Produrre cioccolato e caffè in Africa: la storia di Claudio
A cura di Cinzia Ficco
“Un gran cioccolato o un grande caffé, come i grandi vini, hanno bisogno di terroir adatti, di frutti perfettamente sani e maturi, di tanta cura e di una vera grande esperienza”. Un benvenuto nel suo sito (www.claudiocorallo.com/), quello di Claudio Corallo, che è anche una frecciata a chi parla in modo superficiale di cioccolato e caffè, magari standosene seduto su una poltrona di una città europea. Lui, invece, l’esperienza ce l’ha. L’ha maturata nei trentacinque anni di vita nelle piantagioni africane. E può permettersi di dare lezioni e smentire tutti quelli che dicono, per esempio: “Cioccolato al 100 per cento uguale amaro”.
Sul caffè, poi, aggiunge: “Sono inimmaginabili le differenze di profumi che possono regalare tre antiche varietà di Arabica, pur coltivate una accanto all’altra nello stesso terroir e lavorate in identica maniera”. Fiorentino, del ’51, diplomato e poi specializzato in Agronomia tropicale all’Istituto Agronomico per l’Oltremare del capoluogo toscano, dal 1974 è in Africa. E’ partito con i suoi figli e a Sao Tomé, al largo della costa africana, ha fondato un’azienda familiare che non teme la concorrenza delle multinazionali.
Il segreto del successo del cioccolato di Claudio Corallo, non è solo dovuto alla nobiltà di quel cacao, ma alle cure nel processo di produzione.
Claudio ed i suoi figli trasformano le fave di cacao nella più pura forma di cioccolato.
“I risultati- spiega Corallo- ottenuti con queste cure sono così lontani dai mediocri prodotti di massa, che sono difficilmente immaginabili. Molti cioccolatieri offrono ‘grandi CRU’, aromatizzati con zucchero di canna e vaniglia. Ma noi no, perché a noi basta il sapore del nostro cioccolato”.
La gamma è vasta.
Si va da un cioccolato 100% ad uno che contiene un’altra specialitá, l’unico distillato al mondo estratto dalla polpa di cacao. Ancora, dal 73% con granella di cacao, ai delicati cioccolati allo zenzero e alle scorze di arancio, e all’ 80% sablé fino ai grani di caffé ricoperti di cioccolato.
Dalle piantagioni di queste isole equatoriali da sogno, la famiglia Corallo vende cioccolato e caffé ad un mercato locale. Una piccola percentuale va ad intenditori di tutto il mondo.
Claudio segue le piantagioni e la produzione con i suoi due figli Niccolò e Amedeo, mentre la loro sorella Ricciarda e la loro mamma Bettina si occupano della parte commerciale.
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La storia è, dunque, quella di una famiglia che, per avere cioccolato e caffè di alta qualità, ha introdotto tecnologie sviluppate grazie a oltre trent’anni di esperienza nelle giungle dell’ex Zaire e della Bolivia, precedenti alla scoperta delle più antiche piante di cacao in Africa, a Príncipe.
Ma come ha avuto inizio la sua avventura?
Tutto è cominciato nell’86. Allora coltivavo caffè nell’ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo. Fu mio cognato a risvegliare il mio interesse per il cacao. Fino al ’96 mi ero occupato di quello che occorre per un buon espresso. Avevo acquistato due piantagioni abbandonate anche per recuperare varietà quasi scomparse.
Sembra che col caffè abbia rivoluzionato molte tecniche!
Guardi, per il caffè, come per il cacao, non é la tostatura che fa la differenza. Ma la scelta delle piante, il grandissimo lavoro dal campo alla raccolta e il metodo (forse solo nostro) di spolpatura.
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Negli anni Ottanta andava molto bene. Davo lavoro a mille persone e il mio caffè era servito nello storico locale Florian di Venezia.
Poi?
E’ seguito un periodo critico. Le guerre ed i saccheggi a tappeto mi hanno obbligato a fuggire dalla piantagione. Ho percorso 1650 km in piroga sui fiumi inusualmente deserti.
Fu allora che si buttò sul cacao?
Mi trasferii nello Stato centroafricano di Sao Tomé e Principe, un arcipelago nel Golfo di Guinea al largo delle coste africane.
Cosa è successo?
Abbiamo fatto tante prove. Ci alzavamo alle quattro di mattina per ottenere una produzione diversa, che facesse sentire il sapore di questi posti. E che fosse ecosostenibile in tutta la filiera.
Abbiamo modificato la coltivazione.
In che senso?
Abbiamo introdotto alcune novità. Cinque – sei metri di spazio tra una pianta e l’altra, ricorso a piante alte di protezione per evitare pesticidi, lavorazione solo manuale, fermentazione di nove- diciassette giorni, eseguita con il controllo continuo della temperatura. E’ stata anche costruita la macchina della tostatura. Oggi arriviamo a sessanta persone solo per la cernita e sbucciatura del cacao che é tutta eseguita a mano. In totale oggi diamo lavoro a circa 150 persone. L’anno scorso abbiamo fatturato 360 mila euro.
Ma perché ha lasciato l’Europa?
Perché qui posso vivere lontano dal caos e dalla superficialità. Mi fa rabbia sentir parlare persone che non hanno competenza. Il know how te lo dà solo vivere nelle piantagioni. Sentire ancora l’odore di posti ancora vergini.