Il suo è un approccio al tema molto pragmatico e lucido, per nulla velleitario. Lo stesso spirito che lo ha portato a dare vita al progetto Goodbye Mamma: progetto articolato e composito fatto di un sito, di un blog e presto, di un libro. Giulio ci tiene sempre a ricordare come tutto ciò sia stato reso possibile dalla collaborazione con un’equipe di circa venti persone, dalle più svariate parti del mondo e dalle esperienze più differenti. Espatriare non può essere una decisione presa alla leggera né tanto meno una fuga da problemi e insoddisfazioni. Occorre un progetto e tanta determinazione, costanza, caparbietà e flessibilità. Ne parliamo con Giulio.

Goodbye Mamma progetto

Da dove nasce l’idea del progetto Goodbye Mamma?

L’idea da cui è partito il tutto era fare un libro. Nel 2009, sulla spiaggia di Cesenatico, un amico, stanco di sentire i miei consigli che si concludevano sempre con le parole: “Parti, vattene.” mi disse: “Scrivici un libro.” L’idea mi sembrò buona e così, dopo due anni, siamo sulla via della pubblicazione; per Natale 2011 dovrebbe vedere la luce. Parlo al plurale perché l’idea del libro si è trasformata in un progetto più ampio e sfaccettato. Attualmente il team di Goodbye Mamma è composto da venti persone che si sono occupate della redazione del libro e dei diversi aspetti legati ad esso (sito, blog, social network, video, web marketing, ecc.). E’ divertente sottolineare il fatto che io conosco personalmente solo un paio di loro; tutto è nato e cresciuto sul web, una bellissima collaborazione virtuale basata su un ideale condiviso. Goodbye Mamma è un figlio di Internet e del suo network invisibile, ma mai così concreto.

Ci siamo incontrati proprio su Voglio Vivere Così e su italiansinfuga su cui avevo scritto due articoli riguardanti la Svizzera e nei quali cercavo collaboratori per un progetto editoriale. Dalle centinaia di persone che mi hanno scritto credo che ne sia venuta fuori un’ottima squadra, dalle competenze più disparate.

Titolo piuttosto evocativo della mentalità mammona degli italiani: è pur vero che, attualmente, senza l’aiuto della famiglia d’origine per molti non si raggiungerebbe la soglia della sopravvivenza; cosa ne pensi?

Il titolo, scelto democraticamente dal team, vuole essere espressamente provocatorio. Il “Goodbye” è visto positivamente come un arrivederci, non un addio, un possibile riavvicinamento dopo un’esperienza all’estero; ma il titolo si potrebbe anche leggere come “Good by Mamma”, che spesso rispecchia la realtà dello stare bene a casa con la mamma. L’italiano soffre se definito mammone ma, allo stesso tempo, sguazza in questa condizione di vita privilegiata in cui è possibile rimanere bambino dieci-quindici anni in più rispetto ai nostri coetanei europei. Non nego che scherziamo col fuoco, vista la nostra attuale condizione giovanile, difficile e senza troppe vie di fuga. Se per qualcuno non rappresenta un problema il fatto che vivere a casa oltre ai trenta anni sia ormai una stranezza nel mondo globalizzato, altri vivono questo status di mammone come una vera e propria tortura. L’Italia obbliga a vivere in casa con i genitori, gli alti costi della vita e gli stipendi a dir poco ridicoli, non permettono una vita indipendente; anche se prima dell’avvento dell’euro le cose non erano molto diverse da ora e questo dovrebbe farci riflettere. La domanda sorge spontanea: “Come fanno quindi i nostri coetanei europei ad andarsene di casa appena raggiunta la maggiore età?” La risposta è relativamente semplice; oltre ad un fattore culturale, alcuni stati elargiscono prestiti a tassi agevolati, che permettono al giovane di seguire tutto il percorso di studi senza avere bisogno del supporto della famiglia; in altri stati le borse di studio sono concesse alla maggior parte degli studenti. Il prestito verrà poi restituito a rate dopo aver trovato un lavoro di maggior prestigio, ottenuto grazie al titolo di studi. Il sistema è meritocratico e formativo, non grava sulla famiglia e favorisce l’indipendenza. Ammetto che con uno stipendio italiano e con i vantaggi dati da una laurea nostrana, probabilmente servirebbero venti anni per estinguere il debito.

Goodbye Mamma progetto

Nella tua esperienza puoi dirci quali sono i motivi di maggiore insoddisfazione che portano molti italiani a emigrare?

L’origine dell’insofferenza e del malfunzionamento dell’Italia risiede principalmente nella mancanza di meritocrazia. Tutto il resto arriva coma una conseguenza di ciò. Di problemi, in Italia come all’estero, ce ne sono, si potrebbe fare una lista quasi infinita. Ma quando scopriamo che i nostri anni di studio, di esperienza lavorativa, vengono scavalcati da un “figlio/parente/amico di”, e questo accade una, due, tre volte, la lamentela, intrinseca nel modo di vivere italiano, si trasforma in insofferenza che poi esplode in rabbia. E siccome l’Italia è una nazione d’individualisti, piuttosto che trasformare questa insoddisfazione in una serie d’iniziative concrete, proviamo a muoverci singolarmente; ma una volta capito che nessuno ci segue o ci ascolta, decidiamo di andarcene, con l’amaro in bocca. Alla fine scopriamo che le cose altrove sono differenti.

Se l’unica motivazione è la fuga, quali sono gli ostacoli maggiori di fronte a cui rischia di trovarsi chi espatria?

La sola voglia di fuggire non può essere la motivazione principale che spinge a partire. È necessario fare un’analisi personale seria per capire se si sta scappando dall’Italia o da noi stessi. Goodbye Mamma riprende la frase dell’architetto Renzo Piano “Partire, per poi tornare; l’esperienza all’estero dovrebbe essere una tappa della nostra vita. Partire, apprendere e crescere personalmente e professionalmente; poi tornare al fine di migliorare il nostro Paese. Andare all’estero non dovrebbe essere una fuga, ma un’esperienza di vita e di crescita personale, di libertà che ci permetterà di scegliere se rimanere all’estero, oppure tornare in Italia. Ammetto che una volta scoperto il mondo al di fuori dei confini nazionali diventa spesso difficile tornare e accettare il sistema italiano.

EXPAT progetto

Sapresti dirci quali sono gli elementi più sottovalutati da chi decide di espatriare?

Un buon piano “infallibile”! Pianificare tutto nei minimi dettagli per poi scoprire che è tutto diverso da come avevamo pensato. Meglio quindi armarsi di un piano flessibile, con tante alternative. Ci saranno dei momenti difficili, ma sarà la nostra positività, la benzina dell’espatriato, a spingerci per andare avanti. La novità ci deve entusiasmare, altrimenti meglio rimanere a casa. Il web oggi ci aiuta molto, ci permette di raccogliere dati e informazioni dettagliati, costruirci un network di persone sul posto, senza esserci mai stati. Ma la realtà è sempre diversa da come ce la immaginiamo, bisognerà sapersi adattare, accettare un rifiuto o una mancata risposta, faticare per essere compresi; bisogna lottare per integrarsi in un sistema che non si conosce, in una cultura diversa dalla nostra. Sarà necessario tenere duro, con disciplina e costanza. I risultati sono la conseguenza di un processo, le soddisfazioni possono essere molte e inaspettate.

Infine spesso viene sottovalutato il fatto di essere stranieri; questo significa che, a parte la lingua, dovremo essere coscienti del fatto che cominceremo da zero, con un enorme svantaggio rispetto ai locali. Partire da capo però permette di costruirsi una nuova vita, e questo non è impossibile in sistemi meritocratici. L’energia che portate con voi sarà fondamentale per riuscire in questo intento.

Il mondo è decisamente molto piccolo ora, ci si muove con notevole facilità: ma la globalizzazione ha fatto viaggiare anche i problemi e le difficoltà economiche; perché espatriare dunque?

Non vedo mai i problemi come tali; anche nel problema, ci sono opportunità, tante, da cogliere al volo. E’ necessario lottare per raggiungere i propri obiettivi. Ma spesso siamo pigri, vogliamo tutto e subito. Adesso però ci confrontiamo con persone da ogni parte del mondo e che oramai ci fanno concorrenza diretta e che lavorano tre volte tanto. Non possiamo attaccarci alla speranza del posto fisso, alle 40 ore sindacali e alle ferie pagate. La vita è una sfida sempre più globale, se vogliamo essere competitivi dobbiamo accettare nuove regole, utilizzando tutta la nostra creatività per creare nuove opportunità, che siano in Italia o all’estero. Oggi più che mai bisogna essere flessibili, con un buono spirito di adattamento.

Tra tutte quelle che hai raccolto c’è qualche storia che ti ha colpito in modo particolare?

Quella che preferisco è la storia di una ragazza di 16 anni partita per un anno in Cina con Intercultura. Esperienza che le ha cambiato radicalmente il modo di vedere il mondo. Una grande integrazione che mi ha commosso, lasciandomi una strana sensazione, mista tra gioia e dolore. Era entusiasta dell’energia che un’esperienza all’estero in così tenera età può trasmettere. La storia completa è raccontata nel libro, ne cito una parte:

Un’esperienza tale in tenera età è essenziale. Apre le porte al mondo, alle culture e alle differenze ma, soprattutto, ci insegna a dare il vero valore al mondo esterno: fino a prima è qualcosa d’intangibile, un fuori indefinito e senza immagini precise a dargli una forma. Francesi, americani, colombiani, ma chi sono? Sì, sappiamo che esistono ma non abbiamo la reale idea della loro presenza, del loro modo di parlare; vivono migliaia di chilometri da noi. Uscire dal nido in questo modo (un po’ brusco, ammettiamolo) ci permette di comprendere questa realtà e rivalutare ciò che fino ad allora abbiamo considerato di prima importanza. Grazie alla Cina ho compreso l’importanza dell’inglese e della comunicazione non verbale e ora, senza la Cina, non sarei probabilmente in procinto di partire per un’università inglese. Non avrei questa voglia di viaggiare e scoprire, scoprire, scoprire. Voglio scottarmi e magari piangere per la nostalgia o la delusione, voglio sorridere perché i colori di ogni paese brillano in modo diverso dall’Italia e io sono in grado di notarlo. Voglio conoscere sempre più persone da aggiungere alla mia lista di amici da andare a trovare nel loro paese natio e imparare.

Per questo consiglio a tutti quest’esperienza. La paura del viaggio è insita nell’uomo da migliaia di anni, ma una volta che si assaggia un pezzo di mondo al di fuori del nido, non se ne può più fare a meno”.

Un sito, un blog, un libro: Goodbye Mamma è un vero servizio a 360 gradi: quali sono le difficoltà più frequenti per cui venite consultati: caratteriali o pratiche?

Goodbye Mamma si pone l’obiettivo di diventare una guida flessibile per tutti coloro che, insofferenti per la situazione italiana vogliono fare qualcosa di concreto per migliorare se stessi e, di riflesso, l’Italia. Ci confrontiamo con richieste di ogni genere, alcuni ci scrivono per avere una valvola di sfogo ma senza sapere realmente cosa hanno intenzione di fare della propria vita. Spesso sono lamentele fini a sé stesse, che sfumano in fretta. Poi ci sono altre persone che hanno un’idea più chiara di quello che vogliono dalla loro vita, ma che non sanno come fare il primo passo verso l’estero. L’espatrio è un processo lungo, che non deve essere preso alla leggera; è necessario fare mente locale su vari aspetti, capire i propri desideri e bisogni. Altrimenti si rischia di scappare dall’Italia e di riprodurre la stessa situazione all’estero, con alcuni ostacoli in più, quali ad esempio la distanza dalla famiglia, o le difficoltà linguistiche e culturali.

Il team di Goodbye Italia progetto

Team Goodbye Mamma (partendo dall’alto a sinistra):

Giulio Sovran

Alberto Garbolino, Andrea Bricchetto, Andrea Guglielmino, Barbara Tizzano, Dario Sacchetti, Denis Vallese, Federica Gallerani, Fiorella De Nicola, Flavio D’Amato, Francesca Isabella Bove, Gaia Di Castro, Irene Romano, Marco Fisichella, Marianna Pilato, Massimo Givanardi, Monica Falcitelli.
Quanti sono attualmente gli italiani nel mondo e quali sono le attività a cui, prevalentemente, si dedicano?

Di dati e studi ce ne sono molti, ma non si è mai riusciti a fare una stima precisa degli italiani all’estero, numero al momento legato alle iscrizioni all’AIRE, cosa che ben pochi fanno. E’ difficile dare una risposta a un quesito del genere. Gli italiani si concentrano su alcune mete, le più gettonate, le più IN, che spesso rischiano di essere una bolla pronta a esplodere. Se negli ultimi anni era in voga il mito della fiesta madrilena e spagnola, oggi la Spagna è una meta caduta in secondo piano. Poi pensiamo a Londra, la “città dei lavapiatti”: esiste ancora il mito di partire per Londra senza un piano preciso, cercando lavoro sul posto, soluzione che porta nel 90% al fallimento (ritornare a casa), oppure a fregature prese da molte agenzie italiane che speculano su questo fenomeno diffuso. Rimangono in voga i Paesi “stabili e felici”, quali Australia e Canada, oppure isole dorate dietro l’angolo, come la Svizzera o i Paesi del nord Europa. Mentre emergono nuove località del sudest asiatico come Singapore e Malesia e la grande Cina. Gli Stati Uniti diventano invece sempre più una metà impossibile a causa del numero limitato delle Greencard, se non per i “fanatici” della Silicon Valley che offre una possibilità a tutti i talenti motivati. Poi c’è il fenomeno per noi nuovo dei pensionati che, sulla scia di americani, inglesi e tedeschi, diventano sempre più attivi sul web per trovare un luogo dove trascorrere la terza età, qualcosa quasi impensabile fino a qualche anno fa. La mentalità sta cambiando per tutte le fasce d’età, non si parla solo di giovani e incoscienti. La crisi odierna, con i suoi movimenti simili a un cataclisma, ci sta facendo aprire gli occhi verso il mondo, in maniera positiva, permettendoci di scoprire quante opportunità ci sono; dobbiamo essere reattivi per andare a scovarle. E’ importante capire che saremo noi, come singoli, a dover lavorare duro per raggiungere un certo obiettivo, per trovare il nostro Paese lungamente desiderato. Non esistono mete felici o infelici, possibili o impossibili, in crisi o fiorenti; dobbiamo essere noi a decidere del nostro futuro.

Secondo te l’espatrio è un punto di partenza o d’arrivo?

E’ una fase della vita, una tappa in un lungo percorso che potrà riportare in Italia o in qualunque altra parte del mondo. Oggi non ci sono limiti spazio-temporali, il globo terrestre ha una superficie finita, quasi ogni luogo è raggiungibile in meno di ventiquattro ore. Il problema è che in Italia si parla sempre di espatrio come di qualcosa di negativo, chi espatria non ha altra scelta. Abbiamo fresco il ricordo degli italiani che s’imbarcavano per gli Stati Uniti agli inizi del Novecento, cercando la fortuna. Oggi siamo cittadini del mondo; essere di Roma e andare a lavorare a Milano prende più tempo e costa di più che volare su Londra o Copenaghen. In altri Paesi l’esperienza all’estero è fortemente finanziata dagli stessi governi, sapendo dell’enorme importanza che hanno esperienze del genere sulla formazione e sulla crescita degli individui. Gli altri Paesi investono, sapendo che poi avranno argomenti per attirare di nuovo i propri migliori talenti. L’Italia preferisce chiamare questo fenomeno incontrollato la “fuga dei cervelli”, dandone una connotazione estremamente negativa, un fenomeno da limitare. Il problema dell’Italia non è tanto cercare di tenere i propri talenti nel Belpaese, ma è di attirare talenti stranieri, cosa che siamo ben lontani dal riuscire a fare.

Cosa non dovrebbe mai esserci, secondo te, nel bagaglio mentale di chi decide di espatriare?

Non dovranno esserci i pregiudizi. Un Paese visto da fuori, per sentito dire, è tutt’altra cosa che vivere un Paese e vederne in prima persona tutti i suoi aspetti, positivi o negativi che siano. Bisogna scoprire il luogo in cui si è deciso di vivere, e farlo con i propri occhi, approfittare dell’esperienza, imparare il più possibile, godersi la vita all’estero come un’opportunità. Non esiste un Paese più felice di un altro, dove si viva meglio o peggio, dove tutti si trovano bene o male. Tutto si gioca attorno ad una condizione mentale personale, un approccio aperto, la voglia di imparare dagli altri. Non si può pensare di esportare il nostro modo di fare, le nostre tradizioni; e credere che sia lecito riprodurre ciò che facciamo a casa nostra senza alcun controllo, né rispetto per il prossimo. Se decidete di espatriare siate delle spugne, assorbite tutto ciò che vi circonda, rielaboratelo, apprezzate il mondo per le sue enormi differenze, una varietà quasi infinita. Se direte “Goodbye Mamma”, fatelo con il sorriso sulla bocca, sapendo che “la mamma è sempre la mamma” e sarà sempre pronta ad accogliervi con le braccia aperte.

Ulteriori informazioni riguardanti il progetto le trovate su www.goodbyemamma.com

Oppure sulla nostra pagina Goodbye Mamma su facebook

Per porre quesiti sul tema espatrio, veniteci a trovare direttamente sul nostro gruppo Goodbye Mamma su facebook

Ecco la prima puntata video di Goodbye Mamma