Lavorare in viaggio, viaggiare lavorando

Di Enza Petruzziello

Si spostano di volta in volta in un posto diverso, scegliendo solo al momento dove andare, quanto stare, cosa fare e come investire il loro tempo e denaro.

Loro sono Valentina e Claudio, rispettivamente classe 1984 e ’87. Originari di Novara, dove sono nati e cresciuti, decidono di cambiare vita nel 2013. Quello che cercano è “il lavoro nel viaggio”, una sorta di compromesso che permetta di visitare un luogo cercando di ricavarne anche uno stipendio o almeno spendere il meno possibile.

Lavorano, insomma, per vivere queste esperienze a modo loro, con tanti imprevisti e rallentamenti che li aiutano nella gestione del viaggio e lo rendono più particolare e vivo. Non sono viaggiatori mordi e fuggi. Al contrario viaggiano piuttosto lentamente, molto lentamente, conoscendo ogni singolo angolo dei Paesi che visitano, anche quelli meno attraenti sempre alla ricerca di cosa valga la pena vedere e cosa no.

In questi anni svolgono i lavori più disparati, vivono in 5 Paesi diversi e visitano in totale 13 Paesi, più qualche pezzo di Europa. Al momento si trovano in Islanda per 3 mesi a prendersi cura di tre cottage e coccolare un cane.

«Tutti vengono in Islanda spendendo cifre da capogiro il più delle volte – raccontano -, noi invece ce ne andremo con dei soldi in tasca e un bagaglio di emozioni ed esperienze ancora più grande. Stiamo imparando a vivere al buio, qui dove siamo noi il sole non lo vediamo mai, c’è la luce! Ma dura troppo poco. E tutte queste e altre cose le puoi imparare solo vivendo un po’ così, come facciamo noi, all’avventura».

Lavorare in viaggio è possibile: Valentina e Claudio ci sono riusciti

Claudio, Valentina di che cosa vi occupavate in Italia?

«Claudio dopo aver finito la scuola ha svolto per 7 anni svariati lavori, tra cui il postino, il magazziniere, il mulettista, montatore di mobili e per ultimo il letturista, un lavoro che lo portava a passare otto ore della sua giornata a leggere contatori dell’acqua e del gas. Valentina dopo svariati lavori e un’università triennale ha iniziato a lavorare in uno studio grafico con un contratto da stagista non retribuito per 6 mesi».

Perché avete sentito l’esigenza di mollare tutto e mettervi in viaggio?

«Per Claudio fare il letturista di contatori è stato istruttivo. È stata la molla, la leva, lo starter. Si tratta, infatti, di un lavoro avvilente, utile a nessuno e che potrebbe fare chiunque. Si gira con questo palmare in mano per le città e per i paesi da soli, tutto il giorno per 8 ore.

Ha lavorato così per 2 anni scambiando le ore più produttive della sua giornata per un misero stipendio e trovandosi ad avere una vita monotona e piatta, riempita solo da vizi e serate con gli amici. Per Valentina è stata più o meno la stessa cosa, la routine di un lavoro che alla fine dei conti non portava a nulla. La visione di un futuro incerto, senza troppi slanci, con poche emozioni.

A un certo punto ci incontriamo per caso a casa di un amico. Ci conoscevamo a malapena e ai tempi non parlavamo molto. Valentina inizia a raccontare di voler partire, prendere un aereo e iniziare una nuova vita da qualche altra parte.

Ci siamo trovati nel posto giusto e al momento giusto. Eravamo praticamente d’accordo su tutto e l’idea ci emozionava un sacco, quindi ci siamo scambiati i numeri di telefono con l’idea di parlarne ancora al più presto».

E così parlando vi siete innamorati e siete partiti. Qual è stata la vostra prima destinazione?

«L’Australia, dove siamo rimasti per due anni. Il primo anno abbiamo vissuto in un van, cambiando spesso lavoro e girando il Paese in lungo e in largo.

Il secondo anno è stato più sedentario, avevamo una bella macchina, una casa che ci piaceva vicino al mare e un lavoro ben pagato e soddisfacente in una farm di avocado e abbiamo anche pensato che quella potesse essere la nostra vita.

Il periodo vissuto in quella casa lavorando alla farm è stato davvero felice e lo ricordiamo sempre con grande gioia. Forse per la prima volta nella vita stavamo davvero bene e sentivamo di aver davanti a noi infinite possibilità. I due anni australiani sono stati anche anni di grandi viaggi durante i quali abbiamo girato il Sud Est Asiatico, angolo di mondo del quale ci siamo innamorati al primo sguardo

Durante questo tempo abbiamo stretto forti amicizie e incontrato tantissime persone diverse da quelle che incontravamo nella nostra città. Gente più o meno libera da schemi mentali o perlomeno con schemi mentali diversi che ci hanno ispirato e fatto vedere le cose da altre prospettive.

Al fine di questi due anni è rimasto questo, il cambio di prospettiva. La cosa più importante di tutte è stata proprio il vedere le cose da un’altra angolazione».

Vivere viaggiando. Il sogno di molti, ma come riuscite a sostenervi economicamente?

«Di base non abbiamo mai davvero avuto l’idea di vivere viaggiando, e per questo non abbiamo un’attività che possiamo svolgere ovunque ci troviamo.

Le cose sono un po’ venute da sé anche perché ci siamo dati la libertà di poter accettare ogni opportunità ovunque essa fosse. In ogni caso durante i due anni australiani abbiamo lavorato tanto e molto ben retribuiti, uscendone con un bel gruzzoletto che ci ha permesso di viaggiare un anno senza fretta per il Sud Est Asiatico. Finiti quei soldi abbiamo sempre cercato di spostarci in funzione di dove trovavamo opportunità di lavoro interessanti, sfruttando sia conoscenze sviluppate negli anni di viaggio sia piattaforme online».

Come riuscite a trovare lavoro in viaggio?

«Cerchiamo il lavoro nel viaggio perché ci piace vivere le realtà locali e lavorando è molto più facile creare connessioni con la gente.

Inoltre economicamente lavorare in un Paese ci permette di ottenere poi i soldi necessari a visitarlo, anche perché abbiamo un modo di intendere il viaggio piuttosto strano. Ci piace muoverci a passo lento, quasi esasperante. Anche per questo pur essendo in giro da anni abbiamo visto relativamente pochi Paesi. Negli anni i lavori li abbiamo trovati in svariati modi, in Australia e in Nuova Zelanda siamo andati senza nessun aggancio e li abbiamo trovati sul posto.

In Slovacchia abbiamo gestito un ostello e il lavoro lo abbiamo trovato su Facebook, altre volte abbiamo sfruttato le conoscenze sviluppate negli anni di viaggio. Utilizziamo anche piattaforme online di scambio che ci permettono quantomeno di avere vitto e alloggio gratuito in cambio di qualche ora di lavoro. Questo ci consente di poter stare comunque sempre a contatto con la gente locale e di abbattere di molto i costi di permanenza.

Quella che utilizziamo di più è indubbiamente Workaway, con cui ci troviamo benissimo. In forma minore utilizziamo anche Helpix e poi c’è tutto il mondo dei gruppi su Facebook sui quali si offrono e cercano lavori e ricerchiamo anche su Google».

In che modo organizzate i vostri spostamenti e in base a cosa decidete quanto rimanere in un posto?

«Il nostro modo di spostarci è molto “casuale”, specialmente se siamo in viaggio. Noi non prenotiamo mai il volo di ritorno, facciamo sempre solo l’andata e tendenzialmente non abbiamo mai un itinerario troppo dettagliato perché ci facciamo trascinare dagli eventi anche quando non dovremmo. L’unica volta che abbiamo avuto in mano un biglietto di rientro è stato il volo Jakarta – Perth che avrebbe dovuto riportarci in Australia dopo una delle nostre prime capatine in Sud Est Asiatico.

Il giorno della partenza, per tutta una serie di motivi, anziché essere a Jakarta ci siamo trovati a Bali e abbiamo perso il volo. Quello è stato l’ultimo biglietto di rientro che abbiamo prenotato. Decidiamo quanto rimanere in un posto in base al lavoro e alle opportunità che troviamo, lasciando sempre molto spazio all’improvvisazione».

Siete in viaggio dal 2013. Avete visitato 13 Paesi e vissuto in 5. Parlateci di queste esperienze.

«Bella domanda. Non è per niente facile parlare dei 5 anni più intensi della nostra vita. Cercheremo di riassumere.

Dopo i primi due anni in Australia, passando per le Fiji, andiamo in Nuova Zelanda, dove lavoriamo in un Lodge. In questi anni ci autofinanziamo anche grazie al lavoro da dreadlockmaker che svolge Valentina.

Dopodiché decidiamo di stabilirci in Asia, visitando così diversi Paesi e decidendo di trasferirci  a vivere  in Tailandia. Rimaniamo due mesi a Pai, un villaggio del nord e per altri 4 mesi su una piccola isola che si chiama Ko Phayam e si trova appena sotto il Myanmar. Poi ritorniamo in Italia. Era un po’ di tempo che Vale parlava della casa costruita da suo nonno sui monti, tra Lago Maggiore e Lago d’Orta, e della sua voglia di risistemarla e andarci a vivere. Così trascorriamo l’estate in questa bella casa, sistemandola e trasformandola in un B&B. Ricarichiamo le batterie, riordiniamo le idee e ripartiamo. Passiamo l’inverno tra Thailandia, Cambogia e Vietnam, innamorandoci perdutamente del nord di questo Paese straordinario. Durante i mesi di viaggio non lavoriamo, ma viaggiamo senza troppe pretese e quasi sempre fuori dai circuiti turistici spendendo meno di 400 euro al mese a testa. In questo periodo troviamo un annuncio su Facebook. Cercavano qualcuno per gestire un ostello a Nitra in Slovacchia. Ci siamo proposti e a fine agosto eravamo già là, in questo paese abitato da gente timida e chiusa ma anche brava e semplice. Dopo la Slovacchia è stata la volta del Canada, 6 mesi. Il primo mese a lavorare in un b&b e gli altri 5 in una farm di mele. Ed eccoci alla fine del racconto, il ritorno a casa, un giro in Lituania, e l’Islanda dove siamo ora».

VIAGGIARE LAVORANDO

Qual è il Paese che vi ha colpito di più e perché?

«Ogni Paese ha quel suo fascino particolare e ognuno ci ha colpito positivamente e in maniera diversa. In ogni caso, come abbiamo già detto, fin dalla prima volta nel Sud Est Asiatico è stato amore a prima vista. Un mix di odori forti, paesaggi pazzeschi, spiagge bellissime, cibo a ogni angolo e un popolo misterioso che ti sembra di non riuscire mai a capire del tutto».

Come è stata l’accoglienza nei vari posti che avete visitato?

«In generale non abbiamo mai avuto problemi e possiamo dire di essere sempre stati accolti bene, anche se in modi differenti. Gli australiani e anche i loro cugini neozelandesi sono alla mano, sorridenti e abituati all’immigrazione. I fijiani ti salutano tutti come se ti conoscessero e sono sempre sorridenti. L’Asia ha due facce: quella turistica, dove vieni accolto molto bene solo perché associato ad una banconota e tutti hanno sempre un secondo fine, e poi la faccia non turistica che trovi solo se sali su un motorino e vai fuori dalle zone più famose incontrando comunità poverissime ma straordinariamente generose. Poi in generale siamo fermamente convinti che l’accoglienza dipenda sempre da come ti poni tu quando arrivi nei posti».

Dal punto di vista burocratico come vi organizzate?

«Ci sono Paesi dove è necessario chiedere il visto prima di entrare tramite i siti dei rispettivi governi come Australia, Canada e Nuova Zelanda. Tutti e tre questi paesi hanno dei visti speciali per le persone al di sotto dei 30 anni (35 anni il Canada) chiamati Working Holiday Visa che danno la possibilità di visitare, ma anche di lavorare all’interno del paese e sono quelli che abbiamo richiesto noi. Altri stati invece richiedono solo il possesso di un valido passaporto. Per quanto riguarda le lunghe permanenze in Asia, dove solitamente il visto standard è di 30 giorni, allo scadere del tempo concesso noi usciamo dal paese per poi rientrare dopo poche ore. È un metodo molto diffuso. Dalla Tailandia, ad esempio, ci sono viaggi organizzati (Visa run) appositamente a questo scopo con bus e barche che vanno verso Birmania, Laos o Cambogia, si sta un paio di ore all’interno di questi paesi e poi si rientra in Thailandia con altri 30 giorni di visto».

Adesso siete in Islanda e ci rimarrete per 3 mesi a prendersi cura di tre cottage e coccolare un cane, Volpino della Pomerania. Come si vive qui?

«Ci troviamo precisamente a Seydisfjordur, un paesino di neanche 700 anime affacciato su un bellissimo fiordo nell’Est dell’Islanda. La vita qui, specialmente nei mesi invernali, è fortemente condizionata dal clima e dalla poca luce. Dove ci troviamo noi il sole non arriva mai da novembre a febbraio, questo non significa che fa sempre buio ma comunque la luce è poca e presente per circa 5 ore al giorno. A parte il clima difficile qui si vive bene. L’Islanda è praticamente priva di criminalità, ci si dimentica di chiudere le porte di casa e della macchina e la polizia non gira nemmeno armata. A dirla tutta a Seydisfjordur la polizia non c’è neanche! L’unico problema dell’Islanda è il costo della vita, decisamente alto».

Curate anche un blog “Small Shed” che significa piccolo capanno. Che cosa raccontate sul sito?

«Small Shed è appunto la nostra casa, un luogo dove possiamo immagazzinare tutti i nostri ricordi, raccontare delle nostre esperienze e del nostro modo di vivere e di intendere il viaggio. Ci rivolgiamo a chiunque si trova a fare un qualcosa che non lo soddisfa e che vuole cambiare ma non ha il coraggio di farlo, e a tutte quelle persone che non si ritrovano nel modo di vivere che la società odierna in un certo senso impone. Ci piace condividere i nostri pensieri e le nostre idee e quando queste sono di ispirazione o di aiuto a qualcuno ne siamo orgogliosi e onorati».

Come è cambiata la vostra vita da quando siete in viaggio?

«Quello che davvero ha fatto la differenza non è stato il viaggiare, ma l’abbandonarsi alla vita lasciando aperte tutte le porte e facendoci trovare sempre pronti a prendere qualsiasi occasione al volo. Il problema era che vivevamo attaccati ad alcune cose ritenendole indispensabili, sicurezze alle quale credevamo di non poter rinunciare e che ci generavano ansie e paure. Lo stipendio che entra sicuro a fine mese, la macchina, una casa dove poter tornare la sera, amici su cui poter contare. Tutte cose che però ti legano e ti tengono fermo. Più cose avevamo più avevamo paura di perderle. E poi ci sono le ansie e le grandi insicurezze che la società per come è impostata ci butta addosso fin da piccoli e che si erano trasformate in un grande senso di inadeguatezza. Lasciando tutto ed abbandonandoci al flusso della vita ci siamo resi conto che le cose arrivano. Pian piano le occasioni capitano perché con solo uno zaino sulle spalle siamo liberi di andare dove l’istinto ci porta, liberi di partire da un giorno all’altro e liberi di accettare un lavoro a 4mila km da noi se capita l’occasione. Quando ci siamo trovati senza niente e nessuno che ci potesse aiutare, lontano da casa, abbiamo conosciuto un lato nuovo di noi stessi. Come se scattasse una sorta di istinto di sopravvivenza, le paure e i timori si fanno da parte, il cervello ragiona più velocemente e la soluzione arriva in fretta perché tutte le forze sono incanalate nella sua ricerca. In generale la mattina ci svegliamo felici senza quell’ansia e quell’insoddisfazione che ci ha accompagnato durante gli anni di lavoro a casa».

Vi manca l’Italia e ci tornereste a vivere stabilmente?

«No, non ci manca particolarmente l’Italia e al momento non sentiamo il bisogno di tornarci stabilmente. A essere sinceri non sentiamo il bisogno di stare stabilmente in nessun posto. Ci troviamo bene in questa dimensione di viaggio lento e costante».

Le vostre prossime destinazioni?

«Siamo da poco arrivati in Islanda e ci staremo per un po’. Nel frattempo stiamo pianificando le prossime mosse e sicuramente faremo una tappa alle Isole Faroe per poi volare o in Centro America o in Russia. Ma comunque se qualcuno leggendo questo articolo volesse offrirci qualche opportunità lavorativa siamo ben propensi a valutarla».

Per contattare Valentina e Claudio questa la loro mail: smallshedblog@gmail.com.

L’indirizzo del loro blog www.smallshed.it, la loro pagina Facebook: https://www.facebook.com/smallshed e l’account Instagram: https://www.instagram.com/SmallShed/.

Da poco hanno anche aperto un canale YouTube:

https://www.youtube.com/channel/UC-Ryyj4K29YP05UC78OObQg/featured?view_as=subscriber.