Alfonso Campisi, un siciliano in Tunisia

Tunisia e Sicilia: un legame che dura dal 1830. Ne sa qualcosa Alfonso Campisi, professore ordinario di Filologia italiana e romanza all’Università di Tunisi. Originario di Trapani, proprio come i suoi trisavoli un secolo fa, anche lui ha deciso di trasferirsi in questo paese del nord Africa. Ci vive ormai da più di 25 anni.

Grande studioso della storia della comunità siciliana in Tunisia, ha scritto libri e fondato la prima cattedra universitaria al mondo di Lingua e Cultura siciliana. «In Tunisia – dice – si vive bene. È un paese ospitale, aperto all’altro, alla sua cultura e alla sua lingua. La vita tranquilla e defiscalizzata è un’attrattiva per molti pensionati». Tra passato e presente, ecco cosa ci ha raccontato della sua vita da expat.

Di Enza Petruzziello

Alfonso Campisi

Professore ordinario di Filologia italiana e romanza alla Facoltà di Lettere dell’Università de la Manouba di Tunisi, scrittore e presidente della prima Cattedra al mondo di lingua e cultura siciliana, Alfonso Campisi fa parte dell’emigrazione siciliana in Tunisia, arrivata qui nel 1830.

Nato a Trapani, ma ormai cittadino tunisino, vive da più di 25 anni a La Marsa, banlieue nord della capitale della Tunisia. È il 1997 quando approda a Tunisi con un breve contratto “d’expatrié” francese. A 22 anni, infatti, subito dopo la laurea, prosegue gli studi in Francia con un dottorato. In questo Paese – al quale sarà sempre riconoscente – insegna per 10 anni tra scuola e università. Quando gli viene offerta la possibilità di andare a Tunisi per due anni, decide poi di restarci stabilmente.

Da poco ha ottenuto per merito la nazionalità tunisina, tra le più difficili al mondo da ottenere. Per lui, questa seconda nazionalità fa parte della sua identità e della sua storia famigliare. Campisi è, infatti, un discendente di emigrati siciliani a Tunisi. I suoi antenati, avevano deciso di investire nella “terra promessa”, avviando un’attività nel settore dei trasporti. Tra passato e presente, ecco cosa ci ha raccontato.

La sua vita da expat inizia molto presto. Ad appena 22 anni, subito dopo la laurea, prosegue gli studi in Francia con un dottorato. Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta ad andare all’estero?

«Ancora prima della laurea, vinsi il concorso di lettore di lingua italiana nei licei francesi e ricordo che preparai la mia tesi di laurea lavorando già da assistente al lycée Guy Mollet ad Arras, nel nord della Francia. Dopo la laurea a Palermo in lingua e letteratura francese ad indirizzo filologico, m’iscrissi al master in lingua e civiltà francese a Parigi e in seguito al dottorato in filologia romanza sempre a Parigi».

Rimane in Francia per dieci anni, insegnando a scuola e all’università. Che anni sono stati quelli francesi?

«Gli anni francesi sono anni importantissimi per la mia formazione. La Francia ti forma come nessun altro paese al mondo, dandoti uno spirito cartesiano e una strategia di ricerca scientifica. È un metodo tutto francese che ti servirà proprio nella vita e nel come porgerti verso la vita. Il mio primo posto é stato all’università di Lille III Charles de Gaulle e facevo la navette da Lille a Dunkerque. Poi ebbi il trasferimento all’università a Parigi, città alla quale sono estremamente legato per motivi personali e professionali, ma troppo cara per poterci vivere bene e approfittare di tutto quello che questa stupenda città ti offre. Vado comunque spesso a Parigi anche per i week-end».

Nel 1997 si trasferisce a Tunisi, inizialmente doveva restarci solo due anni, ma poi ha deciso di rimanerci stabilmente. Che cosa l’ha conquistata della capitale tunisina a tal punto da farne la sua nuova casa?

«Desideroso dei colori e del clima del mediterraneo, chiesi al ministero francese un posto di “expatrié” e mi venne assegnata la Tunisia, paese del quale mi innamorai subito e che poi divenne il mio paese, senza mai dimenticare ovviamente le mie origine siciliane e italiane. A Tunisi, trovai un po’ di Sicilia, tanto quanto basta, un po’ di Francia e tanto Mediterraneo, con i suoi forti colori, sapori e una luminosità che pochi paesi possono avere. Trovai il mio habitat e il mio equilibrio».

Tunisi è conosciuta in tutto il mondo per ospitare alcune delle attrazioni più belle al mondo: dalla Medina al Museo Nazionale del Bardo fino alla Piazza della Kasbah. Bella da visitare in ogni stagione. Ma come è vivere qui?

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«Purtroppo la Tunisia é conosciuta male dagli italiani, il tutto si limita a visite in alberghi impersonali che non caratterizzano di certo la millenaria cultura tunisina. Un paese ricco di storia, di tradizioni, di influenze linguistiche e culturali. Basta prendere una vera guida, come tante ce ne sono, e tuffarsi nella Medina, nei palazzi nobiliari, nei ristoranti tipici, nelle maisons d’hôtes, quello che in Italia chiamiamo B&B, nei souks non turistici…Insomma un salto nella storia ottomana, italiana, spagnola, francese, tunisina, per non parlare poi della Tunisia cartaginese e romana, di Cartagine, Dougga, Thuburbo Majus, Thysdrus, Sufetula, Bulla Regia… Cartagine in confronto, é nulla. Consiglio sempre di evitare i packages turistici, perché se dovete passare una settimana al “Club Mediterranée”, restate a casa vostra. La Tunisia, da nord a sud é cultura, un paese di cultura, il viaggio si prepara e seriamente».

tunisia

Per quanto riguarda la qualità della vita, i costi e la sanità?

«In Tunisia si vive bene, le difficoltà sono quelle che puoi avere in un qualsiasi altro posto. È un paese ospitale, aperto all’altro, alla sua cultura e alla sua lingua. L’amore che hanno i tunisini per l’Italia e per la lingua, cultura e cucina italiana é enorme e fanno di tutto per mettere il turista a proprio agio. Il costo della vita é più basso rispetto all’Italia, anche se in questi ultimi anni il carovita é aumentato, ma rispetto all’Italia le bollette di luce, gas, acqua sono irrisorie e poi bisogna dire che con l’euro si é avvantaggiati, visto che il cambio é favorevole. Non era il caso quando in Italia c’era la lira, allora molto più debole rispetto al Dinaro tunisino.

Per la sanità bisogna dire che il paese gode di un sistema sanitario per certi versi invidiabile e medici preparatissimi. Peccano certe condizioni di vetustità degli ospedali pubblici, gratuiti ai tunisini così come l’istruzione dalle elementari all’università, ma le cliniche private sono delle vere cliniche svizzere, dove pulizia, organizzazione e preparazione dei medici, caratterizzano questi luoghi di cura. Insomma se devi fare una visita dallo specialista o un esame più complesso, paghi circa 25 euro e vai in giornata, nessuna attesa. Ecco perché tanti italiani vengono a curarsi in Tunisia».

Dopo circa 25 anni di permanenza qui, ha ottenuto dall’attuale Presidente della Repubblica tunisina Kaïs Saied la nazionalità tunisina per merito, dopo tre anni dalla sua richiesta all’ex Presidente Beji Caïd Essebsi. Ottenerla, infatti, non è semplice. Perché è così difficile?

«Ottenere la nazionalità tunisina non é per niente semplice, anzi, é difficile. È una delle nazionalità al mondo più complicate da ottenere, più difficile di quella svizzera. Io ebbi la fortuna di ottenerla per merito 3 anni fa, da parte del presidente della Repubblica Kais Saied e di diventare così anche cittadino tunisino. Conservo ovviamente la doppia nazionalità. Ottenere la nazionalità tunisina non é così semplice e dico già da ora che non dipende per niente dalla religione, che non viene in effetti mai citata come condizione. La legge, é quella relativa al codice della nazionalità tunisina del 1956 ed é una legge laica, voluta dall’allora presidente della repubblica Habib Bourghiba».

Che cosa ha significato per lei questo riconoscimento?

«Per me é stato molto importante, perché ha sancito la piena appartenenza a questo paese, che sentivo già mio da generazioni, visto che i miei antenati si stabilirono in Tunisia nel 1830 e ripartirono nel 1944, alla fine della seconda guerra mondiale, anno in cui avvennero le prime e uniche espropriazione dei beni degli italiani in Tunisia da parte delle autorità francesi. Non ci fu invece nessuna espropriazione all’indipendenza del paese nel 1956».

Nonostante sia andato via dall’Italia molto giovane, le sue radici siciliane sono ancora molto forti. Nel 2016 ha deciso di fondare la “Cattedra Sicilia per il dialogo di culture e civiltà” presso l’università La Manouba, intitolata a Vincenzo Consolo. Il suo corso, nello specifico, quali tematiche affronta?

«Visto che le relazioni tra la Sicilia e la Tunisia sono molto forti e antiche, nel 2015 decisi di fondare la prima cattedra universitaria al mondo di Lingua e Cultura siciliana, una cattedra che prevede anche l’insegnamento della lingua siciliana e che promuove il dialogo interculturale tra le due rive del Mediterraneo. Il siciliano viene quindi insegnato come un vero e proprio corso di lingua straniera agli studenti iscritti al master 1 e 2 in lingua e letteratura italiana. Ma non solo questo, il corso ha come scopo di riavvicinare le due rive e i due paesi, la Tunisia e l’Italia, attraverso lo studio delle tradizioni culturali e popolari, detti, abitudini, modi di dire e di fare, gestualità… comuni ai due paesi. Attraverso lo studio del siciliano, le due rive sono più vicine».

Il rapporto tra Sicilia e Nord Africa ha radici antiche. Come nasce e come si sviluppa la storia della comunità siciliana in Tunisia?

«La storia dei Siciliani in Nord Africa é antichissima. Da oltre 25 anni m’interesso allo studio della storia della comunità siciliana di Tunisia ma anche d’Algeria e Marocco. In Tunisia, la comunità siciliana era numerosissima e arrivata nel paese nord africano nella prima metà dell’800, si parla di oltre 150.000 siciliani su 70.000 francesi, anche se queste cifre sono da prendere sempre con le pinze. Parliamo di siciliani arrivati in Tunisia in maniera legale, ma non dimentichiamo che moltissimi, arrivarono illegalmente, con imbarcazioni di fortuna, senza documenti, fuggendo dalla mafia o dalla giustizia e arrivando in Tunisia in pochissime ore, molti cambiarono anche nome e fecero nuovi documenti. Insomma, delle storie di emigrazione che conosciamo già e che é doveroso ricordare a tutte le nuove generazioni italiane».

Sono stati numerosi i siciliani partiti fra l’Ottocento e il Novecento. Pescatori, muratori e piccoli imprenditori che hanno dato vita a tante piccole comunità siciliane in Tunisia. Che cosa speravano di trovare nel Paese?

«I siciliani, ma non solo i siciliani, anche calabresi, sardi, campani, fuggirono dalla miseria. Io parlo di siciliani e mi sembra anche doveroso fare questo distinguo, perché i siciliani componevano più del 90% della comunità italiana, formata anche dai livornesi. Nel corso delle mie ricerche e dopo una lunga maturazione, ho così deciso di differenziare la comunità siciliana dalle altre, perché la siciliana presentava origini storiche, culturali e linguistiche diverse dalle altre comunità ed era anche la più numerosa, come ho appena detto. Moltissimi rimasero qui per 4 o 5 generazioni, integrandosi perfettamente al tessuto sociale, culturale e linguistico tunisino, vivendo a stretto contatto più con i tunisini che con i francesi, che devo dire non furono mai molto clementi con i siciliani. Potremmo dire che i siciliani costruirono buona parte della Tunisia, bonificarono dei terreni e introdussero diverse culture. Era la manovalanza dei francesi e certi siciliani furono molto abili anche a risalire la scala sociale, diventando piccoli imprenditori e agricoltori o allevatori. Molti però restarono sempre proletari. Molti documenti dell’epoca, descrivono in realtà il siciliano come un tipo irascibile, geloso e a volte anche pericoloso. Ricordiamoci, che le autorità francesi dell’epoca, gridavano al “danger italien”, al pericolo italiano e su molti giornali francesi di Tunisia come “La Dépêche” si leggeva di fermare i clandestini italiani che prendevano d’assalto le coste tunisine. Che la Tunisia era francese e non italiana! Le ricorda nulla?».

Già. Potremmo dire oggi come allora, anche se a parti inverse. Qual è stato l’apporto linguistico, culturale e in generale nel modo di vivere dei siciliani in Tunisia?

«L’apporto linguistico in particolare é stato immenso. I siciliani vivevano in quartieri popolari, anche nella “città araba” che si differenziava dalla “città europea” e in strettissimo contatto con i tunisini, maltesi, greci. Quindi l’apporto fornito dalla comunità siciliana alla lingua “siculo-tunisina”, un melange di siciliano, arabo tunisino, francese e maltese, é rilevante. Ma non dimentichiamo la cucina, che ha influenzato nei due sensi i siciliani e i tunisini. Se pensiamo anche che il primo piatto più mangiato e diffuso in Tunisia, sono i “maccaruna”, la pasta e non di certo il couscous, questo potrebbe già farci riflettere».

In che modo è visibile ancora oggi la presenza dei siciliani nel Paese?

«La presenza é visibile nell’architettura, anche nei modi di fare, nella lingua tunisina. Insomma, le contaminazioni sono innumerevoli. Basta avere un occhio avvertito e conoscere bene sia l’una che l’altra cultura, per rendersi subito conto di tutto ciò che resta in Tunisia di siciliano».

Lei stesso è erede di quella migrazione siciliana a Tunisi. I suoi antenati, imprenditori di Trapani avevano deciso di investire nella “terra promessa”, avviando un’attività nel settore dei trasporti. Che cosa le raccontavano i suoi nonni di quegli anni?

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«I miei trisavoli, i Caruso arrivarono in Tunisia nel 1830, ben 13 figli, stabilitisi tutti in Tunisia. Molti di questi lavoravano nel commercio marittimo, altri nei trasporti e un Salvatore Caruso fondò anche una società di trasporti di autobus per collegare Sfax a Tunisi. Ancora oggi, uno di questi autobus, é visibile al museo dei trasporti di Sousse. La nonna materna, Vitina Caruso, mi raccontava spesso della Tunisia e di tutte le sue cugine che partirono quasi per la maggior parte in Francia prima o dopo l’indipendenza della Tunisia. Nonna mi raccontava le storie di Giufà, preparava il couscous “arabo”, cioè tunisino e tante altre specialità culinarie. Con lei, iniziai a contare e a conoscere i primi termini in arabo e in francese».

Tornando all’attualità, nelle ultime settimane nel Paese si sono riaccese le contestazioni contro il Presidente Kaïs Saied. I tunisini sono scesi in piazza riproponendo le stesse richieste del 2011: pane, lavoro, dignità. Come descriverebbe oggi la situazione politica e sociale della Tunisia?

«Io darei un’altra lettura, una lettura diversa da quella data dagli europei e dalla stampa occidentale. Dopo il 2011, non possiamo dire di certo che la situazione economica sia cambiata, o forse sì, cambiata in peggio. Ma cambiata in peggio nell’arco dei 10 anni, che in Tunisia vengono appellati come il “decennio nero”, la “décennie noire”, per indicare proprio che gli ultimi dieci anni non sono di certo stati facili per noi tutti, dove anche le libertà artistiche, intellettuali e individuali sono state intaccate. Non dimentichiamoci l’occupazione da parte degli islamisti della facoltà di lettere dell’università de la Manouba, nella quale insegno. Il carovita purtroppo colpisce tutti e soprattutto i ceti più modesti, ma questo forse non accade anche in Europa, dove ritroviamo i pensionati e giovani disoccupati a raccogliere cibo nella spazzatura? Una rivoluzione non si fa in dieci anni, una democrazia non si costruisce in soli dieci anni…Lo spirito democratico si costruisce nel corso di generazioni e questo, molti l’hanno dimenticato! Io, continuo a credere in questo paese, nel mio paese e nella donna tunisina e mi creda, questo paese si salverà grazie al coraggio della donna tunisina. Altro che società patriarcale!

Ma questo paese si salverà soprattutto se gli altri paesi “amici”, lo lasceranno libero di esprimersi e di evolvere e non sosterranno più i movimenti retrogradi portatori di un’ideologia medievale. In ogni caso, credo che siamo tutti d’accordo nel dire che la democrazia, come oggi é concepita in Occidente, é ormai un sistema desueto, da rivedere completamente».

Che consigli darebbe agli italiani che stanno pensando di trasferirsi in Tunisia? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi da tenere in considerazione?

«L’italiano che vuole trasferirsi in Tunisia deve essere un tipo aperto alle differenze culturali in generale, d’altronde non si può pensare di andare in un paese straniero e di voler mangiare la pasta all’amatriciana. Ogni spostamento in un paese diverso dal proprio, presuppone l’accettazione dell’altro, della sua lingua e della sua cultura e questo é un concetto universale. I vantaggi sono tanti, poter fare una vita tranquilla e anche “defiscalizzata”, visto che il governo tunisino defiscalizza tutte le pensioni e questo spiega anche il perché dell’arrivo in massa di moltissimi pensionati in Tunisia. Insomma in Tunisia, si continua a vivere come in un qualsiasi altro paese mediterraneo, con i suoi ritmi, pregi e qualità».

Ha mai pensato di ritornare in Sicilia?

«Mai! E neanche in Italia devo dire».

Progetti per il futuro? Può parlarci del suo ultimo romanzo, Premio Flaiano 2021 che in aprile uscirà in traduzione italiana, araba e inglese?

«Il mio ultimo libro “Terres Promises”, Terre promesse, pubblicato dalla casa editrice Arabesques, vincitore di 5 Premi letterari italiani e tunisini, tra cui il prestigioso Premio letterario Flaiano 2021, sarà pubblicato in aprile in lingua italiana e araba e qualche mese dopo anche in inglese. E il mio decimo libro e il romanzo sarà presentato alla 37° fiera internazionale del libro di Tunisi che avrà luogo dal 28 aprile al 7 maggio, una fiera molto importante alla quale partecipano diversi paesi, tra i quali anche l’Italia. Nel frattempo, sto pensando alla stesura di un nuovo romanzo».

Terres Promises alfonso campisi

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