Di Tullia Conte

I “cugini” italiani si spostano oltralpe in maniera importante dall’inizio del 900. Attualmente, sono soprattutto parte dell’immigrazione, cosiddetta di pregio tecnico-culturale: impiegati come ingegneri, architetti, professionisti o come mano d’opera nel terziario, si inseriscono nel mercato secondo le necessità delle aziende e del sistema economico francese nell’era attuale.

I cittadini di questo tipo, in terra straniera ma pur sempre europei, sono soggetti a dei “favoritismi” non tanto sul piano strettamente economico quanto su quello amministrativo ( non hanno bisogno di permesso di soggiorno per es.), essi diventano la forza lavoro che poco pretende e molto si spende, pur di conservare quelli che vengono percepiti come privilegi acquisiti (privilegi che fino a qualche tempo fa erano diritti); queste persone provengono dalla mortificazione dovuta dall’assenza totale di lavoro degnamente retribuito nel loro paese di origine.

Italiani in Francia - Tullia Conte

Spiegare la politica francese in termini di immigrazione in maniera davvero concisa è impossibile, in generale si tratta di una legislatura che, seguendo una logica non dissimile da quella della Bossi-Fini in Italia, inquadra in maniera estremamente rigida l’ingresso della forza lavoro straniera alle esigenze congiunturali delle imprese, soprattutto per quanto riguarda la migrazione extra europea, (ex)colonie comprese. “La chiamano immigration choisie (immigrazione scelta).

Liberiamoci subito da un equivoco. Il distinguo sugli stranieri considerati più desiderabili da quelli che lo sono di meno, non è una novità nelle politiche migratorie della Francia, né un privilegio delle sole politiche migratorie transalpine. In realtà ogni politica migratoria contiene implicitamente in sé come uno dei suoi compiti principali quello di tracciare una linea di discrimine tra una buona e una cattiva immigrazione. Che il criterio sia quello dell’economicamente più profittevole, quello dell’etnicamente o del culturalmente più omogeneo piuttosto che quello del politicamente più conveniente, esistono e sono sempre esistiti stranieri più o meno desiderabili1”. In questo contesto si inseriscono i fenomeni che riguardano anche gli italiani.

In Francia, sia livello legislativo che culturale, la migrazione è considerata in maniera positiva solo come integrazione, misurata in base alla presunta somiglianza/vicinanza culturale di provenienza, ed in base alla capacità di adattamento al mercato del lavoro.

Italiani in Francia - Tullia Conte

Nel corso della prima fase migratoria, il nomignolo di Signor coltello era attribuito agli immigrati provenienti dalla penisola, più recentemente il termine ritals – insieme al più celebre macaronis – era l’espressione dispregiativa con cui venivano chiamati in Francia gli immigrati provenienti dall’Italia. I termini ritals e macaronis ebbero però una vita più duratura. Il primo in particolare fu in seguito recuperato da alcuni scrittori e musicisti di origine italiana, che cercarono di renderlo un elemento di riconoscimento identitario.

Je suis rital et je le reste, cantava nel 1983 Claude Barzotti, una specie di Claudio Baglioni italo-belga, dando voce ad una memoria culturale che non facilmente si lascia mettere a tacere, né si può nascondere, a quanto pare:

A l’école quand j’étais petit
Je n’avais pas beaucoup d’ami
J’aurais voulu m’appeler Dupont
Avoir les yeux un peu plus clair
Je rêvais d’être un enfant blond
J’en voulais un peu à mon père 2

Secondo lo stereotipo, i rital sono individui sporchi, maneschi, abituati a vivere in gruppo (in fàmighlia, mai senza la màmma) e a parlare ad alta voce accompagnando il parlato con una mimica vivacissima, campanilisti, imbroglioni, sempre in ritardo, poco affidabili, mangiatori di pasta, disposti comunque ad arrangiarsi e con un carattere esplosivo; questo preconcetto diventa fortemente discriminante, soprattutto dagli anni 30 fino alla fine degli anni 70; gli emigrati ne pagano le conseguenze in termini di ghettizzazione, di sfruttamento e di perdita di identità culturale: per esempio a molti dei figli non verrà insegnato né l’italiano né il dialetto, per non avere problemi.

Je suis Rital dans mes colères
Dans mes douceurs et mes prières
J’ai la mémoire de mon espèce
Je suis Rital et je le reste

Arrivederci Roma…3

Il termine rital sdoganato dal romanzo di Cavanna, resta ambiguo nel linguaggio corrente: in senso dispregiativo, può essere utilizzato come descrittivo di individui tanto nati in Italia ma residenti in Francia che nati in Francia da famiglia italiana, che parlano avec un accent, con l’accento, pur facendo parte ormai a pieno diritto della cultura francese. In senso più lato, l’essere rital può essere descrittivo di un’appartenenza caparbia al proprio paese di origine, ricordato con malinconia e come panacea di tutti i mali.

➤➤ Stai pensando di trasferirti in Francia? Leggi la nostra Guida per andare a vivere a Parigi!

C’est vrai je suis un étranger
On me l’a assez répété4

Il termine può essere utilizzato anche a scopo “identitario”.

Fa un certo effetto vedere stampato sui giornali locali parigini “Ballo dei Ritals” per pubblicizzare un’iniziativa che ambisce a rappresentare la cultura popolare italiana oltralpe. Il bal in realtà si rivela essere una riproposta abbastanza deludente, approssimativa quanto la pasta “Panzani” (sconosciuta in Italia ma venduta in Francia), in quanto la complicata cultura “popolare” delle danze e musiche del sud è affidata ad un gruppo semi amatoriale e non capace di raccontare in maniera dignitosa la bellezza delle tradizioni italiane. Se questa comunità, che per le ragioni esposte in precedenza dimostra poca memoria storica, dimentica totalmente la memoria storica che esiste dietro la parola ed il suo l’utilizzo, stroppiandone arbitrariamente l’uso in favore di scopi meramente commerciali, rischia di finire poi ad incarnare lo stesso stereotipo negativo che pretendeva di abbattere attraverso l’utilizzo leggero dell’appellativo razzista.

ritals web

C’è una web serie chiamata Ritals, uscita anch’essa recentemente e divenuta fenomeno virale in poco tempo, che invece riesce a far sorridere mettendo in evidenza luci ed ombre dei personaggi, ritals a tutti gli effetti, nella Parigi contemporanea: riflettere e anche ironizzare sulla cultura italiana come su quella francese, all’estero come dovunque, si può, si deve, per smascherarne i contenuti, guardando al nostro essere comunità in un’ottica non di polemica superiorità o inferiorità, ma di critica costruttiva, e anche divertente. Ritals anche si, se parliamo di prodotti culturali realizzati con professionalità.

Le parole in se infatti non posseggono intenti razzisti, i quali dipendono invece da come esse vengono usate: a fare la differenza sono le condizioni attraverso le quali noi stessi configuriamo la nostra appartenenza, che diventano caratterizzanti nell’impatto con un altro contesto culturale.

L’accettazione tout court della cultura “che ci ospita” si rivela essere apparentemente più funzionale ad un’immediata integrazione. Accettando finanche di deridere e di giudicare inferiori i propri riferimenti culturali, lo “straniero” non vuole essere vittima di discriminazione in quanto incarnazione dello stereotipo che lo riguarda culturalmente. “L’essere percepito come straniero” ha una forte incidenza anche attualmente sia sull’individualità sia sulle relazioni sociali e lavorative che caratterizzano la vita delle persone. Questo tipo di discriminazione è tuttora importante in termini di sopravvivenza materiale e possibilità di ambire ad un miglioramento del ruolo sociale. Come conservare il nostro essere stranieri senza precluderci all’accoglienza della cultura con cui ci stiamo confrontando? Come opporsi ai piani economico politici che vogliono sfruttare qualunque cosa ci appartenga, per renderci soltanto funzionali al mercato? Seppure è stesso quest’ultimo ad aver generato le condizioni che hanno costretto alla migrazione tanti, le modalità in cui questo fatto avviene dipendono anche dai migranti stessi in quanto attori sociali coinvolti.

Rispetto ai nostri simili di altra nascita che vivono tragedie umane immense e ingiuste, ai quali siamo accomunati dallo spostamento rispetto al luogo in cui siamo nati, in quanto favoriti almeno amministrativamente dall’appartenenza alla comunità europea, abbiamo la responsabilità, il dovere e l’urgenza imposta dalle congiunture attuali, di levare la voce in difesa dei diritti umani, nostri e degli altri, e del rispetto di tutte le culture.

Fortunatamente, i dialoghi possibili tra esseri umani sono complicati e lasciano margini di cambiamento che sono talvolta imprevedibili; in quanto migranti, bisogna resistere con attenta coscienza e non lasciarsi addomesticare né ad un’inferiorità culturale, né ad una superiorità malinconica. Bisogna dialogare, sempre. Bisogna vigilare affinché tutte le culture siano rispettate con eguale dignità. Raccontare le nostre radici culturali, viverle, ricordarle, non svenderle e saperle trattare anche con vivace ironia; saper ascoltare quelle di tutte le altre etnie con le quali condividiamo il suolo francese; esprimere il disequilibrio geografico, culturale ed esistenziale, e renderlo carburante per nostra sete di conoscenza, per essere –dovunque- quel popolo di santi, poeti e navigatori e migranti che ha sempre contribuito a cambiare le sorti della cultura umana.

1 Dino Costantini, Politiche migratorie e discriminazione: il caso francese – Journal of Political Philosophy, 2009

2 A Scuola quando ero piccolo | Non avevo molti amici | Avrei preferito chiamarmi Dupont | Avere gli occhi chiari | Sognavo di essere un bimbo biondo | Per questo ce l’avevo un po’ con mio padre

3 Sono un Rital quando mi arrabbio | nei momenti dolci e nelle mie preghiere | Mi ricordo la mia razza | Sono un Rital e lo sarò sempre

4 E’ vero sono uno straniero | me l’avete ripetuto abbastanza