Luca: mi divido fra l’Italia e i viaggi

A cura di Maricla Pannocchia

Originario della Toscana, Luca, 43 anni, passa alcuni mesi l’anno fuori dall’Italia, in Thailandia, in Indonesia e non solo, con la sua ragazza Laura. “Il grande cambiamento è avvenuto nel 2017” racconta, “Quando l’agenzia per cui lavoravo a Milano mi ha licenziato.

Sono copywriter da 18 anni,  freelance da 6. Prima lavoravo, appunto, per agenzie.”

Quell’episodio che, sul momento, è sembrato negativo, ha permesso a Luca di re-inventarsi. Si definisce “nomade digitale part-time”, perché trascorre 6 mesi l’anno in Italia e gli altri all’estero, principalmente in Thailandia e in Indonesia.

A Bali, dove Luca e la sua ragazza sono già stati, ha trovato la sua dimensione perfetta. “I balinesi sono molto gentili e vivono nella gratitudine” racconta Luca, “A noi piace alloggiare in dei co-living che ci permettano di conoscere altri nomadi digitali. Siamo creature ibride: né turisti né expats.”

Nel corso di queste esperienze, Luca ha stretto amicizia anche con diverse persone del posto e, condividendo la passione per il viaggio con Laura, sempre con l’entusiasmo la prenotazione del soggiorno in un altro luogo da chiamare “casa”, almeno per un po’.

“Il fatto che io lavori da remoto non è un problema per i miei clienti” racconta Luca, “In più, sfrutto il fuso orario a mio vantaggio. È difficile che qualcuno mi contatti dall’Italia prima delle sue 9-10 del mattino, quindi ne approfitto per godermi le mie mattinate in questa parte di mondo totalmente indisturbato.”

Luca Bartoli Bali

Ciao Luca, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao, sono Luca – Luca Bartoli, se vogliamo essere precisi – e ho appena compiuto 43 anni. Copywriter da 18 anni, freelance da 6 e nomade digitale (part-time) da 3. Nato e cresciuto nella provincia toscana, a 19 anni ho fatto il mio primo trasferimento con la scusa dell’università, andando a vivere a Reggio Emilia. Poi, a 25 anni, dopo un’estate a Londra, c’è stato il secondo cambiamento (con la scusa del lavoro). Mi sono trasferito a Milano per lavorare nel luccicante mondo delle agenzie pubblicitarie.

A 37 anni ho vissuto un nuovo cambio di vita: questa volta non si è trattato della città e, soprattutto, il cambiamento non è stato voluto. A dicembre 2017, l’agenzia per cui lavoravo mi ha licenziato. Lì per lì non mi è sembrato un bel regalo di fine anno, anzi, però da quel momento si sono aperte alcune interessanti possibilità. La prima è stata lavorare per clienti diretti, senza intermediazione e senza una struttura organizzativa intorno. La seconda è stata lavorare da casa e iniziare a farlo qualche anno prima della pandemia e dell’uso quotidiano del termine smart working. La terza (che è arrivata dopo tre anni) è stata poter spostare la mia casa-ufficio dove voglio. Ed eccomi qui a Bali, in bermuda e infradito, anziché essere a Milano in piumino e maglione.

Quando e perché hai lasciato l’Italia?

Non è che ho proprio lasciato l’Italia. Quando mi definisco un nomade digitale part-time è perché – da 3 anni a questa parte – passo metà dell’anno in Italia, principalmente a Milano, e l’altra metà in giro per il mondo.Solitamente mi organizzo così: primavera ed estate in Italia, autunno e inverno al sud. In pratica, “sverno al caldo”, per usare un’espressione che mi ha sempre affascinato. Anche se mi hanno fatto notare che il termine “svernare” fa più pensionato che nomade digitale.

Puoi parlarci meglio del tuo lavoro?

Come copywriter freelance aiuto aziende e professionisti a vendere di più, comunicando meglio. Rispetto al lavoro che ho svolto per tanti anni, per grandi aziende clienti dell’agenzia e per brand molto noti, limitandomi al mio “pezzettino” del processo creativo – ovvero l’ideazione delle campagne pubblicitarie e, in particolare, dei testi – oggi che i miei clienti sono imprese molto più piccole il mio campo d’azione è decisamente più largo.

Continuo a definirmi copywriter perché la mia impostazione è quella di partire dalle parole, dai messaggi, dalle affermazioni che vogliamo che restino nella mente dei nostri clienti. Inoltre, è ormai un termine noto, almeno tra gli addetti ai lavori e i potenziali clienti. “Consulente di comunicazione e marketing”, forse, sarebbe più appropriato, ma vedo che lo usano anche persone che hanno tutt’altra impostazione e preparazione. Nelle mie consulenze, oltre ai testi pubblicitari, oggi rientrano aspetti strategici come l’analisi della concorrenza e lo sviluppo del posizionamento di comunicazione, tematiche SEO come la ricerca delle opportunità online e l’ottimizzazione sui motori di ricerca, la stesura di testi di qualunque tipo dai siti web alle newsletter, oltre allo sviluppo e gestione di campagne Google Ads, LinkedIn Ads ecc. Sì, lo so. Sembrano cose molto differenti l’una dall’altra ma,se ci pensiamo, sono tutte accumunate da una cosa: la parola. E, soprattutto, è bene che siano tutte scritte dalla stessa mano.

Chi si rivolge a me e, in generale, a un copywriter freelance (e non a un’agenzia) sono PMI, start-up, ditte individuali e, talvolta, singoli professionisti italiani che cercano una persona, non un’organizzazione, che curi la loro comunicazione e con cui istaurare un rapporto diretto di fiducia. E la fiducia cresce quando di quella persona conosci il nome, il cognome, sai che faccia ha ed è la stessa a cui hai spiegato di cosa hai bisogno, evitando il classico gioco del telefono senza fili.

Sei, quindi, un nomade digitale, seppur part-time. Molte persone guardano ancora con scetticismo a chi lavora da remoto. Cosa ne pensi?

In realtà – da quando sono freelance – non ho mai percepito scetticismo da parte dei clienti. L’importante è che il lavoro sia all’altezza delle aspettative e consegnato per tempo. Nessuno ha mai voluto venire a casa mia a Milano (dove ho l’ufficio) a vedere cosa faccio mentre lavoro per lei o per lui. In effetti, sarebbe un po’ strano.

Scherzi a parte, come dicevo, si tratta di un rapporto di fiducia. Fiducia che si conquista man mano. Oltretutto, la fortuna di lavorare per clienti medio – piccoli e, spesso, poco strutturati a livello di ufficio marketing, è di lavorare per persone che non hanno tempo da perdere in riunioni inutili, call frequenti, zoom continue ecc. che da qui, per via del fuso orario, potrebbero essere complicate. L’imprenditore, il direttore generale o l’amministratore delegato di una PMI e il professionista hanno tante cose a cui pensare e, se tu sei una cosa in meno, ne sono solo felici. Anche il responsabile marketing Italia di una multinazionale che ha pochi collaboratori e ti chiede una campagna, vuole che le proposte siano nella sua e-mail un certo giorno entro una certa ora, non vuole perdere tempo tra brief, presentazioni, debrief e ri-presentazioni.

Diverso è quando collaboro con le agenzie. Da quanto ho appurato, solo poche sono organizzate per non perdere tempo e non farlo perdere a me. A un certo punto di complessità, nelle organizzazioni ci sono persone pagate per fare riunioni. Niente di personale, magari sono bravissime persone, ma per me sono il male assoluto.

Fatte queste precisazioni, per mia personale esperienza, quando lavori in autonomia a nessuno frega niente di dove lavori. Anzi, se sanno che sei in un “luogo felice” sono felici per te.

Ti viene facile avere un equilibrio fra lavoro e vita privata visto che, teoricamente, il lavoro è sempre con te (nel senso che puoi lavorare da ovunque)?

Lato lavoro, mi viene facile. Penso che a renderlo facile sia il fatto che adori il mio lavoro e non mi annoi mai. Facendo cose diverse tra loro devo continuamente “cambiarmi cappello” ed è il miglior antidoto contro la ripetitività e la noia.

Vivere a Bali – e, in generale, nel sud-est asiatico – per me è più semplice che stare in Italia. Le 7 ore di fuso orario sono un dono quotidiano. È davvero improbabile che qualcuno mi scriva o mi chiami, mi risponda a una mail o mi faccia una richiesta prima delle 9-9.30, ma anche 10 italiane. Qui sono le 16, 16.30 le 17.

Il che significa che ho tantissimo tempo per me, ogni giorno. Sono abituato a svegliarmi piuttosto presto quindi ho la possibilità di fare un sacco di cose prima di mettermi a lavorare. Avete in mente il motto “prima il dovere, poi il piacere”? Per me qui vale esattamente il contrario.

Com’è una tua giornata tipo?

Come accennavo, mi sveglio abbastanza presto, anche perché dormo con le tende aperte e la luce entra prepotente nella stanza. Caffè con moka rigorosamente italiana. Ricca colazione e poi alterno mattinate di palestra a mattinate di surf. Rientro, pranzo a casa, altro caffè e, se non ho commissioni o altri impegni, scendo nel coworking della struttura in cui vivo. Magari, mentre scendo mi perdo a chiacchierare con qualcuno dello staff, dipende chi è di turno quel giorno. L’anno scorso con alcuni di loro, settimana dopo settimana, siamo diventati amici. E quest’anno li ho ritrovati tutti. Tra l’altro, hanno fatto tutti carriera: l’anno scorso erano al front office mentre ora c’è chi si occupa del marketing, chi delle prenotazioni di tutte e quattro le sedi o chi è diventato caposquadra. Quando chiacchieriamo Dhiva, Indah e Putu mi raccontano un po’ del loro lavoro e delle loro vite e talvolta mi chiedono del mio lavoro, dell’Europa o di altri posti che visito. Un po’ come si fa alle macchinette del caffè in ufficio in Italia (con la differenza che loro bevono pochissimi caffè).

L’anno scorso qui c’era un discreto gruppo di ragazzi russi – molti di San Pietroburgo – che erano letteralmente scappati e lavoravano qui in remoto per evitare di andare a combattere una guerra che non condividevano. Con loro i discorsi erano talvolta più seri, altre volte decisamente più leggeri. Come quella volta in cui il mio compagno di scrivania Slava ha involontariamente “invaso” la mia parte del tavolo, permettendomi di dire una serie quasi infinita di battute sull’attitudine russa a invadere spazi non loro. Poverino, devono essere state settimane pesanti per lui.

Arrivato nel coworking, il lavoro mi prende praticamente tutto il pomeriggio. A volte, riesco a spezzare per fare una scappata al mare a vedere il tramonto sulla spiaggia. Dopo questo spettacolo, che a Bali è davvero mozzafiato, torno a casa e, se non ho impegni urgenti, ceno, poi torno nel coworking finché non ho finito le cose che avevo in programma di fare e, se non a notte fonda, magari esco a fare una passeggiata.

Alla fine, vado a dormire con il sorriso di chi è soddisfatto ed è entusiasta per la giornata che lo aspetta il giorno dopo.

Come ti organizzi prima di ogni partenza?

Le partenze si ripetono ormai da 3 anni e, ora come ora, non ho alcuna intenzione di smettere di partire-tornare – ripartire.

Con Laura, che oltre a essere la mia ragazza è la mia compagna di viaggi, pianifichiamo e programmiamo con molto anticipo le mete. In quella fase, siamo letteralmente due bambini al luna park con le tasche piene di gettoni. È la fase creativa, scandita da domande come “Cosa vogliamo vedere?”, “Cosa vogliamo fare?”, “C’è qualche posto dove vogliamo tornare?”, “C’è qualcuno che vogliamo re-incontrare?” miste a domande più realistiche come “C’è connessione da quelle parti?”, “È una meta sicura?”, “Com’è il costo della vita?”, “Quanto dura il visto? C’è possibilità di rinnovarlo in modo semplice?”, “Se andiamo lì in quella stagione com’è il meteo? E il mare? Ci sono onde? È possibile fare surf?”

Naturalmente te le faccio al plurale, come se fossimo una entità unica. Talvolta siamo d’accordo, vogliamo andare nello stesso posto – magari per motivazioni differenti – altre volte no. E, allora, parte il toto-mete in cui barattiamo letteralmente destinazioni e permanenze. È veramente divertente.

Definito il percorso e, a grosso modo, date e incastri, parte la ricerca degli alloggi. Anche qui ci muoviamo con largo anticipo e tendiamo, il più delle volte, a stare almeno un mese. Questo ci permette di godere di forti sconti sulle prenotazioni, sia utilizzando piattaforme come Airbnb sia rivolgendoci direttamente alle strutture.

Parallelamente iniziamo a studiare la questione voli, cercando di prenotare con largo anticipo quelli intercontinentali, mentre ci muoviamo sotto data per quelli Asia su Asia.

Passiamo così alla fase più complicata, che per assurdo è relativa all’Italia. Nei 6 mesi in cui non siamo a Milano mettiamo in affitto la casa in cui viviamo e, quindi, mi attivo con annunci per la ricerca degli inquilini, organizzo visite, seleziono le persone, richiedo documenti, redigo il contratto di affitto e lo faccio registrare dal property manager che ci supporta. Poi, nelle ultime settimane, prendiamo in affitto un magazzino e svuotiamo casa di tutti i nostri effetti personali per lasciare spazio agli inquilini. Trovo una sistemazione provvisoria per auto e scooter e poi via, finalmente, si parte!

Luca Bartoli Bali

Hai parlato di alloggi, quali sono i tuoi criteri di scelta?

La connessione a Internet è fondamentale perché, anche se sembriamo sempre in vacanza, in giro per il mondo ci lavoriamo. Altra cosa necessaria è la presenza di una cucina privata. Calcolate che in alcune zone non è così semplice trovarla, anzi.

Rispettati questi 2 criteri fondamentali, al primo posto per noi ci sono gli spazi che abbinano coliving e coworking, come quello in cui siamo adesso. Al secondo posto ci sono gli appartamenti nei condo: mega condomini, costituiti spesso da più edifici vicini, con zone in comune che offrono sicurezza e sorveglianza 24 ore su 24, la piscina sempre, quasi sempre la palestra e talvolta anche zone relax, sale cinema, spazi di coworking e locali lavatrici. Ah, una cosa che ho scoperto girando il mondo è che la lavatrice in casa è l’eccezione, non la regola.

Altri tipi di alloggio come la villa con piscina privata, i residence turistici o i cottage li abbiamo provati, ci abbiamo vissuto anche parecchio ma non ci hanno convinto.

Come hanno reagito famigliari, parenti, amici e conoscenti davanti alla tua scelta?

Il 99% delle persone ci ha manifestato la loro “sana invidia”, lo metto tra virgolette perché è proprio l’espressione che hanno utilizzato più spesso, e ce la fa sentire ogni volta che pubblichiamo una foto o un video, per me più su Facebook che su Instagram, per Laura il contrario. Ed è molto bello. Qualcuno sta anche organizzandosi per venirci a trovare.

La prima volta che siamo partiti – non eravamo in Asia ma a Città del Capo, in Sudafrica – colui che fino a quel momento era il classico “amico su Facebook”, ispirato da foto postate e racconti condivisi, decise di raggiungerci e fare un’esperienza analoga alla nostra. Ha vissuto per un mese nel nostro stesso coliving e ha frequentato la nostra scuola d’inglese. Siamo stati anche in classe insieme. Oggi Riccardo è uno dei miei migliori amici ed è anche un caro amico di Laura e, quando siamo in Italia, nonostante lui viva a Roma e noi a Milano, troviamo spesso scuse per rivederci. L’anno scorso in Asia ci ha tirato il pacco, quest’anno lo abbiamo re-invitato in una delle prossime mete. Vedremo se ci raggiungerà.

Naturalmente c’è anche l’1% che non solo non prova né sana né invidia, ma non condivide la tua scelta. Magari sono persone che hanno paura che andando via le trascurerai. Quelle sono le prime persone – quando torniamo – da vedere e a cui dire “Tutto quello che ho fatto io è ampiamente documentato sui social… tu, invece, che mi racconti? Novità?”

Luca Bartoli Bali

I social sono un modo per restare in contatto con l’Italia, ne hai altri?

Non guardo la tv italiana quando sono in giro per il mondo, se intendi questo, e non ho mai avuto così tanta nostalgia di casa da seguirmi un concertone di Capodanno, le partite della nazionale o il Festival di Sanremo, ecco.

Ascolto quotidianamente (e in modo quasi ossessivo) alcuni podcast per essere sempre aggiornato su ciò che succede in Italia a livello economico-finanziario, politico, culturale e sub-culturale. Sono tutti tre di Radio24:

Focus economia di Sebastiano Barisoni, utilissimo seguendo clienti che operano nei più svariati mercati, La variante Parenzo e, naturalmente, la Zanzara, la cui definizione che preferisco è “una colonscopia al Paese”.

Adesso sei a Bali e, a dicembre, tornerai in Thailandia, dove sei già stato l’anno scorso. Come mai hai scelto queste mete?

Beh, no… aspetta. C’è una significativa differenza. A Bali siamo nella stessa esatta località dell’anno scorso – Legian – e nello stesso spazio di corworking e coliving – Bali Bustle. Abbiamo scelto di tornarci perché è stata la location in cui siamo stati meglio in assoluto e in cui abbiamo stretto rapporti di amicizia. Inoltre, corrisponde perfettamente alle nostre esigenze.

Immaginate uno spazio di coworking aperto 24 ore su 24 con oltre 60 postazioni tra uffici privati, Zoom-room e open space che offre aria condizionata, the, caffè e acqua potabile illimitati (soprattutto l’ultima non è scontata a queste latitudini) e armadietti di sicurezza per computer e altri effetti personali. Sul retro c’è una piscina – in effetti, a Bali ho visto veramente pochi posti senza una piscina – accanto un bar-caffetteria, di fronte un parcheggio pieno di scooter noleggiati e sopra 5 piani di aparthotel con alloggi di diversi formati e dimensioni, ognuno con la sua cucina privata. Una struttura così è perfetta per chi ha il nostro stile di vita e, infatti, all’interno ci trovi tantissime persone che lo condividono. Colleghi di scrivania che in una pausa comune possono consigliarti una meta, raccontarti la loro esperienza in una determinata località o anche, semplicemente, con cui andare al cinema o a bere qualcosa sulla spiaggia di fronte a un tramonto. Questo è uno degli aspetti più interessanti, la dimensione umana: un nomade digitale non è un local che ha la sua rete di conoscenze tessuta negli anni e non è neppure un turista a cui non interessa allacciare rapporti in un posto in cui passa al massimo un paio di settimane e in cui probabilmente non tornerà più, salvo rare eccezioni. Quindi, avere una sistemazione che ti mette a contatto con persone che vivono come te crea le premesse e facilita amicizie, legami e la soddisfazione dei propri bisogni relazionali.

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Per quanto riguarda la Thailandia, invece, l’anno scorso siamo stati a Bangkok, a Chiang Mai e a Phuket. Quest’anno passeremo un paio di mesi a Koh Samui, che è da tutt’altra parte. Bisseremo giusto Bangkok per una settimana. L’anno scorso lì ne abbiamo passate solo 3 e c’è rimasta voglia di scoprirla e viverla ancora. Abbiamo un amico che vive stabilmente lì e che re-incontreremo e, combinazione, incroceremo anche delle amiche in vacanza dall’Italia che passeranno qualche giorno nella capitale prima di andarsi a “spiaggiare” su un’isola thailandese.

Prima, hai vissuto anche in altri Paesi. Quali? Puoi raccontarci sommariamente queste esperienze?

La mia prima esperienza da nomade, non digitale e neppure remote worker, è stata a Londra nell’estate del 2005. Avevo 25 anni, ero fresco fresco di laurea, ero lì per imparare meglio l’inglese e facevo il cameriere e il barista: praticamente “un cliché umano”, come mi ha fatto notare Riccardo. Quei 3 mesi mi hanno fatto sentire la City come se fosse un po’ anche casa mia.

E 3 mesi mi hanno fatto sentire a casa anche a Città del Capo, in Sudafrica. Lì, più della struttura in cui vivevamo, che comunque aveva aspetti comunitari, a fare la differenza è stato frequentare una scuola d’inglese con studenti di tutte le età e insegnanti piuttosto giovani che si facevano coinvolgere in uscite e serate e con cui talvolta abbiamo organizzato escursioni, trekking e anche gite enologiche. Con una di loro – Ash – faccio lezione settimanalmente: di solito il giovedì alle sue 7 di sera (l’una del mattino di venerdì qui a Bali).

Comunque, per non cambiare, l’anno scorso 3 mesi a Bali e 3 mesi in Thailandia. Quest’anno la prima meta (e l’ultima) è il Vietnam. Il mese prima di Bali lo abbiamo diviso tra Hanoi e Ho Chi Minh City, in cui ho re-incontrato un amico d’infanzia che vive e lavora lì da 15 anni. E l’ultimo mese, dopo la Thailandia e prima di tornare in Italia, lo passeremo a Da Nang, sul mare.

Luca Bartoli Bali

Parliamo di Bali. Come ti sei mosso per trovare un alloggio?

L’anno scorso ho prenotato tutto con Airbnb. Sia per il primo mese e mezzo a Ubud sia per le successive 6/7 settimane “genericamente in zona Kuta” (all’epoca non sapevo che Legian fosse the place to be). Con quella piattaforma abbiamo prenotato anche Jakarta, quando abbiamo scoperto che non potevamo fare i visti per la Thailandia da Bali. È stato interessante scoprire e vedere con i miei occhi che Bali non è l’Indonesia e l’Indonesia non è Bali.

Quest’anno per Legian abbiamo contattato direttamente la struttura mentre per Uluwatu, in cui abbiamo passato le prime due settimane appena arrivati, siamo ricorsi sempre ad Airbnb. Lì ricordo che è stato davvero complicato trovare una soluzione per le nostre esigenze.

Quali sono le zone da consigliare per vivere bene spendendo il giusto?

Direi che la spesa principale per un occidentale a Bali è la casa. Per quella basta guardare una qualsiasi piattaforma per accorgersi che la forchetta per un mese di affitto di una casa con cucina va dai 400 Euro (forse, anche meno) agli oltre 4.000.

Per quanto riguarda le zone, non è detto che la zona più turistica costi meno della meno battuta. Più turistica vuol dire anche più offerta e più concorrenza tra le strutture e gli host e non solo tra quelli. A Bali c’è grande varietà di prezzi su tutto: puoi andare in un warung, mangiare molto e bene spendere pochissimo, poi dopo mezz’ora o un’ora prendi un gelato e spendi più di quanto hai speso per l’intera cena. Il noleggio degli scooter e quelli delle tavole da surf sono molto economici. Qui a Legian andiamo sempre dal nostro amico Rasta (lo chiamano tutti così e anche su Instagram è @bali__rasta) che fin dalla prima volta ci chiede 50.000 rupie (meno di 3 Euro) a tavola e ci lascia surfare quanto vogliamo (calcolate che dopo un’ora e mezza, solitamente, siamo cotti).

E quali sono le zone per chi vuole vivere fra gli expats e per chi, invece, preferisce stare a contatto con la gente del posto?

Giusto l’altro giorno pranzavamo sulla spiaggia con Rasta e ci raccontava che lui vive a Legian a 5 minuti dal beach bar in cui lavora e che qui vivono sia molti balinesi sia molti indonesiani – lui è originario delle isole Komodo. Tra questi anche molti che lavorano a Seminyak, che invece è popolata solo da stranieri. Da quel che ho visto, più turisti che expat. Anche Dhiva, che vive da sola ed è vicina al mare, sta qui a Legian.

A Uluwatu, con il fatto che non ci sono ancora tantissime strutture turistiche, probabilmente c’è una maggioranza di local, anche se penso che non durerà a lungo. Tra gli stranieri che ho visto, non saprei dare una stima di quanti fossero expat e quanti turisti. Una volta, al supermercato, un ragazzo mi ha aiutato a macinare il caffè – mi ha spiegato che c’era una macchina apposta e si poteva fare tra le corsie – e chiacchierando è venuto fuori che era tedesco, viveva stabilmente lì ed era un appassionato di yoga. Un’altra volta, in un beach bar, abbiamo scambiato due parole con la coppia di fianco a noi ed era il loro ultimo giorno di vacanza. Se mi dovessi attenere a questo campione assolutamente non rappresentativo direi che il rapporto è 2 a 1 ma con un ampio margine di errore statistico, vi avviso.

Ubud, con tutto quello che offre, ha sicuramente una forte attrazione per i turisti e con la sua lentezza e i suoi ritmi (alle 22 è tutto spento) attira tanti expats che vogliono decisamente cambiare vita.

Quali sono i prezzi medi degli affitti?

Come ho detto, i prezzi variano tantissimo… è difficile fare una media. Nella struttura in cui siamo ora si va da poco più di 500 Euro al mese per un monolocale a qualcosa meno di 800 Euro mensili per un appartamentino con 2 camere da letto e salotto.

È importante considerare che non tutti cercano una sistemazione con cucina privata come facciamo noi. Mangiare fuori a Bali è così economico che conviene più di fare la spesa al supermercato. Se giri per corsie e scaffali incroci, soprattutto, non indonesiani. Quindi, i prezzi riflettono le possibilità di expats e turisti e non il costo della vita locale. Invece, nei warung trovi locals che mangiano molto spesso fuori e, se proprio devono fare la spesa, vanno ai morning markets. Almeno così ho letto e così mi ha detto Laura, che una mattina si è svegliata prestissimo e c’è andata. Io, confesso, sono rimasto a dormire.

Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita?

Bali è praticamente un pezzo di paradiso e il potere d’acquisto di un occidentale qui è davvero notevole, anche se vivi da turista, soprattutto, se sei abituato ai prezzi di Milano.

Puoi dirci i prezzi di beni e servizi di uso comune (es. cibo, benzina)?

La benzina costa meno della metà che in Italia, quasi un terzo. Gli scooter a noleggio vanno da 3 ai 9 Euro al giorno, a seconda della potenza e del modello. Un ottimo nasi goreng (piatto di riso con verdure e uova) – servito in un warung – può costare da meno di 1 Euro a massimo 3 Euro. Un’ora di massaggio in un centro costa dai 6 ai 10 Euro. Lavaggio e stiraggio biancheria calcolate dai 35 centesimi a 1 Euro e mezzo al chilo. Un mese di palestra figa, con attrezzature moderne, acqua potabile illimitata e fornitura di asciugamani sia per allenarsi sia per farsi la doccia costa meno di 35 Euro, mentre in una palestra più alla buona il mensile costa meno di 12 Euro. Anche tatuarsi dovrebbe essere molto economico, vedo molti occidentali che si fanno tatuare e so che gli indonesiani sono considerati ottimi tatuatori. Io qui non ho mai fatto un tatuaggio e, quando passo davanti a un tattoo shop e mi chiedono se ne voglio fare uno, rispondo che mia madre non vuole. Non bevo spesso alcolici, mi pare che i cocktail costino un po’ di più – comunque decisamente meno che in Italia – mentre la birra sia quasi regalata.

Paradossalmente, il caffè espresso al bar costa quasi sempre più di 1-1,20 Euro a cui siamo abituati in Italia. Se a qualcuno, leggendo finora questa intervista, è venuta voglia di venire da queste parti, spero non cambi idea per questo.

Come funziona, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare a Bali?

Su questo non si scherza. Il visto (turistico) all’arrivo dura 30 giorni ed è rinnovabile massimo per altri 30 giorni – andando 3 volte in autonomia a Denpasar oppure una volta sola, se ti rivolgi a un’agenzia visti – quindi 30 + 30 = 60 giorni al massimo. L’anno scorso eravamo qui 3 mesi, quindi, come fanno in molti, dopo due mesi ci siamo fatti un weekend fuori dall’Indonesia – per l’esattezza a Singapore – per poi rientrare e far ripartire i 30 giorni.

Fila tutto, giusto? E, invece, no. Perché 2 mesi non sono necessariamente 60 giorni, soprattutto se di mezzo c’è ottobre che di giorni ne ha 31. Risultato? Quando eravamo all’aeroporto al controllo documenti in uscita ci hanno preso i passaporti e obbligati a pagare una multa da 1 milione di rupie (sì, lo so, sono 60 Euro ma fa più scena così) e ho detto 1 milione di rupie… a testa!

In quanto nomade digitale, qual è la procedura burocratica che è necessario fare?

Restando massimo 2 o 3 mesi, il visto turistico per noi va benissimo. Basta fare il conto giusto dei giorni. Se qualcuno vuole restare più a lungo, so che anche l’Indonesia ha attivato visti speciali per nomadi digitali. Per A.I.R.E. ecc. non so nulla perché ho residenza fiscale in Italia, dove pago le tasse.

Credi che sia conveniente, per un italiano, lavorare come dipendente a Bali?

Credo che da straniero sia molto più conveniente lavorare in remoto per aziende europee, statunitensi o australiane. Inoltre, come abbiamo visto in molti altri Paesi che abbiamo visitato, la precedenza, nella maggior parte dei lavori, ce l’hanno i locals. Gli stranieri possono fare solo lavori per cui non c’è manodopera locale disponibile, il che vuol dire essere super specializzati in un determinato campo. Penso che, comunque, sia molto complicato sia per l’azienda che assume sia per il lavoratore straniero.

A ogni modo, prendete con le pinze quello che dico su questo argomento, sono cose che ho letto qua e là o che mi hanno raccontato altri stranieri, ma non saprei neppure dire cosa è relativo al Sudafrica, cosa alla Thailandia e cosa all’Indonesia. Non mi sono mai informato seriamente, perché non ho mai preso in considerazione l’idea di lavorare come dipendente a Bali o in qualsiasi altro Paese in cui ho vissuto da nomade digitale.

Che consigli daresti a chi è in cerca di lavoro?

L’unico consiglio è “abbandona l’idea di lavorare da dipendente a Bali”: 1) perché ruberesti il lavoro a un balinese o a un indonesiano a cui può cambiare la vita più che a te, 2) perché è complicatissimo a livello burocratico e 3) perché a conti fatti temo non credo ne valga la pena. Piuttosto, cerca un lavoro che puoi fare da remoto per un’azienda europea – magari italiana – statunitense o australiana.

Come sei stato accolto dalla gente del posto?

L’accoglienza dei balinesi è rinomata in tutto il mondo. Qualcuno pensa si tratti dell’aver fatto di necessità virtù e visto l’afflusso dei turisti essere diventati gentili, sorridenti e accoglienti. In realtà, chi pensa questo confonde la causa con l’effetto. I balinesi non sono accoglienti perché sono pieni di turisti ma,esattamente il contrario, Bali è piena di turisti perché i balinesi sono, forse, il popolo più accogliente del mondo con i Bule, termine indonesiano che indica gli stranieri e che ha un’accezione assolutamente neutra.

Questa cosa mi ha incuriosito e ne ho parlato di fronte a un caffè l’anno scorso con Putu, che viene da una famiglia tradizionale balinese, quindi, è preparatissimo sulla questione. È un aspetto radicato nella cultura dell’isola: alla base dell’induismo balinese c’è il concetto di gratitudine. Secondo questa religione, uomini e Dei sono su dimensioni diverse e l’Uomo non può comunicare con gli Dei. Qui, per capirci, non si accendono ceri alla Madonna per chiedere di passare l’esame o vincere alla schedina. L’unica cosa che possono fare gli uomini nei confronti degli Dei è ringraziarli. Da qui i cestini di carta di riso con offerte di fiori che vedi spesso fuori dai negozi e da qui l’enorme senso di gratitudine che i balinesi provano per tutto: dal vulcano che non erutta al turista che arriva e spende soldi nelle attività locali, soprattutto dopo che il Covid-19 ha mandato in crisi più di un’attività, fino all’expat che decide di trasferirsi per qualche anno o per tutta la vita. E questa è la killer app di Bali: la sua accoglienza, la gentilezza delle persone, i loro sorrisi.

Una delle cose che mi ha più colpito quando sono arrivato l’anno scorso sono stati i tassisti di Ubud. Basta girare per le strade per sentirsi chiedere decine di volte, se non centinaia “Taxi?”, “Taxi, mister?”, “Taxi, madam?”. Naturalmente, il più delle volte il taxi non ti serve o hai già preso uno scooter a noleggio. Al “No” dello straniero è il tassista che, per allentare la tensione generata dal rifiuto, replica sorridente “Maybe tomorrow”, a quel punto sorridi e ripeti “Maybe tomorrow”. Esiste un modo migliore e più gentile di gestire un rifiuto lasciando all’altro una onorevole via di fuga?

Attenzione a non generalizzare questo aspetto dei balinesi con tutta l’Indonesia, sempre calcolando che la famosissima Bali occupa meno di 1/300 dell’intero Paese ed è l’unica con la maggior parte della popolazione induista. Esperienza personalissima: basta andare a Lombok e provare a trattare il prezzo della corsa con un tassista (a Bali si tratta sempre e, praticamente, su tutto) per rendersene conto.

Ci sono mai stati momenti di sconforto, in cui hai pensato seriamente di tornare in Italia o di cambiare Paese?

Decisamente no. Anzi, il contrario. Avendo già prenotato la meta successiva, so che la mia permanenza in un posto ha comunque una data di scadenza e cerco di godermela sapendo che, quando me ne andrò, un po’ mi mancherà. Certo, non è tutto sempre rose e fiori. Il giorno di Natale, che a Bali – nonostante gli sforzi dei locals di far sentire a casa gli occidentali – è sentito davvero poco, l’anno scorso pioveva. Ecco, non lo citerei tra i migliori giorni di Natale vissuti.

Sempre tornando all’anno scorso, ricordo l’ultimo mese. Ero a Phuket e, tutto sommato, dopo 5 mesi in Asia, ero felice all’idea di ritornare in Italia, ma senza fretta. Phuket è comunque un altro angolo di paradiso.

Quali sono le differenze e i punti in comune fra lo stile di vita balinese e quello thailandese?

Purtroppo, per come ho vissuto la Thailandia, non sono riuscito a entrare nello stile di vita della gente del posto. Anche per questo motivo quest’anno starò 2 mesi nella stessa isola. Alloggerò in una struttura analoga a quella in cui sono adesso, anche se più piccola. Online si presenta come “un villaggio residenza per nomadi digitali e lavoratori da remoto”.

A chi consiglieresti di trasferirsi a Bali e a chi in Thailandia?

Le consiglio entrambe a tutti. Sono perfettamente sinergiche: a Bali la bella stagione è da aprile a novembre, che corrisponde grossomodo alla stagione delle piogge in Thailandia. Molte zone della Thailandia – essendo un Paese molto vasto, non si può generalizzare – sono consigliate da dicembre a marzo. L’incastro perfetto!

Usi i social media per raccontare le tue esperienze? Perché?

Sì. Lo faccio più che altro per, parafrasando uno dei primi slogan di Facebook, restare in contatto con le persone della mia vita.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Sicuramente, visto com’è andata, mi farei licenziare prima.

Cos’hai imparato, per ora, da queste esperienze?

È una domanda impegnativa e me la fai dopo ore che parliamo?! Allora, cosa ho imparato?

Sicuramente ho imparato che, a essere nati dalla parte fortunata del mondo con un passaporto che ci permette di muoverci praticamente ovunque, siamo dei privilegiati. Punto.

Poi ho imparato che la vera eccellenza italiana che tutto il mondo ci invidia o ci dovrebbe invidiare non è la pizza, non è la pasta, non è la moda ma sono la raccolta differenziata e la gestione dei rifiuti. E te ne accorgi solo quando vedi come altri popoli (non) gestiscono la cosa.

Ultimo, ma proprio ultimo. Al limite della banalità: che tutto il mondo è paese. Ad esempio, la predilezione dei commercianti per il contante. Qui a Bali, ma anche in Vietnam o in Thailandia, non sono rari i cartelli “cash only” e l’extra-charge, che può davvero essere significativo, se decidi di pagare con la carta. Altro che pos scarico e rotolo di carta finito.

Progetti futuri?

Onestamente, al momento, non potrei chiedere di più dalla vita.

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