Città del Messico attraverso gli occhi di Francesca

A cura di Maricla Pannocchia

Quando era in quarta superiore, Francesca, originaria della provincia di Venezia, ha vinto una borsa di studio con Intercultura e ciò le ha permesso di trascorrere un periodo all’estero, “Sono stata mandata in Messico, che non era la mia prima opzione, ma la terza.”

Nata con una disabilità non invalidante, una volta finite le scuole, la donna si è messa in cerca di lavoro solo per scoprire che, durante il colloquio, i possibili datori di lavoro guardavano alla sua disabilità e non a lei, per poi non richiamarla. “Questa situazione mi ha fatto sentire frustrata e arrabbiata e così ho chiesto a mia mamma di tornare in Messico per l’estate, per rivedere i miei amici e schiarirmi le idee, avendo in mente d’iscrivermi a un nuovo corso di laurea al mio ritorno”, racconta Francesca.

Con il tempo, però, Francesca ha deciso di non tornare in Italia e si è costruita una vita in Messico. Adesso è moglie, mamma, una professionista che lavora nell’ambito della psicoterapia integrativa ed è molto soddisfatta della sua vita. A chi sogna di trasferirsi in Messico, la donna suggerisce di andarci per un certo periodo per vedere con i propri occhi la vita lì. “C’è da tenere conto di fattori come la poca sicurezza e il traffico, che spesso è infernale” aggiunge Francesca, “tuttavia, sotto molti altri aspetti, qui è possibile sentirsi liberi.”

Francesca Caregnato Città del Messico

Ciao Francesca, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao! Sono una donna, mamma, moglie e professionista di 49 anni nata a Noale, in provincia di Venezia, dove ho vissuto per i miei primi 20 anni. Abito in Messico da 28 anni e, specificamente, a Città del Messico da 20.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Quando ero in quarta superiore all’istituto tecnico per il turismo di Venezia, nel 1991-92, ho avuto la possibilità di fare un anno di scambio culturale all’estero grazie a una borsa di studio vinta attraverso l’associazione Intercultura. Sono stata mandata in Messico, che non era la mia prima opzione, bensì la terza. È stata un’esperienza molto intensa e importante.

Dopo che sono tornata in Italia, ho frequentato la quinta superiore, ho fatto la maturità e poi mi sono iscritta all’università – lingue straniere a Ca’ Foscari – ma dopo poco ho capito che non era la mia strada. Non avevo ancora le idee chiare su cos’altro studiare, così ho cominciato a cercare lavoro, ma non è andata bene. Premetto che ho una disabilità congenita: mi manca l’avambraccio sinistro. Non è una condizione che mi limita e già da giovane sono sempre stata una persona estroversa e proattiva. Lo menziono perché, durante i mesi in cui cercavo lavoro, mi hanno chiamata per fare diversi colloqui ma quando ci andavo, notavo che guardavano alla mia disabilità e non a me, e poi non mi chiamavano più.

Questa situazione mi ha fatto sentire frustrata e arrabbiata e così ho chiesto a mia mamma di tornare in Messico per l’estate, per rivedere i miei amici e schiarirmi le idee, avendo in mente d’iscrivermi a un nuovo corso di laurea al mio ritorno.

È stato quello che ho fatto ma, tre mesi dopo essere arrivata qui, non avevo ancora le idee chiare su cosa studiare. Mi sentivo felice e non volevo tornare in Italia così ho chiesto a mia madre di potermi fermare qui per un periodo “sabbatico”, durante il quale avrei lavorato. Specifico che avevo solo vent’anni ed era il 1995. Per quanto difficile sia stato, soprattutto per i miei nonni e per mio papà, alla fine mia mamma mi ha dato la sua benedizione e così mi sono fermata.

Pochi mesi dopo è venuta a vedere come me la cavavo 

Ora vivi a Città del Messico. Come sei finita proprio lì?

Durante l’anno di scambio culturale ho vissuto con due famiglie, una qui a Città del Messico e l’altra nella città di Oaxaca, a sud. Avevo amici in entrambi i posti e all’inizio non sapevo bene dove fermarmi. Alla fine, mi sono decisa per Oaxaca, dove ho vissuto 8 anni, i primi 3 facendo una vita piuttosto hippie e poi studiando all’università – alla fine mi sono iscritta a Psicologia- e continuando a lavorare alcune ore alla settimana.

Alla fine del corso di laurea avevo chiara la strada che volevo intraprendere – psicologia clinica – e anche il fatto che Oaxaca, all’epoca, non offriva sbocchi accademici di buon livello. Quindi, una volta finiti gli esami, mi sono trasferita qui nella capitale per continuare con il mio internato e il resto della formazione che ho intrapreso per diventare psicoterapeuta.

Cosa ti ha colpita subito del Messico?

Me lo ricordo bene: avevo 16 anni e fui impressionata dalla grandezza, delle distanze, dalla diversità sociale e culturale, dal costante movimento delle persone, dagli odori pungenti e così diversi da quelli che conoscevo.

Francesca Caregnato Città del Messico

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

All’inizio con dispiacere, certamente, soprattutto da parte dei miei nonni e dei miei migliori amici. Alla fine, tuttavia, un po’ tutti mi hanno detto che sapevano che io prima o poi sarei andata via, che l’Italia mi stava un po’ stretta.

Come ti sei organizzata prima della partenza?

Non mi sono organizzata perché non prevedevo di fermarmi. Quando mia madre è venuta a trovarmi per la prima volta, mi sono fatta portare degli abiti. Poi, quando ho avuto più chiara l’idea di stabilirmi e di costruire il mio progetto di vita qui, mi sono fatta mandare vari documenti di cui avevo bisogno per iscrivermi all’università, tra le altre cose. Sono sempre tornata in Italia, almeno ogni anno o poco più, e in ogni viaggio mi portavo qui cose, anche “beni di prima necessità” … come cose da mangiare!

Di cosa ti occupi?

Sono psicoterapeuta integrativa e lavoro nel mio studio. Sono anche docente in un’università privata, dove insegno alle facoltà di psicologia e medicina. Inoltre, sto concludendo un dottorato di ricerca in Bioetica applicata.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Anche se le cose sono cambiate in più di vent’anni, in generale è molto più facile per uno straniero trovare lavoro, soprattutto se si viene da Paesi del primo mondo. C’è quest’idea di una maggior competenza.

Quali sono i settori in cui è più semplice essere assunti?

Decisamente non in quelli pubblici. Direi nel turismo e nei servizi.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

Il Messico è un Paese di contrasti e contraddizioni. Il concetto di stipendio, così come lo intendiamo in Italia, è applicabile soltanto per certe persone e in certi settori. È un discorso piuttosto ampio e complesso.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

Non è possibile condividere certi costi senza capire che la maggioranza della popolazione, quella di cui non si parla e che vive nell’ombra, vive cavandosela con poco e grazie alle proprie reti di sostegno sociale. Sto parlando di persone che non hanno accesso a un’istruzione di qualità, a viaggi all’estero, a proprietà in zone “carine”. Per queste persone, accettare un lavoro significa analizzare se lo stipendio che riceveranno permetterà loro di pagare i mezzi pubblici necessari per raggiungere il posto di lavoro (una media di € 1.50 al giorno), un pasto fuori casa (3-5 Euro in un posto economico) e via dicendo.

È più conveniente fare la spesa al mercato o nei piccoli negozi piuttosto che al supermercato, soprattutto per i prodotti freschi (frutta, verdura, carne, pollo, ecc.). Da un paio di anni a questa parte, molti prodotti di prima necessità costano parecchio. Un chilo di tortillas, che sono come il pane da noi, costa circa 1 Euro; la benzina è più economica che da noi perché il Messico ne è produttore: € 1.20 il litro circa. Affittare una stanza in città per uno studente, ad esempio, è molto costoso: da € 150 a € 250 Euro e sto parlando di una stanza senza troppi fronzoli.

Come funziona, invece, per avviare un’impresa lì come stranieri?

A seconda del Paese di provenienza, in genere è facile: le varie camere di commercio facilitano molto l’iter per qualunque tipo di azienda che voglia entrare nel Paese per investire. Se, invece, è un piccolo negozio, come un ristorante, si affronta la burocrazia locale, straniero o messicano che sia.

Come valuteresti servizi come la sanità, la burocrazia e i mezzi pubblici?

Nelle grandi città – oltre alla capitale, Guadalajara, Monterrey e Puebla- ci sono strutture sanitarie che funzionano bene, anche nel pubblico, ma non tutte e non sempre. Stessa cosa per quanto riguarda l’istruzione. Ricordiamoci che il Messico è un Paese estremamente eterogeneo anche e soprattutto per quanto riguarda i servizi.

I mezzi pubblici stanno migliorando poco a poco ma continuano a essere poco sicuri in tutti i sensi.

Se avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti di Città del Messico?

Toglierei il traffico, prima di tutto! Poi metterei alberi e campi da calcio e basket in zone emarginate e farei in modo di portare istruzione e lavoro alle persone che vi abitano.

Quali sono, secondo te, i pregiudizi più diffusi sul Paese?

Uno dei pregiudizi più diffusi è che il Messico è un Paese di persone pigre, che fanno le cose lentamente e non hanno voglia di lavorare. Un po’ quello che tuttora si pensa del nostro meridione. Nulla di più falso, soprattutto nelle grandi città. Il Messico è uno dei Paesi in cui si lavora più ore (che non va bene, eh, ma purtroppo è così).

Ah, un altro è che i messicani sono bruttini e un po’ ignoranti.

Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

All’inizio ho vissuto con amici poi loro mi hanno aiutata a cercare un alloggio. Più avanti con gli anni, mi sono mossa attraverso annunci. Adesso abitiamo in una casa che era già di proprietà di mio marito.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Delle 16 grandi zone in cui è suddivisa la città (alcaldías), in ognuna ci sono aree più vivibili e con più servizi, e quartieri più o meno costosi. Escluderei Milpa Alta, che è la zona più marginale e anche rurale della città, sicuramente molto più economica in tutti i sensi e anche con meno servizi.

Questa, comunque, è una domanda difficile. Ad esempio, zone molto gettonate tra gli stranieri come Polanco e la Condesa, secondo me sono vivibili solo se si lavora proprio lì, o vicino. Il traffico a Polanco è indecente e le strade della Condesa s’inondando molto facilmente durante la stagione delle piogge. Tepepan, a sud, per nulla famoso tra gli stranieri, è molto tranquillo e vivibile, ma entrarci e uscirci in macchina è un via crucis per almeno 3 ore al giorno, quelle di punta. Certe zone di Cuajimalpa, al nord della città, sono frequentabili soltanto in auto, non si può camminare se non nei centri commerciali, cosa che a me sembra terribile. Altre zone della G. A. Madero sono molto verdi, ma difficili in caso di un’emergenza medica. Insomma, bisogna cercare minuziosamente, perché ci sono tanti posti dove si può vivere bene. Se si hanno bambini, però, credo sia fondamentale vivere vicino alla scuola, altrimenti non è vita.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Sempre con apertura, disponibilità, curiosità e un sorriso.

Come descriveresti le loro vite?

Sono vite in cui i rapporti umani sono molto importanti e dove la solidarietà ha un peso molto più forte che da noi. Quello che si fa quando si sta insieme tende a essere più organizzato, con più particolari. Ad esempio, le feste di compleanno dei bambini sono molto più elaborate che da noi. Più che feste, sembrano mini-luna park!

Com’è una tua giornata tipo?

Quando Emiliano – il mio bambino, che frequenta la 2ª elementare – va a scuola, mi sveglio alle 5:50, preparo la colazione per tutti e il “lunch” per lui, che è la merenda che si porta a scuola. Alle 7:05-7:10 mio marito o io, a seconda dei giorni, lo portiamo a scuola, che comincia alle 7:30. Naturalmente, anche se la scuola è a circa 3 chilometri da casa nostra, c’è da tener conto del traffico.

Tre o quattro giorni alla settimana vado ai giardini che ho vicino a casa con il cane e faccio un po’ di sport, mentre il lunedì faccio yoga su Zoom poi mi preparo per andare allo studio, che si trova molto vicino a casa (750 metri!), dove lavoro 4 giorni alla settimana: lunedì e giovedì tutto il giorno, martedì e sabato solo la mattina. Spesso tra i giardini e il lavoro faccio anche una lavatrice o sistemo qualcosa a casa. Durante il semestre accademico, il mercoledì mattina insegno all’università, dove vado dopo aver lasciato Emiliano a scuola e Billie (il cane) al day-care.

Il lunedì mattina, dopo il lavoro e prima di pranzo, passo al mercato che è tra lo studio e casa nostra per fare la spesa di prodotti freschi. Pranzo sempre tra le 14 e le 16, ora in cui riprendo il lavoro. I due pomeriggi in cui sono allo studio, mio figlio sta con i nonni paterni, che sono bravissimi e si occupano di lui in tutto: pranzo, compiti, lezione di musica un giorno, giocare al parco. Quelli in cui non lavoro, invece, stiamo insieme e andiamo ai giardini con Billie. Il venerdì pomeriggio ci piace andare a pranzo fuori con qualche amica o amico, lo facciamo almeno una volta al mese.

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La sera ceniamo verso le 19.30-20.00. Mio marito lavora in centro, su Reforma, e ci mette circa 1 ora e mezza per tornare a casa. Poche volte riusciamo a cenare insieme e, quando arriva a casa, spesso Emiliano è già a letto. Il sabato, invece, stanno insieme tutto il giorno mentre la domenica facciamo qualcosa tutti e tre. Almeno un giorno alla settimana cerchiamo di andare a pranzo dai miei suoceri.

Ho poco tempo libero e in genere lo uso per andare avanti con la mia tesi del dottorato e per altre cose come andare dalla parrucchiera, fare qualche commissione o incontrare amici.

Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

Non avere la mia famiglia di origine e le amicizie di una vita vicino. Qui, però, ho costruito rapporti solidi con persone che non solo ammiro, ma su cui posso contare. Oltre alla famiglia che ho costruito con mio marito e mio figlio, ho una famiglia non di sangue a cui appoggiarmi, che mi è stata accanto quando ho avuto problemi di salute o quando sono diventata mamma, che è stato sicuramente il periodo in cui ho sentito maggiormente la mancanza della mia gente.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

Prima di tutto, diventare mamma, ma anche la laurea, il master e aprire il mio studio. Questa è forse la cosa di cui sono più orgogliosa, dopo la mia famiglia: aver costruito una carriera solida qui.

C’è una comunità d’italiani? Ne fai parte?

Sì. Quando sono arrivata in città e stavo ancora finendo l’università, e poi durante la prima specializzazione e il master, ho lavorato per 8 anni come insegnante d’italiano all’Istituto Italiano di Cultura. Lì ho costruito amicizie con cui sono tuttora in contatto, per lo più con italiani molto integrati qui, quasi tutti sposati con gente del posto.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi lì?

Consiglierei di plasmare le proprie aspettative su basi reali e attuali. Ill Messico è un Paese in cui vivere serenamente è difficile a causa dei pericoli e dell’insicurezza che abbiamo ed è una realtà da considerare. Tuttavia, è bello viverci perché molte altre cose sono facili e, da altri punti di vista, ci si sente liberi.

Io direi loro di venirci varie volte e di confrontarsi con persone che hanno valori analoghi e uno stile di vita simile a quello che pensano di creare, per poter mettere insieme i pro e i contro.

Se dovessi creare l’itinerario per qualcuno che vuole andare in Messico per la prima volta, quali luoghi includeresti?

Città del Messico > Puebla > Oaxaca (città, altipiano e spiagge) > San Cristóbal de las Casas.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Tantissime cose, a cominciare dall’essere adulta. La cosa più bella che mi ha insegnato il Messico, e in particolare Oaxaca, è la fede. Qui la mia spiritualità è maturata in un modo profondo, forte e che vivo quotidianamente.

Il Messico mi ha anche insegnato a godermi il presente e quello che ho in un certo momento nonché a essere flessibile e aperta al fatto che le situazioni possono essere meravigliose anche se non sono esattamente come a volte penso che debbano essere.

Ho anche imparato a mettere in ordine le priorità di un incontro, capendo che possono mancare cose che prima ritenevo essenziali -come un bagno occidentale – e che oggi vedo come accessorie, perché l’importante sono i rapporti umani, le interazioni.

Ah, ho imparato che non tutti i peperoni si possono grigliare come in Italia: quelli piccanti bisogna sempre arrostirli interi, onde evitare di dover fuggire di casa lasciando le finestre aperte per almeno un’ora, come mi è successo una volta…

Progetti futuri?

Finire il dottorato ed esportare il risultato del mio lavoro all’estero, Italia compresa. M’interessa anche viaggiare di più per lavoro, come a volte mi capita, con progetti accademici e formativi che mi mettano in contatto con persone di formazioni diverse, in un contesto di inter e trans disciplina.

Conoscere la Sicilia e viaggiare di più fuori e dentro l’Italia, soprattutto in Sud America.

Per seguire e contattare Francesca:

E-mail: francesca.caregnato@anahuac.mx

Instagram: @francesca_arbol

Sito web:

https://arboldelavida.mx/?fbclid=IwAR1sEeb1XAZ-WV_zKcYgFcZx2GSekAnhMdxTtcxm75RxtGcVSbnozQukfdo