Laura Dal Farra
A cura di Maricla Pannocchia
Giovane e intraprendente, Laura ha cominciato a trascorrere dei periodi all’estero nel 2016, dapprima con il programma Erasmus durante gli anni dell’università, e poi partecipando a vari scambi di studio, ricerca e tirocini post laurea. La donna, quindi, ha vissuto in Austria, in Australia (dove si trova tuttora) e in Messico. Nonostante questi Paesi siano differenti l’uno dell’altro, Laura ne ha trovato anche dei punti in comune. Il suo preferito è il Messico, perché “aperto le porte a nuove prospettive e ciò mi ha permesso di apprezzare l’importanza dell’interculturalità nella comprensione delle opere letterarie.”
Laura sta per finire il suo periodo in Australia, in seguito al quale rientrerà in Europa. “Non è stata una scelta facile”, racconta la donna, “ma per me alcuni aspetti, come gli affetti, sono più importanti dei soldi e della crescita professionale.” A chi sogna di partire, Laura suggerisce di fare la valigia e buttarsi (sempre con un minimo di organizzazione e cognizione di causa), “sono partita pensando che sarei rimasta in Australia qualche mese, invece è passato quasi un anno. Viaggiare ti apre la mente e ti fa anche apprezzare di più il Paese da cui vieni. Inoltre, ti permette di osservarlo in maniera più critica, in un modo praticamente impossibile da fare per chi non lo lascia mai.”
Ciao Laura, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…
Ciao, mi chiamo Laura e principalmente sono un’insegnante, anche se ho lavorato molto nell’ambito della promozione culturale e della mediazione linguistica. Ho 30 anni e vengo da Belluno, una cittadina nel Nord del Veneto. In Italia mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Università e ho fatto un master nell’insegnamento dell’italiano per stranieri.
Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?
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Ho iniziato a viaggiare e a trascorrere dei periodi all’estero nel 2016, andando in Austria con il programma Erasmus mentre frequentavo l’università di lingue straniere a Udine. Da lì, non mi sono più fermata e, facilitata dal curriculum universitario che avevo scelto, ho potuto avere a disposizione varie opportunità di scambi di studio, ricerca e tirocini post laurea all’estero, con conseguenti borse di studio. Alla magistrale, poi, ho deciso di focalizzare il mio curriculum sullo studio delle letterature comparate e postcoloniali, aggiungendo all’inglese e al tedesco lo studio dello spagnolo, che mi ha aperto le porte a destinazioni extra-europee, tra cui il Messico.
Ho vissuto, quindi, in Austria, a intermittenza, per quasi due anni, prima con un Erasmus, poi sono stata a Vienna per un tirocinio all’istituto di Cultura italiana, poi c’è stato un tirocinio post laurea al dipartimento culturale dell’ambasciata del Messico e, infine, ho lavorato per quasi un anno come assistente linguistico di italiano in due scuole pubbliche di Vienna. In mezzo a queste esperienze, ho fatto una ricerca di tesi a Città del Messico e, nell’agosto del 2022, sono giunta, finalmente, anche in Australia, Paese in cui desideravo fare un’esperienza da parecchi anni. Dovevo partire nel 2020, ma poi il Covid ha bloccato tutto e l’Australia è stata chiusa per quasi due anni ed io, nel frattempo, ho fatto altre esperienze e avevo poi raggiunto anche una certa stabilità in Italia. Infatti, insegnavo in due scuole, una Udine e una a Trieste, e, nonostante la fatica di farlo in due città diverse, il lavoro mi appagava e piaceva molto, soprattutto nel rapporto con gli studenti.
Avevo superato lo scritto di un concorso per la scuola, ma, dopo averlo passato, invece di esserne contenta, non mi sentivo pienamente appagata. Mentre studiavo non ero soddisfatta, lo facevo controvoglia, e allora ho deciso d’intraprendere questa esperienza, che avevo rimandato a lungo e che rappresentava un grande rimorso per me e, pian piano, ho mollato lo studio, non mi sono più interessata.
Anche se lasciare la mia vita in Italia e mettermi in gioco non è stato facile, ho compreso che la vita è troppo breve per vivere con rimpianti e questo, per me, lo sarebbe stato. Devo dire che in questo mi ha spinto molto una parte della mia famiglia. Di solito, il posto fisso è ciò che una famiglia desidera di più per i propri figli. Ecco, la mia è un po’ controcorrente. Sapevano quanto fosse importante per me l’insegnamento, ma volevano che mi distaccassi dall’idea, molto “italiana”, che tu possa farlo bene solo se hai un posto fisso. Per loro, forse con una mentalità più pragmatica e imprenditoriale della mia, rappresentava un freno per la mia crescita umana a un’età così giovane e, col senno di poi, non posso che essere contenta del loro supporto. Probabilmente in questo escono le mie radici “venete”, una regione che può avere tanti difetti, ma di certo non in ambito d’impresa o d’intraprendenza.
Adesso vivi in Australia ma hai vissuto anche in Austria e in Messico. Come mai hai scelto questi tre Paesi?
A volte dico che sono stati più questi a scegliere me, piuttosto che il contrario. In realtà, è accaduto tutto in modo naturale, ma, se dovessi trovare un punto in comune tra questi Paesi, sarebbe sicuramente nella loro storia linguistica e culturale. L’Austria e il Messico sono stati per secoli il centro nevralgico rispettivamente della cultura Mitteleuropea e Mesoamericana, con passati di dominazione e di sottomissione coloniale complessi e che hanno dato vita a eredità linguistiche e culturali davvero interessanti. L’Australia, tra tutti i Paesi di dominio coloniale britannico, è quello con la storia più complessa e contraddittoria, ancora in cerca di una certa identità nazionale che non è stata per nulla definita. Il Messico è arrivato quasi come un fulmine a ciel sereno. Credo che il punto d’incontro di tutto siano stati i miei studi della magistrale, quando ho deciso di focalizzare la mia tesi suDavid Herbert Lawrence, autore inglese i cui testi esploravano tematiche legate alle dinamiche del potere, alle influenze coloniali e alle relazioni interculturali. Aveva vissuto e scritto libri sul Messico, l’Italia, l’Austria e l’Australia. A quel tempo, ero intenzionata ad analizzare i suoi scritti australiani e a chiedere una borsa di studio per l’Australia, ma, dopo averli letti tutti e, su consiglio della mia docente, decidemmo per il Messico. Si profilava, inoltre, l’opportunità di fare una ricerca di tesi sperimentale. in pochi giorni ho redatto un progetto di tesi, fatto domanda per una borsa di studio, l’ho vinta e così sono partita per Città del Messico.
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Nonostante la mia lingua principale di studio non fosse lo spagnolo- di solito è molto difficile studiare bene una terza lingua in un curriculum di letterature straniere perché il tempo per le altre due lingue e rispettive letterature ti assorbe completamente- la passione per la letteratura e la determinazione a immergermi nella cultura messicana mi hanno guidato e alla fine parlavo l’inglese solo all’università, fuori mi sono immersa nella lingua spagnola e sono tornata parlando una terza lingua.
Ha aperto le porte a nuove prospettive e ciò mi ha permesso di apprezzare l’importanza dell’interculturalità nella comprensione delle opere letterarie.
Di cosa ti occupi al momento?
In Australia sono head coordinator (coordinatrice principale) e responsabile amministrativa e di programmazione culturale della Dante Alighieri Society di Melbourne. Si tratta forse della Società di promozione culturale italiana, al di fuori dell’Italia, più antica al mondo. Venne fondata dai primi emigranti italiani in Australia nel 1897, e, ancora oggi, si occupa di promuovere la cultura e la lingua italiana nello stato del Victoria, attraverso eventi, programmi didattici con le scuole e l’Università di Melbourne, bandi di concorso, e creando punti d’incontro tra la cultura e letteratura italiana e quella australiana. Tuttavia, a differenza di altre associazioni governative quali il Consolato, il Coasit, e l’Istituto di Cultura italiana con i quali collabora, è totalmente indipendente e non è finanziata dal nostro Ministero, quindi è tutto in mano a un comitato, un board molto simile a quelli aziendali.
La comunità d’italiani in Australia è molto viva e con una storia molto particolare, decisamente distinta da quelle di altri Paesi in cui i nostri connazionali sono emigrati nel corso della Storia. La maggior parte degli italiani, emigrati qui più di 20 o 60 anni fa o discendenti dalle famiglie italiane emigrate nel corso del 900, non conosce la nostra lingua standard, solo il dialetto dei loro nonni e le varietà dell’inglese australiano più suburbane, per quanto abbiano studiato e alcuni anche frequentato l’università.
Questo per me è stato un ottimo laboratorio e allenamento linguistico, mi sono immersa completamente nell’inglese australiano. Dopo quasi un anno che risiedo qui, anche il mio italiano ormai ne è influenzato e ho perso totalmente l’inglese di cadenza universitaria. Il mio accento ormai è totalmente australiano, anche se le altre lingue che conosco chiaramente lo influenzano. A meno che tu non frequenti solo gli ambienti universitari, il British English o quello scolastico qui serve a poco, anzi, se lo parli, molto spesso ti guardano male perché sembra tu voglia dare l’impressione di appartenere alle classi sociali più snob. Per me è molto significativo, perché vuol dire che mi sono appropriata della cultura linguistica di un Paese e questo è sempre stato uno dei lasciti che ho cercato di ricevere e valorizzare delle mie esperienze all’estero. Avendo viaggiato e imparato poi altre lingue, nel mio italiano c’è un po’ di tutte queste. Quando insegno italiano o inglese, sono molto rigida e parlo quello scolastico, ma nella vita quotidiana è totalmente ibrido, come quello dei miei colleghi e insegnati a lavoro, e, se molti lo considerano un difetto, io invece lo considero un grande pregio.
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Tornando al tema “lavoro”, oltre a questo, nei ritagli di tempo, insegno inglese e italiano, e ho da poco terminato un contratto di lavoro con il Consolato italiano in cui mi occupavo di mediazione e comunicazione interculturale gestendo le pratiche di cittadinanza e le corrispondenze con i consolati o enti governativi in tutto il mondo, soprattutto Spagna, Latino America, Germania, Austria e, allo stesso tempo, con i comuni in Italia. È stato un allenamento linguistico e mentale straordinario che, oltretutto, mi ha praticamente insegnato molto su tutte le leggi e i requisiti relativi a visti, cittadinanze, ecc.
Hai detto che hai un rapporto simbiotico con il Messico, puoi parlarcene meglio?
Sì, il rapporto che ho con questo Paese è molto speciale e si avvicina tanto a quello che ho con l’Italia. Il Messico è un Paese che mi ha dato tanto, umanamente e professionalmente. Il Messico, e in generale tutta l’America Latina, ti cambia nel modo in cui vedi il mondo, ma è soprattutto l’anima calda e accogliente del popolo messicano che cambia profondamente chiunque vi entri in contatto. La loro generosità, l’arte del vivere il presente e la gioia di condividere momenti con gli altri t’insegnano l’importanza di apprezzare le piccole cose della vita e a vivere in modo autentico. Il Messico ti cambia nel modo in cui affronti le sfide, ti apre al nuovo, ti arricchisce con esperienze uniche e ti fa scoprire parti di te stesso che forse non sapevi di avere. Io lì ho imparato una nuova lingua, fatto un’esperienza che mi ha aperto le porte di altre, tra cui il lavoro al dipartimento culturale dell’Ambasciata del Messico a Vienna, e per me, passare di lì, è stato un passo fondamentale nella mia vita.
Se mi fossi focalizzata subito sull’insegnamento in Italia e non avessi fatto queste esperienze, probabilmente non mi avrebbero assunta qui in Australia dove lavoro ora. Il mio CV ha assunto valore per queste esperienze, che hanno fatto la differenza tra me e altri candidati. Devo molto a quel Paese e gli sono molto legata. Inoltre, ho conosciuto persone fantastiche sia lì, sia mentre lavoravo a Vienna all’ambasciata. I messicani hanno un calore che nessun altro popolo ha e una profonda umanità. L’America Latina mi dato un modo completamente diverso di vedere le cose, e sicuramente ha modificato molto il mio punto di vista che, prima di quell’esperienza, era totalmente eurocentrico. C’è una frase che secondo me rispecchia molto quel paese “Il Messico è un Paese delle meraviglie e delle tenebre. È come un tesoro chiuso in una cassa di piombo. È uno splendore che trattiene il respiro e lascia le parole senza voce.” È molto difficile da spiegare a parole, si può solo viverlo.
Dove vivevi lì e di cosa ti occupavi?
Vivevo a Cuernavaca, la chiamano “la città dell’eterna primavera” perché le sue temperature non scendono mai sotto i 16 gradi e il clima è molto mite. Essa è una cittadina a un’ora di distanza da Città Del Messico. In realtà, poi, quasi ogni settimana trascorrevo dei giorni nella capitale perché la ricerca di tesi la svolgevo all’UNAM.
Quali sono, secondo te, i pro e i contro del vivere in Messico?
I pro sono tanti. Il primo è certamente quello di vivere a contatto con un macrocosmo di culture, tradizioni e lingue ancestrali uniche al mondo. L’anima indigena e antica dell’America Latina è respirabile in ogni angolo del Paese e, nonostante il dominio coloniale del passato, ha resistito ed è ancora viva. Anzi, quello che è strabiliante dell’America Latina è come le sue radici precolombiane si siano fuse con la cultura europea in forme di sincretismo culturali uniche al mondo. Inoltre, l’incredibile varietà di paesaggi: passi dalle spiagge paradisiache dello Yucatan– che si affaccia sulla seconda barriera corallina più grande del mondo, dopo quella australiana- alle montagne imponenti della Sierra Madre, che offrono un’esperienza di connessione con la natura e una profonda consapevolezza della bellezza del nostro pianeta. Un altro vantaggio è l’incredibile umanità e la semplicità. I messicani sono un popolo straordinario, caloroso e accogliente. Per ultimo, ma non meno importante, il cibo. C’è una varietà culinaria incredibile ed è composta da piatti le cui ricette sono antichissime, molto simile alle tradizioni culinarie che abbiamo in Italia e che ti fa sentire molto meno la mancanza del cibo di casa.
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Purtroppo, l’altra faccia della medaglia è molto pesante. È un Paese con grandi problemi sociali legati alla criminalità organizzata, il narcotraffico e, soprattutto, i femminicidi, lasciti di quel retaggio e di quella espropriazione territoriale del colonialismo e, ora, dell’imperialismo economico americano. Quando vivevo lì, era impensabile poter rientrare da sola dopo le 21, prendere la metropolitana o i mezzi pubblici in certi orari o avventurarmi da sola in determinate zone della città. Tranne che nella capitale o in poche altre città, non c’è un vero e proprio sistema pubblico organizzato dalle autorità locali, ma mezzi privati dove paghi il biglietto quando sali, un po’ come gli autobus urbani, ma gestiti e guidati da locali e molto spesso criminali che sequestrano e derubano. La regola era usare sempre, dopo le 21, l’Uber che, oltre a essere economico, in Messico, è su una piattaforma tracciata e, quindi, sicuro. Di certo, i problemi legati alla sicurezza sono forse la parte a cui un europeo fa più fatica ad abituarsi.
È stato difficile, poi, passare dallo stile di vita messicano a quello austriaco?
È stato soprattutto uno shock termico. Ero rientrata dal Messico in Europa a gennaio e, per quanto Città del Messico possa anch’essa diventare fredda d’inverno, non lo è mai come l’Europa. Per la questione “sicurezza” ero ovviamente più sollevata, anche troppo. Ricordo che, quando prendevo il treno notturno per viaggiare da Treviso a Venezia, non prenotavo nemmeno la cabina, dormivo sui sedili e lasciavo la borsa con il pc aperto, proprio perché, in confronto al Messico, mi sembrava di essere molto al sicuro.
Vienna è bellissima ma è anche molto tranquilla e, di certo, senti la differenza dopo aver vissuto in una metropoli di 20 milioni di abitanti, in cui la gente parla sempre ad alta voce, canta e balla per strada. Ecco, dopo un po’ la vitalità della street life messicana viene a mancare, ma Vienna è splendida per molte altre cose e credo che sia la città in cui ho avuto il tasso di qualità della vita più alto. Il giusto equilibrio tra natura, cultura e servizi al cittadino.
Dove vivevi in Austria e di cosa ti occupavi?
In Austria sono stata 4 volte: nel 2016 con l’Erasmus a Klagenfurt, nel 2018 con un tirocinio all’Istituto di Cultura Italiana di Vienna, poi nel 2019 in un tirocinio post laurea al dipartimento culturale all’ambasciata del Messico a Vienna e poi per quasi un anno dal 2020 al 2021, durante il quale ho lavorato come assistente linguistico di italiano in due scuole pubbliche a Vienna, un liceo e un istituto professionale.
Cosa ti è rimasto impresso, in negativo e in positivo, dell’Austria?
In positivo direi un’educazione civica eccezionale, oltre che un rispetto per il prossimo che in Italia, a mio parere, manca molto. È vero che, se non rispetti le regole, in Austria le multe sono salatissime, ma è anche vero che i controlli non sono così ferrati come dicono e la gente questo grande senso civico lo interiorizza fin dai primi anni di vita e non solo perché altrimenti prenderebbe una multa costosa. La maggior parte degli austriaci investe molto nell’educazione civica a scuola (si spendono anche più di 8 ore a settimana), oltre che per la cura dell’ambiente e per i progetti comunitari. A Vienna quasi nessuno usa la macchina e si investe molto nel trasporto pubblico e nei sussidi all’acquisto di macchine elettriche o di soluzioni ecosostenibili per la casa. Poi, chiaro, nemmeno loro sono immuni agli errori e non è vero che sono perfetti, anzi. Quando ci sono le partite di calcio, anche Vienna diventa un caos, lo posso assicurare.
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Poi, come in Australia, altro aspetto positivo: la flessibilità sociale e nel mondo del lavoro. Anche in Austria, il posto fisso non è una concezione molto comune e nel mondo della scuola ci sono molta meritocrazia, innovazione e tecnologica. Si viene assunti tramite curriculum dal ministero dell’istruzione che, oltre allo studio, valuta molto le tue abilità in altri ambiti. Le cosiddette life skills (intraprendenza, imprenditoria, marketing, ecc.) in Austria sono molto importanti e le scuole collaborano attivamente con gli organi comunali e comunitari delle città.
In negativo: l’eccessiva rigidità e tranquillità, forse, ma io devo dire che sono stata fortunata perché i miei colleghi a scuola o gli austriaci che ho conosciuto, che sento ancora oggi, sono persone molto aperte, disponibili e ospitali, per nulla fredde. Certo, magari non hanno l’esuberanza dei latinoamericani, ma quella è una questione anche ambientale, secondo me. Il clima rigido austriaco ti porta a essere un po’ così. Quando ci sono 10 gradi sotto lo zero, non hai molta voglia di parlare o essere esuberante.
Il periodo più bello che ho vissuto in Austria è stato quando ho lavorato per l’Ambasciata del Messico a Vienna, dal marzo fino ad agosto, in piena estate. Lavoravo con messicani trapiantati in Austria ed era l’equilibrio perfetto. Ho ricordi bellissimi di quel periodo, parlavo ogni giorno spagnolo e tedesco, mai italiano, al massimo inglese qualche volta.
Sei arrivata, poi, in Australia. Dove abiti precisamente?
A Melbourne, nello stato del Victoria. Città dalle 4 stagioni in un giorno, e lo è davvero. Qui puoi passare dai 45 gradi ai 12 gradi nel giro di poche ore. La chiamano la città europea d’Australia perché, in confronto con le altre città australiane, ha un’architettura che ricorda molto le principali città europee. Non a caso, la maggior parte dei quartieri storici è stata costruita da italiani e greci.
Come ti sei mossa, anche dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?
Prima di tutto, cosa più importante, farsi un’assicurazione sanitaria. I primi sei 6 mesi sei coperto da quella pubblica australiana, la MEDICARE, ma se viaggi e ti capita qualcosa non sei coperto nelle spese di trasporto o ulteriori spese mediche, soprattutto se non sei cittadino australiano o permanent resident.
Il visto è la parte poi più problematica da scegliere, ma ci sono varie opzioni che dipendono molto da quello che vuoi fare in Australia e da quanti anni hai. Io ho fatto il classico Work&Holiday visa, che ti dà la possibilità di lavorare in qualsiasi ambito e senza limiti di ore settimanali. È un visto annuale, che si può richiedere una sola volta nella vita e prima dei 36 anni, ma che si può rinnovare per altri due anni se lavori 88 giorni nelle località rurali. Io non avevo intenzione di farlo, poiché le opportunità lavorative in città mi sono arrivate subito ed erano molto buone per una mia crescita professionale, ma se fossi venuta in Australia qualche anno fa o fresca di laurea l’avrei fatto sicuramente per l’esperienza di stare tutti i giorni a contatto con una natura selvaggia e assaporare il vero spirito australiano, lavorando in luoghi diversi ogni settimana (se non si temono gli animali selvatici!). Io appena posso, nel weekend, vado sempre nel bush o sulla costa o nell’outback. Non c’è paragone. È un’esperienza che consiglio di fare soprattutto ai ragazzi che finiscono le superiori o si sono appena laureati. Il visto W&H si ottiene facilmente sul sito del governo australiano. Io l’ho ottenuto in pochissimo tempo, poiché ad aprile 2022 i confini avevano appena ri-aperto e non c’erano molte domande. Tuttavia, bisogna stare molto attenti a quello che si dichiara e ad avere tutto in ordine, anche dal punto di vista sanitario, vaccini inclusi. Oltre a ciò, occorre anche avere un importo minimo sul conto corrente da dichiarare all’ente governativo australiano prima della partenza, che possa provare che tu riesca a pagarti un volo di ritorno, per qualsiasi emergenza. La cifra di solito si aggira attorno ai 5000/7000 dollari. Se tutto questo viene considerato in regola, dopo aver effettuato il pagamento (circa 500 dollari), il visto ti arriva per mail nel giro di poco tempo e non serve nemmeno stamparlo perché rientri nel database del governo australiano.
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Quali sono, secondo te, gli aspetti positivi e quali quelli negativi del vivere in Australia?
Sicuramente, l’offerta di lavoro e la grande flessibilità ed elasticità sociale. Il bello dell’Australia è che i vari datori di lavoro ti permettono di avere più lavori contemporaneamente e organizzare l’orario in modo molto flessibile. La mattina lavoravo al consolato, il pomeriggio alla Dante Alighieri Society e due o tre volte la settimana insegnavo. Nei fine settimana mi dedicavo a ciò che più mi piace, dal viaggiare al leggere o altro, senza nessuna interferenza lavorativa.
In realtà, io, inizialmente, ero venuta in Australia solo per stare qualche mese e fare un viaggio nel centro del Paese. Appena arrivata in Australia, volevo guadagnare subito e, nonostante non avessi avuto nessuna esperienza prima, ho fatto una prova in un ristorante di lusso a Melbourne, giusto per guadagnare qualcosa, e mi hanno presa subito. Guadagnavo bene nel fine settimana e, sapendo bene l’inglese, mi misero subito a occuparmi degli eventi privati che organizzavano. Sono arrivata ad agosto dell’anno scorso, una settimana dopo lavoravo già, tre settimane dopo ho trovato lavoro a scuola e dopo due mesi ero responsabile amministrative e coordinatrice culturale per un’associazione culturale.
Nelle scuole poi funziona così, molto simile agli altri luoghi di lavoro. Ci sono scuole pubbliche e private, ma entrambe hanno questo sistema. C’è la prima fase in cui esaminano il tuo cv e ti chiedono di completare un modulo in cui ci sono varie domande e quesiti su come affrontare diverse situazioni di gruppo classe, la “classroom management”, in cui tu rispondi e devi spiegare come le affronteresti, specificando metodi, tecnologie, ecc. Passata questa fase, c’è il colloquio, e poi l’ultima sezione in cui ti osservano in alcune lezioni di prova in classe, solitamente per un periodo di due settimane, e capiscono se assumerti o no. Per insegnare nelle scuole pubbliche devi avere una specializzazione governativa apposita, ma puoi comunque fare la supplente o insegnare a pieno titolo in quelle private. Io ho sempre trovato in regime privato e non ho avuto particolare difficoltà. Poi, le opportunità di lavorare in ambienti diplomatici e culturali sono arrivate e, a parità di stipendio e di crescita, non c’era paragone e ho deciso di focalizzarmi sull’altro ambito, anche se comunque ho ancora due gruppi classe per una scuola. Tuttavia, poter fare lavori così diversi allo stesso tempo in Italia sarebbe stato abbastanza difficile ed è uno degli aspetti più belli di questo paese. Lo smartworking, inoltre, ti permette di scegliere di lavorare in modo più flessibile e organizzarti il tempo più facilmente. Nelle scuole, come anche in Austria, è molto usato l’apprendimento ibrido da remoto, proprio per concedere agli studenti più tempo per dedicarsi ad altre attività e molte lezioni si tengono online.
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Ora, ho lasciato alcuni lavori e gli ultimi mesi qui in Australia li dedico solo alla Dante Alighieri Society e a godermi l’ultimo periodo viaggiando.
Fra questi tre Paesi, quale pensi che dia le migliori possibilità di crescere dal punto di vista professionale, o anche solo di trovare buone opportunità di lavoro?
Direi, l’Austria e l’Australia. Essi sono luoghi ideali per crescere professionalmente e acquisire delle abilità che in Italia molto difficilmente apprenderesti, oltre che per imparare ad avere una concezione del benessere psicofisico totalmente diversa. Sono Paesi in cui, generalmente, l’equilibrio tra lavoro e vita personale è fortemente incoraggiato. Si valorizzano il tempo libero e la ricerca di passioni al di fuori del lavoro, incoraggiando attività all’aperto, la connessione con la natura e la pratica di hobby e interessi personali, anche nel mondo della scuola. In Italia si passa più tempo a parlare e lamentarsi dei rischi della tecnologia, invece di esplorarne le potenzialità, soprattutto in ambito didattico e lavorativo, e non si ascoltano i bisogni primari dei ragazzi e di un mondo che, necessariamente, sta evolvendo. In Austria e in Australia si lavora molto in Smart Working e lo si faceva anche prima della pandemia. Nella scuola dove insegnavo in Austria, anche dopo la fine dell’emergenza, molte ore continuavano ad essere tenute online per esplorare nuove tecniche didattiche e permettere ai ragazzi di gestire meglio il tempo libero. Stessa cosa qui. Questo non significa sostituire la didattica e il rapporto umano, semplicemente implementarlo con qualcosa di diverso, che ha comunque molti lati positivi. Consiglio, dopo le superiori, di fare più esperienze all’estero possibili, anche al di fuori dei bandi scolastici o delle università italiane. È fondamentale da un punto di vista umano e mentale e avere una giusta misura delle cose, non solo il punto di vista che la società italiana impone e che è finalizzato soprattutto al mantenimento delle classi sociali così come sono, di uno status quo immobile. C’è un immobilismo mentale e sociale di fondo in Italia che non permette, purtroppo, un rinnovamento.
E quale consiglieresti a chi, invece, magari già in pensione, vuole riconnettersi con la natura, con sé stesso e con il mondo?
L’Italia. A parte gli scherzi, se si riesce ad avere un buon lavoro l’Italia ha una qualità della vita eccezionale che non è paragonabile a nessun altro Paese, e un sistema sanitario gratuito. Dove trovi un altro luogo in cui puoi viaggiare per 100 km e avere una diversità culturale, linguistica e paesaggistica come in Italia? Da nessuna parte. E lo posso dire dopo aver viaggiato e vissuto in altri Paesi che sono, nelle loro caratteristiche, altrettanto straordinari. Il problema però è tutto il resto: governo, lavoro, un’istruzione totalmente antiquata e molto gerarchica, elitaria, poche prospettive di crescita per i giovani che ne fanno un Paese ideale, appunto, per i pensionati o perchi ha una situazione economica stabile.
In alternativa, suggerisco l’isola di Cozumel, in Messico, e Philip Island, in Australia, i luoghi migliori dove passare gli anni della pensione, a mio parere.
Quali luoghi consiglieresti di visitare in Messico?
El D.F., ovvero il Distrito Federal con Città del Messico, Oaxaca (Patrimonio Unesco) e l’isola di Cozumel che si trova sulla Mesoamerican Barrier Reef, la seconda barriera corallina più grande al mondo, dopo quell’australiana. Consiglio di andare in Messico durante il periodo antecedente los dias de los muertos, diventato patrimonio immateriale dell’umanità nel 2008, ovvero durante tutto il mese di ottobre. In quel periodo, il Paese si straforma e sembra di essere trasportati indietro nel tempo, in un’epoca antica con rituali e forme di devozione antichissime, che ancora oggi sono preservate dalle comunità messicane. Io in quei giorni ero stata a Tepoztlan, un piccolo pueblo magico rurale antichissimo, dove queste tradizioni millenarie sono ancora più tutelate. I messicani, in quei giorni, aprono le porte delle loro case, ti accolgono con cibo e fiori, e la tipica bevanda “l’atole” e vieni completamente immerso nei loro riti di celebrazione dei loro cari defunti in un tripudio di canti, poesie e balli. Esperienza unica nella vita.
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Come ti sei mossa, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?
Avendo vinto una borsa di studio ed essendoci un accordo bilaterale tra la mia università e quelle messicane, il nostro era un visto di studio. Si fa tutto tramite il consolato messicano in Italia o tramite l’ambasciata italiana a Città del Messico.
E in Austria, invece, cosa bisogna fare per potervi vivere e lavorare in quanto italiani?
Facendo parte dell’Unione Europea, lavorare e stabilirsi in Austria è molto più facile. Una volta che hai il contratto di lavoro, basta rivolgersi alla municipalità della città di riferimento austriaca e compilare dei documenti che provano la tua residenza fiscale in Austria. È tutto molto semplice e automatico e, se si sa bene il tedesco, riesci a sbrigare le pratiche molto più facilmente e in tempi rapidi. Il passo fondamentale è trovare lavoro, e, una volta in cui lo hai, il resto è in discesa. Con il lavoro, poi, hai accesso alla sanità pubblica. Io, quando ho fatto l’assistente linguistico in Austria, avevo ricevuto un regolare contratto da dipendente del sistema austriaco d’istruzione e l’assicurazione sanitaria mi copriva anche delle prestazioni dal dentista, che di solito in Italia sono private.
Come sei stata accolta dalle persone dei vari Paesi?
Devo dire che, in tutti i Paesi, sono sempre stata accolta molto bene, anche se stringere rapporti molto profondi con gli australiani non è facile come con gli europei e i latinoamericani. Gli australiani non sono portati ad avere una profondità di dialogo come la nostra. Per noi il dialogo è fondamentale, per loro no, quindi di sicuro non c’è da aspettarsi di uscire e fare lunghe chiacchierate parlando del più o del meno. Di certo, però, sanno come fare festa e divertirsi. Anche troppo! La cultura dell’alcool qui in Australia è un problema sociale difficile da sradicare. Se mi chiedessero quale dei tre preferisco, direi il Messico, forse perché è stato speciale per vari motivi, mi ha fatto molto crescere e incontrare persone straordinarie. La calorosità dei messicani non ha paragoni.
Che cos’hai imparato, per ora, vivendo così spesso all’estero?
Viaggiare aiuta molto a ridimensionarti, e ridimensionare tutto il resto. Preoccupazioni, ansie, modi di pensare, una volta in viaggio, si ridimensionano e riesci a vedere le cose con più distacco e obiettività, soprattutto in relazione al Paese che lasci. In Italia, abbiamo l’abitudine di sentirci arrivati e totalmente soddisfatti solo se riusciamo ad arrivare a soddisfare determinati standard e aspettative sociali. Vivere all’estero, invece, ti aiuta a ridimensionare il tutto e a vedere più lucidamente tutto questo, ad apprezzare aspetti positivi del Paese che hai lasciato e, allo stesso tempo, a vederne i limiti e a interiorizzare quello che i nuovi luoghi in cui vivi possono darti di positivo. Il posto fisso, ad esempio, per la maggior parte all’estero è visto in modo negativo e pochi lo desiderano poiché credono che limiti le tue capacità di crescita professionale e anche ai colloqui di lavoro non è molto apprezzato. Qui in Australia, ma anche in altri Paesi, le persone lasciano il proprio lavoro anche a 45 anni e ne iniziano un altro, anche per semplice curiosità. Ecco, la flessibilità e fluidità del mondo del lavoro all’estero ti insegna ad essere molto più flessibile e multitasking anche mentalmente, sapendo affrontare meglio le varie sfide sia del quotidiano sia della vita lavorativa.
Progetti futuri?
Tornerò in Europa ed è stata una decisione non facile, poiché l’opportunità di lavoro che ho avuto qui so già che in Italia o in Europa non ci saranno. Mi è stata offerta una sponsorizzazione qui in Australia, il che significava scegliere di vivere qui in modo definitivo o, comunque, trattandosi di un investimento che il tuo datore di lavoro fa per te e tu anche (nelle sponsorizzazioni non paga tutto il tuo datore di lavoro e una percentuale la devi aggiungere tu) e richiede che tu rimanga qui per molti anni, almeno fino a quando non ottieni la residenza permanente o la cittadinanza australiana. La componente affettiva è più importante per me, non sono mai stata una persona che mette al primo posto i soldi o la carriera e, per quanto l’Australia sia bellissima, è anche molto lontana da tutto ciò che è europeo e anche dai miei affetti. Poi, io sono tremendamente europea, soprattutto latina e, per quanto ami la natura australiana, so che qui mi sentirei completamente appagata solo negli angoli remoti del Paese, dove la cultura e la storia sono più vive. Ciò però non mi permetterebbe di continuare a lavorare in certi ambiti. Determinati ambienti lavorativi si concentrano nelle grandi città, nelle zone rurali ci sono solo quelli di tipo agricolo o di ristorazione.
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L’equilibrio tra natura, storia e cultura in Australia, purtroppo, non c’è. O hai la natura selvaggia con la sua cultura aborigena nei luoghi più rurali del Paese o hai la città australiana, completamente ex novo, con una brutta copia della cultura inglese importata. C’è un muro tra le città e l’eredità indigena di questo Paese, non è come in Messico o in America Latina in generale, dove ovunque c’è stata una simbiosi tra l’antichità di quelle terre e la cultura europea importata dagli spagnoli. Il patrimonio storico e culturale di questo Paese è relegato ai luoghi più remoti, c’è un’omertà nelle istituzioni governative australiane dilagante e il percorso di riconoscimento e valorizzazione dei territori espropriati alle comunità indigene australiane è ancora molto lungo. E, per quanto io ami anche solo vivere di natura, so che ho bisogno anche di questo equilibrio culturale che qui, purtroppo, non trovi. Per un europeo, che poi ha vissuto in America Latina, è doppiamente difficile, perché questo contrasto lo avverti ancora di più. Noi in Italia, cresciamo e molto spesso diamo per scontato tutto ciò che ci circonda, ogni angolo, piazza, edificio trasuda di patrimoni storici e culturali secolari. Non sappiamo poi valorizzarli né prendercene la giusta cura, ma questo c’è. Quando vivi in un paese come l’Australia, ti rendi conto di quanto tutto questo abbia plasmato il tuo modo di essere. Certamente, comprendo chi rimane perché, per me stessa, vedendo le condizioni e le opportunità lavorative qui, non è stato facile dire di no, però la componente culturale e storica è importante tanto, e forse più, di quella lavorativa. Sicuramente, anche se dovessi tornare in Italia, viaggiare rimarrà una componente fondamentale per il mio futuro. Spesso, chi va via viene denigrato o considerato un po’ un outsider, anche un po’ ingrato nei confronti del proprio Paese di partenza o uno che si è arreso facilmente, perché si pensa che voglia sempre raccontarne solo le criticità. In realtà, io credo proprio l’incontrario. Viaggiare ti porta ad amare ancora di più il tuo Paese d’origine, ma anche a maturarne una critica consapevole, cogliendone sfumature e debolezze che chi ci vive tutta la vita, senza mai andarsene, magari non coglierebbe. Goethe diceva che, “Chi non sa le lingue straniere non sa niente della propria”. E ne sono fermamente convinta. Viaggiare e parlare più lingue offre un grande privilegio: quello di vedere le cose da prospettive differenti, senza mai un’omologazione totalizzante a certi modelli, insegna ad avere equilibrio e a ridimensionare concezioni preesistenti che molto spesso limitano o oscurano orizzonti ricchi di opportunità e di crescita. Almeno per me è stato così. E se un anno fa non ci avessi provato, me ne sarei pentita amaramente. Ero partita pensando di rimanere solo qualche mese e ormai è passato quasi un anno, ed è stata davvero un’avventura incredibile.
Di certo, quello che mi porto dietro del’Australia è l’immenso senso di libertà
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