Dalla grande città a un Borgo sperduto vicino alle Alpi

A cura di Maricla Pannocchia

Pranzare guardando i caprioli dalla finestra, passeggiare nel bosco, avere bei rapporti con i vicini di casa e con la comunità in generale, spalare la neve in silenzio… sembrano scene provenienti da un’epoca ormai passata eppure per Neva, cresciuta a Piacenza, questa è la realtà quotidiana.

Dopo una vita sempre di corsa, passata fra il Lago Maggiore e Milano, dove lavorava durante la settimana per dedicarsi all’edicola del padre nel week-end, Neva si è resa conto di essere arrivata a un punto in cui aveva perso completamente la connessione con sé stessa. “Un giorno mio marito, che già conosceva questo paesino, mi propose di andarlo a visitare, sapendo che mi sarebbe piaciuto”, racconta la donna, “e, infatti, è stato così. Tempo dopo, mentre aiutavamo un famigliare a cercare casa, abbiamo trovato l’annuncio di un’abitazione in vendita proprio lì e abbiamo deciso di abbandonare la nostra vecchia vita.”

In seguito alla diagnosi di fibromialgia, Neva ha dovuto riadattare la propria vita alle sue nuove esigenze, e ha cominciato a lavorare da casa come assistente virtuale amministrativa e consulente di Organizzazione e Produttività. “Lavorare da remoto a volte è alienante ma, quando mi sento sola, mi basta scambiare due chiacchiere con i vicini”, racconta Neva che, nel paesino, si sente proprio bene e ha trovato la sua dimensione. “Qui c’è tutto quello che serve” continua la donna, “e, forse anche perché non abbiamo figli, non mi manca niente di Milano.”

Ciao Neva, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, sono Neva e sono cresciuta a Piacenza, anche se non l’ho mai considerata la mia vera casa. Mi sentivo priva di radici. Da piccola, vivevo in attesa dei giorni di vacanza, quelli in cui si preparava la valigia per andare dai nonni, che abitavano a qualche centinaio di km da noi. Quando avevo 16 anni, la mia famiglia e io ci siamo trasferiti sul Lago Maggiore, dove viveva mia nonna materna. Studiavo con foga (ragioneria e contabilità) e ho sempre avuto la passione per le lingue straniere. A quei tempi, non c’era nessun modo di praticare le lingue. In terza superiore, nella nuova scuola era previsto lo studio della lingua tedesca. Verbania è notoriamente meta di turisti tedeschi e per me si aprì un mondo: li fermavo per strada, con il pretesto di chiedere l’ora. Che felicità, poter comunicare in un’altra lingua!

Da ragazza ho vissuto a lungo in Spagna e – per un periodo più breve – in Germania. Da adulta, mi sono sposata nelle Florida Keys. Mio marito e io contiamo quasi una ventina di traslochi a testa. Mi sono sempre definita “senza patria e con la valigia in mano”. Ho sempre avuto la voglia di esplorare, ma con l’esigenza di poter raggiungere facilmente la mia famiglia, in caso di necessità.

Vivi in un paesino ai piedi delle Alpi dove “ci sono pochi umani e molti quadrupedi.” Cosa ti ha spinta a trasferirti proprio lì?

Mio marito conosceva già questo paesino e un giorno mi disse, “ti porto in un posto che ti piacerà.” Ricordo che era marzo, c’erano primule ovunque, mi guardavo attorno e pensavo, “Ma qui siamo fuori dal tempo!” C’erano solo silenzio, natura e pace. A distanza di anni, mentre aiutavamo un nostro famigliare nella ricerca di una casa, trovammo per caso l’annuncio di una casa in vendita qui.

Ai tempi abitavamo in un condominio in una zona residenziale in centro a Verbania. Potevamo raggiungere qualsiasi posto a piedi. Il lago era a pochi passi da casa. Comodo e indiscutibilmente piacevole ma noi avevamo sete di pace. Ci pensammo un bel po’ ma eravamo entusiasti, sapevamo che i benefici di quella scelta sarebbero stati superiori alle difficoltà.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

I nostri amici ce lo ripetono ancora oggi, “Ma dove siete andati a finire!? Bello, eh, ma un po’ scomodo. Però senti che silenzio!” In realtà siamo a 15 minuti da supermercati, ospedale, negozi, ecc. Tutti quelli che vengono a trovarci, ci tornano volentieri.

Prima del trasferimento, vivevi sul Lago Maggiore e lavoravi a Milano. Di cosa ti occupavi?

Lavoravo nella filiale italiana di una multinazionale tedesca. Mi occupavo di back office commerciale. Ero anche titolare di una rivendita di giornali, nella quale stava principalmente mio padre e che io seguivo nel fine settimana. Avevo già accumulato diverse esperienze in ambito amministrativo e contabile, come lavoratrice dipendente.

Di cosa ti occupi, invece, adesso?

Sono un’assistente virtuale amministrativa e consulente di Organizzazione e Produttività. Collaboro con freelance e imprenditori, che sono esausti e sovraccarichi. In alcuni casi li aiuto a organizzare il loro lavoro e le loro giornate. In altri, mi occupo direttamente delle loro attività amministrative e contabili. Il mio obiettivo è quello di aiutarli a ritrovare un sistema di lavoro più sostenibile e consapevole. Per farlo mi siedo al loro fianco per trovare, insieme a loro, la strada migliore.

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Com’era la tua vita quand’era suddivisa tra il Lago Maggiore e Milano?

Sveglia alle 4.17. Auto, treno, metropolitana e autobus. Timbravo in ufficio alle 8.00, già stremata. Poi di nuovo corsa e scongiuri, per arrivare a casa dopo le 19.00. Nel fine settimana, mi occupavo dell’edicola. Ovviamente non avevo una vita, avevo perso completamente il contatto con me stessa, ed ero molto stanca.

Hai abbandonato il posto fisso anni fa, per motivi di salute. Ti vi di raccontarci di più al riguardo?

Un bel giorno, all’improvviso, iniziai ad avvertire dolori molto forti alle ginocchia. In breve tempo, passai dall’essere sempre attiva, al non riuscire più ad arrivare al supermercato da sola. Non dormivo, perché ero costantemente preda di forti dolori. Testa immersa nella nebbia, difficoltà di concentrazione… Ai tempi non si parlava di questa patologia. Molti medici non la conoscevano nemmeno e mi dicevano che non c’era niente che non andasse, tuttavia nessuno trovava una soluzione ai miei dolori. Dovevo stare ferma, riposare e assumere molti antidolorifici e antidepressivi. Dopo mesi di pellegrinaggio, approdai agli Spedali Civili di Brescia, dove finalmente arrivò la diagnosi. Da quel momento ricominciai a camminare, pochi minuti per volta, ogni giorno. Mi ci volle molto tempo, prima di ritornare a una vita normale. Sapevo, comunque, che non sarei più tornata alla vita di prima, perché nel mio caso non sarebbe più stato sostenibile.

Ora riesco a correre tutti i giorni, perché so che l’attività fisica è la prima terapia utile per convivere con la fibromialgia. Quando non lo faccio, il mio corpo ne risente. Ho imparato a convivere con una dose di energie inferiore rispetto a prima. So che devo organizzarmi per priorità, che non posso prendere troppi impegni contemporaneamente e che, quando è necessario, devo rinunciare anche a cose piacevoli, perché non ho la forza di farle e il mio corpo deve riposare. Non è una questione di “se vuoi, puoi” ma, piuttosto, un percorso di allenamento, per cercare e adottare piccoli accorgimenti che mi permettano di convivere con questa patologia in maniera sostenibile.

Quando hai deciso di diventare assistente virtuale e consulente di organizzazione?

Inizialmente, dopo essermi ripresa, cercavo un impiego part-time. Un’impresa impossibile. Una donna che non vuole un impiego a tempo pieno veniva (e viene tuttora) etichettata come poco affidabile e responsabile. Per caso iniziai a collaborare – da casa – con un piccolo artigiano del posto, per mansioni di amministrazione e contabilità. Fu così che iniziai a pensare di proporre questo servizio anche ad altri e di farne una vera e propria professione. Allora, poco si sapeva, di assistenza virtuale, soprattutto nel nostro Paese. All’estero, invece, era una professione già conosciuta.

Ho iniziato così, mettendo a frutto le competenze che già avevo e studiando quello che mi mancava. A dire la verità, di studiare non ho mai smesso e questo mi appaga e mi rende felice. Paradossalmente sono partita dal mio punto debole, la fibromialgia, e, nel corso degli anni, ho capito che stavo lavorando per farlo diventare un punto di forza. Avere meno risorse a disposizione mi ha permesso di capire come gestirle meglio e come lavorare in maniera efficiente, senza sprechi. Ho capito che l’organizzazione funziona solo se è sostenibile e flessibile. A qualsiasi livello, in qualsiasi ambito, occorre valorizzare le risorse per raggiungere gli obiettivi. Questo è il mio modo di procedere, nella mia professione e nelle collaborazioni con i miei clienti.

Cosa bisogna avere, per svolgere questa professione?

Sicuramente buone doti organizzative, per riuscire a gestire più clienti e progetti contemporaneamente. Empatia, gentilezza e capacità di ascolto. Possono sembrare banalità, o concetti troppo astratti. In realtà, sono qualità che ti salvano la vita e migliorano quella di chi ti sta accanto. Ovviamente, il desiderio d’imparare e di conoscere tecniche e strumenti nuovi, che ogni giorno compaiono e che possono cambiare il modo di lavorare, è indispensabile.

Che consigli daresti a chi vorrebbe diventare, appunto, assistente virtuale e consulente di organizzazione?

Consiglierei di non avere timore di mettersi in gioco e di farlo con la consapevolezza che questo non è un lavoro che “ti permette di guadagnare comodamente da casa”, ma una professione che può essere gratificante e, se ben strutturata, ti consente di gestire il tuo tempo e le tue risorse in piena libertà.

Com’è una tua giornata tipo?

Sveglia alle 5.30 (sono sempre mattiniera). Un’ora di corsa intorno a casa (le strade del borgo sono ben illuminate, e correre all’alba mi dà un senso di libertà). Svolgo le faccende domestiche, poi mi metto al lavoro. Una volta a settimana, prendo il pc e “mi trasferisco” a casa dei miei genitori, oppure scendo nella biblioteca del centro più vicino. Organizzo la spesa e le commissioni negli stessi giorni, per ottimizzare gli spostamenti. Occasionalmente collaboro con qualche cliente in ufficio, ma solo quando c’è la necessità e il piacere di farlo.

Nel fine settimana mi piace dedicarmi alla cucina, leggere, camminare. Con i miei vicini è uno scambio continuo di ricette, torte, marmellate e prodotti dell’orto.

Immagino che il cambiamento tra la vita che avevi sul Lago Maggiore e a Milano e questa nel paesino vicino alle Alpi sia stato importante. Come lo hai affrontato?

Ho affrontato questo cambiamento con la felicità e il sollievo nel cuore. Ancora oggi, se mi sveglio la notte e ascolto il silenzio del bosco, sono grata per il fatto di non dover più stare nella confusione, o di dover cambiare 4 mezzi di trasporto per arrivare in ufficio.

Quali difficoltà hai dovuto superare?

Il tratto di strada che ci separa dal centro. Non amo guidare, quindi lo percepivo come un ostacolo. Ora che ci ho preso l’abitudine, non lo vedo più come un problema.

Quali sono stati i momenti di gioia e le soddisfazioni?

Far crescere alcuni pomodori, spalare la neve immersi nel silenzio, assistere alla nascita degli agnelli e ascoltare i picchi nel terreno accanto a casa. Sono momenti di gioia, semplici e impagabili.

Soffri mai la solitudine?

Lavorare da casa, talvolta, può essere alienante. Ovviamente, anche io sento il bisogno di confrontarmi con qualcuno e di stare in mezzo alla gente. È normale, l’essere umano è un essere sociale, ma mi basta uscire di casa e scambiare due parole con i miei vicini per sentirmi meglio. Sento spesso le mie amiche e coltivo i rapporti con le mie “colleghe virtuali”. No, non mi sento sola.

Senti mai la mancanza di una città come Milano che, a dispetto di tutto, comunque offre anche molto?

No. Probabilmente posso parlare in questi termini perché non ho figli da scarrozzare a scuola, accompagnare a fare sport e portare in giro per gli svaghi. Le città affollate, dopo pochi giorni, mi stancano. La mia dimensione è questa. Fortunatamente anche per mio marito è così.

Puoi descriverci meglio il paesino in cui vivi?

Questo paesino è incastonato tra le valli Cusiane ed è meta di escursionisti e di runners, perché si trova all’interno dell’Anello Azzurro che circonda il lago d’Orta. Il comune conta poco più di 500 abitanti, ma nella frazione in cui vivo io ce ne sono a malapena 60. Durante l’estate arrivano i proprietari delle seconde case. Ogni tanto, qualcuno sosta con il camper nel prato, accanto alla chiesa. C’è un telescopio, dal quale quest’estate abbiamo guardato le stelle. È un crocevia di sentieri tra i boschi, con scorci che offrono una vista lago avvolgente e rigenerante. Nella frazione accanto c’è un circolo gestito da Stella, una signora sudamericana dal sorriso grande, che cucina il pesce divinamente, e una piccola Casa del Libro; una stanza sempre aperta, pulita e accogliente, che sa di carta e di storie antiche. Si respira silenzio (tranne quando i miei vicini si scatenano con il tagliaerba). Spesso ho la sensazione di stare fuori dal mondo, eppure di esserne al centro.

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Come valuteresti il rapporto costo/qualità della vita lì?

Per noi, è ottimo. Nel raggio di pochi chilometri, abbiamo tutto ciò che può servire: ospedale, scuole, attività commerciali. L’ingresso dell’autostrada è a circa 20 km. Nel cuore del paese ci sono i servizi essenziali: scuola elementare, una farmacia (con l’ambulatorio medico), l’ufficio postale e un piccolo negozio di alimentari, che offre il servizio di consegna a domicilio, da lunedì al sabato. La tranquillità di poter uscire di casa senza pensieri e di respirare aria pulita è impagabile, e vale il sacrificio di non essere in centro.

E servizi come i mezzi pubblici, le attività culturali, ricreative e artistiche?

Purtroppo i mezzi pubblici non raggiungono tutte le frazioni e sono ridotti. In ogni caso, serve l’auto per spostarsi. Le attività ricreative sono principalmente legate ai mercatini di prodotti artigianali, in occasione del Natale.

Ti definisci una “nomade digitale.” Molte persone ancora guardano con scetticismo a questo termine. Cosa vuol dire, per te, essere una nomade digitale?

Avere la libertà di poter svolgere il proprio lavoro dal posto in cui ci si trova, ma non solo. Significa anche ampliare gli orizzonti, poter lavorare con chi vive a pochi chilometri da casa tua, oppure con chi si trova in altri Paesi. Avere la possibilità di conoscere e collaborare con realtà diverse, arricchenti e stimolanti. Significa poter trovare il proprio posto nel mondo, in qualsiasi momento, in base alle proprie esigenze e inclinazioni.

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Potresti lavorare da qualsiasi luogo in qualunque Paese, ma hai scelto di vivere proprio lì. Ti va di raccontarci meglio cosa rappresenta questo stile di vita, per te?

Significa avere la possibilità di vivere in maniera più sana e consapevole, perché in alcuni casi possedere “meno” significa avere di più. Da quando siamo qui, ogni acquisto è diventato una decisione ponderata. E, prima di buttare e cambiare, si tenta di riparare. Ancora, chiediamo a qualche vicino se ne ha bisogno, o se può aiutarci a ripararlo. Significa essere lontano dal caos, pranzare guardando i caprioli dalla finestra, ma anche avere la possibilità di uscire a cena, per il piacere di farlo e non per combattere la noia. Significa avere la possibilità di stare lontano da casa anche per un mese intero (lo facciamo, almeno una volta l’anno), mentre i nostri vicini si prendono cura della nostra abitazione, favore che poi noi ricambiamo. Il pianeta è pieno di luoghi meravigliosi ma, come mi dico spesso, qui mi sento a casa e non è poi così male.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Durante la nostra prima settimana qui, alcuni vicini ci hanno fatto trovare sulla porta una cesta con prodotti dell’orto e un biglietto di benvenuto. Nel periodo del Covid-19, mio marito è stato in ospedale per oltre un mese. Io ero isolata in casa. Una mia vicina mi lasciava ogni sera un piatto di minestra sulla porta. In ogni circostanza, brutta o bella, mi sento accolta e protetta, come se fossi in una grande famiglia. Non ho mai respirato, altrove, un senso di comunità così intenso. Sono sicura che, in caso di bisogno, anche le persone con le quali ho meno confidenza, non esiterebbero ad aiutarmi. E io farei lo stesso per loro.

Come descriveresti le loro vite?

Alcune delle persone del posto hanno sempre vissuto in questo paese e, devo dire, per certi versi, mi affascina l’equilibrio che mostrano in questa loro scelta di vita. La maggior parte della gente del luogo, invece, conduce una vita normale spostandosi per lavoro, scuola e attività varie.

Immagino che, lì, la natura sia molto importante…

Sì, anche se purtroppo circolano ancora alcuni cacciatori.

Quali sono, secondo te, le differenze fra la vita in città e quella in un piccolo paese?

Le differenze sono notevoli e, come in tutto, ci sono i pro e i contro in entrambi i casi. Io ho avuto la fortuna di poter scegliere ciò che mi fa sentire meglio.

NEVA PESSINA

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

No, perché ogni difficoltà e ogni sbaglio sono stati parte del percorso che mi ha portata qui.

C’è qualcosa che hai scoperto una volta arrivata sul posto e che avresti voluto sapere prima?

Avrei voluto sapere prima che, quando nevica, la strada non è piacevole, perché non sempre viene pulita adeguatamente. E che, almeno un paio di volte l’anno, a causa delle pessime condizioni in cui si trova la rete idrica nazionale, restiamo senza acqua per intere giornate. Molte abitazioni hanno un pozzo privato. Qualche volta la mia vicina mi ha “prestato una doccia.”

Cosa significa la parola “cambiamento” per te?

Cambiare significa curvare, girare intorno. Non si tratta semplicemente di aggirare un ostacolo, ma anche di prendere le distanze, allontanarsi volontariamente da un percorso e scegliere un’altra direzione. Non sempre sono necessari cambiamenti estremi; spesso i grandi cambiamenti sono fatti di tante piccole abitudini, tanti piccoli passi che, giorno dopo giorno, conducono in una determinata direzione.

Che suggerimenti daresti a chi vorrebbe cambiare vita ma non sa da che parte cominciare?

Suggerirei di riflettere sui valori e sugli obiettivi che fanno nascere questo desiderio e di analizzare bene le risorse a disposizione e gli ostacoli da superare. In questo modo, sarà possibile tracciare un percorso realistico e sostenibile, per mettere in atto il cambiamento. È importante seguire la propria natura, ascoltare ciò che davvero sentiamo essere importante per noi, e muoverci di conseguenza. Guardare gli altri può essere utile, ma alla fine conta ciò che siamo.

Progetti futuri?

Vorrei aiutare, con il mio lavoro, sempre più persone (che siano liberi professionisti o imprenditori) che si devono confrontare con patologie invalidanti e che lottano per portare avanti la loro attività in maniera sostenibile e proficua. Mi piacerebbe conoscere altre persone con cui potermi confrontare e magari dare vita a nuovi progetti.

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