuosamente durante questo ultimo decennio, e che offre buoni stipendi, è quella del gioco d’azzardo. Oltre 300 casinò, aperti 24ore su 24, offrono la possibilità di perdere soldi, basati tutti sulla fiscalità agevolata del sistema maltese. Ma il gioco d’azzardo è spesso colluso con l’illegalità se non talvolta col crimine organizzato. Lo testimonia l’operazione della DDA di Catanzaro che nell’estate dello scorso anno ha portato all’arresto di circa 20 persone col sequestro di oltre due miliardi di euro di attività.

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E ancora. Malta è l’unico paese comunitario, più volte inutilmente sanzionato, a vendere la cittadinanza europea. Da 800 mila euro in su, a seconda di chi sei, da dove vieni, e, soprattutto da chi ti presenta. E non credo che chi è disposto a spendere tali cifre, lo faccia solo per il piacere di sentirsi europeo. Basti pensare che negli ultimi due anni poco meno di 1000 passaporti sarebbero stati concessi dal governo di La Valletta. Per poterli ottenere si richiede un contributo di 650mila euro e un investimento da 150mila in azioni o bond.

Passiamo a un altro tema scottante, il lavoro. Alla classica domanda “C’è lavoro a Malta?”, rivoltami decine di volte da connazionali in fuga attraverso incontri, mail, telefonate e altro, rispondo sempre nello stesso modo. Se per lavoro intendiamo: essere pagati 4,19 euro/lorde/ora, adattarsi a svolgere part-time jobs in cui si può essere licenziati anche telefonicamente, essere sovente discriminati solo perché non si è maltesi, non avere, di fatto, tutela sindacale e trovarsi quindi sistematicamente in posizione di debolezza contrattuale nei confronti della controparte, allora sì, c’è lavoro! Come pulitore (ma bisogna essere entusiasti, mi raccomando), cameriere e, in alcuni casi, pizzaiolo, qualora se ne abbiamo le capacità. Sono quelli che definisco amaramente gli ”italian tailored jobs”, i lavori su misura degli italiani. Inoltre se, come nel mio caso, cercherete un inserimento professionale vi verrà richiesto spesso: di parlare maltese, di aver già lavorato a Malta, di conoscere il sistema locale e alla fine sarete sempre in seconda posizione rispetto ad una persona del posto, magari meno qualificata di voi. Non aspettatevi alcuna mail di risposta ai vostri curriculum vitae (ma questo succede anche in Italia) e, ciò che è peggio, neppure dopo una formale convocazione, in cui voi sarete  sicuramente puntuali, loro invece spesso no.

È triste ammetterlo ma la comunicazione, soprattutto quella aziendale, è praticamente sconosciuta qui. Non soltanto. Educazione, rispetto delle altrui esigenze, gentilezza e tolleranza sono concetti altrettanto poco conosciuti in un’isola forse cresciuta troppo tardi, dove il divorzio è stato introdotto pochi anni fa e l’aborto rimane un reato. Posto cattolicissimo in cui, in onore dei tanti santi venerati, sarete assordati da giugno a settembre, dalle 8 alle 21, dai famosi “botti”, spesso con tantissimi feriti. Ma mi raccomando, guai a criticare tale usanza.

Vi ricorda l’Italia, 40 anni fa? Forse è anche peggio. C’è da chiedersi il perché di tutto questo. Provo a dare una mia personale spiegazione. La cultura maltese è stata durante i secoli permeata da almeno tre influenze: quella anglosassone, quella siciliana (non italiana, si badi bene) e quella araba. Ed è quest’ultima, a mio avviso, ad aver lasciato purtroppo un segno indelebile e tuttora predominante. Dal caos cittadino, alla continua tentazione di ingannare gli altri, compresi gli amici (meglio non averne, prima o poi ti chiederanno soldi), alla totale mancanza di visione strategica per il futuro (credono di stare a Montecarlo perché tutti posseggono almeno un’auto ed un’abitazione, magari con le blatte dentro), i maltesi sono arabi mediterranei che, l’Europa prima e l’euro dopo, hanno enormemente aiutato. Ma non durerà per sempre. I lavoratori stranieri che non arrivano a prendere 1000 euro al mese sono costretti a spenderne almeno 400 per una stanza o coattivamente obbligati alla condivisione della location. Prima o poi andranno via e lasceranno l’isola.

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E i maltesi non se ne preoccupano più di tanto convinti, come sono, di riuscire a trovarne altri disposti a pagare addirittura di più, mentre i nativi in case popolari pagano cifre irrisorie (tipo 15 euro il mese) scegliendo quella a loro più adatta e potendola poi cambiare in seguito. E l’isola si riempie di locali, anche commerciali, vuoti. Non si riesce a capire che è il mercato che predomina sulle singole intenzioni.

A chi dunque suggerire Malta? Senz’altro ai giovani che, spendendo poco, non si aspettano molto in cambio. E qui sfatiamo un altro mito: quello di imparare l’inglese spendendo poco. L’84% dei maltesi, infatti, parla con piacere la nostra lingua. Il posto è invaso da connazionali, soprattutto siciliani, e il grande rischio che molti corrono è pagare per parlare inglese ma finire poi a parlare italiano, in classe e fuori. Consiglio Malta anche a chi voglia di fare un’esperienza all’estero per poi rientrare, la vicinanza con l’Italia è comunque un elemento vantaggioso, per poi magari proporsi sul mercato del lavoro con un’esperienza in più. Infine a chi spinto dalla disperazione, è disposto anche a farsi sfruttare pur di lavorare. E agli altri? Propongo un’alternativa. Europea o extra.

Massimo Costanzi

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