Simone: vivo da anni in Kenya! Vi racconto la mia storia

A cura di Maricla Pannocchia

Appassionato di fotografia e viaggi, dopo aver cercato di “sfondare” come fotografo nella sua città natale, Roma, Simone ha deciso di provare con un’altra sua passione e ha cominciato a viaggiare per il mondo lavorando come animatore turistico. “Ho fatto carriera nel settore e sono diventato responsabile di zona” racconta l’uomo, “A un certo punto, l’azienda per cui lavoravo mi ha chiesto di andare in Kenya per 15 giorni. Sono partito con una valigia con pochi vestiti, convinto, appunto, di restare per due settimane, ma quei 15 giorni sono diventati mesi e poi anni!”

Adesso Simone vive a Mombasa con la sua compagna, per metà keniota e per metà ugandese, dove lavora per una società italiana che opera sul territorio, producendo e commercializzando apparecchi acustici e attrezzature per centri audiologici. “Purtroppo, molte famiglie vivono in povertà” racconta Simone, “Quando avevo la mia agenzia di animazione, ho dato lavoro solo a ragazzi del posto, che continuano a svolgere quel mestiere anche senza di me. Con il lavoro che svolgo ora, posso aiutare una grossa fetta della popolazione che, purtroppo, ha questa problematica.”

A chi sogna di trasferirsi in Kenya, Simone consiglia di andarci più volte, per periodi più lunghi di quelli di una classica vacanza. “Qui ci sono molti pensionati che vengono durante i mesi invernali italiani” dice l’uomo, “Tuttavia, pensare di venire per lavorare come dipendente per un’azienda locale non ha senso, perché lo stipendio medio qui è di circa 250 Euro il mese. Se, però, volete avviare una vostra attività e avete un po’ di budget, il Kenya potrebbe essere il posto giusto per voi!”

Simone Millozzi Mombasa Kenya

Ciao Simone, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, sono una persona di 46 anni e ho studiato come fotografo all’istituto Roberto Rossellini di Roma. Uscito da scuola, ho seguito la mia passione e ho cercato di “sfondare” come fotografo a Roma ma con scarsi risultati allora ho deciso di seguire la mia seconda passione, che era viaggiare, e ho cominciato a lavorare prima come fotografo poi come animatore nei villaggi turistici per poter viaggiare. L’ho fatto per più di 10 anni, visitando diversi Paesi e anche tutta l’Italia.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Proprio questo lavoro da “nomade” mi ha fatto capire che l’Italia mi era un po’ stretta. Tra una stagione e l’altra, ho provato anche qualche lavoro da ufficio come il grafico pubblicitario e, in poco tempo, ho compreso che la vita da impiegato non era per me.

Adesso abiti a Mombasa, Kenya. Come sei finito proprio lì?

Proprio con il lavoro da animatore. Dopo aver fatto carriera in questo settore, sono diventato responsabile di zona, il che significa che si gestiscono più strutture turistiche viaggiando su e giù per tutta la zona assegnata. Un giorno, l’agenzia per cui lavoravo mi ha chiamato e mi ha chiesto se volessi andare ad aprire una nuova struttura in Kenya. Sarebbe stato un lavoro di 15 giorni, peccato che poi i 15 giorni sono diventati subito tre mesi, poi sei e poi anni… tanto da aver aperto una mia agenzia di animazione proprio in Kenya!

È stato facile adattarti alla vita in città?

Diciamo che, venendo da Roma, che è una grande città, adattarmi alla vita da città è stato l’ultimo dei problemi. Il difficile, ma poi neanche tanto, se sei una persona aperta di pensiero, è stato adattarsi alle differenze culturali e di quelle ce ne sono molte

Prima di partire, avevi qualche dubbio in particolare? Erano fondati o no?

Veramente no, anche perché, quando sono partito la prima volta, l’idea era di stare 15 giorni che poi sono diventati, come già detto, tre mesi. Già durante quei tre mesi, avevo deciso di tornare in Italia per chiudere tutto quello che avevo in sospeso e poi tornare al più presto in Kenya.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

La mia famiglia, dato che venivo da anni di viaggi e stagioni dove stavo via anche tre o quattro mesi di seguito, si è stupita più che altro della mia decisione di fermarmi in un posto. Gli amici e i conoscenti indottrinati dalla televisione mi dicevano che ero un pazzo e che l’Africa è “pericolosa”, cosa, ovviamente, nella maggior parte dei casi, falsa.

Simone Millozzi Mombasa Kenya

Come ti sei organizzato prima della partenza?

Non vorrei essere ripetitivo ma, pensando di partire per 15 giorni, il mio bagaglio era molto leggero, qualche t-shirt e due pantaloncini, quindi molto easy. Diciamo che, vista la situazione, ho fatto molto shopping quando tutto è cambiato. A livello mentale, devo dire che non ci ho pensato poi molto ma ho seguito l’istinto.

Di cosa ti occupi?

Ora sono cresciuto, se così si può dire, e, anche grazie all’avvento del Covid-19, ho cambiato del tutto settore. Adesso come primo lavoro sono un Area Manager per una società italiana che lavora qui sul territorio, producendo e commercializzando apparecchi acustici e attrezzature per centri audiologici.

Come seconda vita sono un speaker radiofonico e conduco, per due web radio differenti, due dirette diverse ma sempre basate sulla mia passione: i viaggi.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Trovare lavoro per un’azienda locale non è proprio una scelta saggia, se si considera che uno stipendio medio di un operaio/impiegato è di circa 250 Euro al mese. Se, invece, si vuole aprire una propria attività, come hanno già fatto molti italiani qui, sia nel settore della ristorazione sia in quello del turismo, allora è molto conveniente come costi. Terza ipotesi, la mia scelta, ma confesso che non è facile, sono stato molto fortunato.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

Per il costo della vita keniota sì ma un italiano che decide di venire a vivere qui non si “adatta” allo stile di vita di un keniota medio quindi no, se intendiamo per gli italiani che vorrebbero venire alla ricerca di un posto di lavoro stipendiato.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

Vi faccio l’esempio che faccio sempre a chi mi chiede se la vita in Kenya è cara. Quando ero a Roma , prima di partire vivevo in un monolocale con angolo cottura e bagno in periferia, da solo, e pagavo circa 500 Euro mensili di affitto. Quando sono arrivato qui ho preso la medesima tipologia di casa in affitto ma qui pagavo 60 Euro mensili.

Come funziona, invece, per avviare un’impresa lì come stranieri?

Si può fare e lo hanno fatto in tanti. Come per tutte le nuove attività ci vuole un impegno di tempo e di denaro ma, se si fa un paragone con l’Italia, i costi sono molto più bassi. Un mio amico si è costruito una casa per realizzare un b&b con circa 5 camere e, per tutto il progetto, non ha speso più di 50.000 Euro.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

Per vivere qui, in teoria, basterebbe il visto turistico ma ogni sei mesi c’è l’obbligo di uscire dal Paese, altrimenti ci sono diversi permessi di soggiorno che si possono ottenere con il tempo. Per lavorare c’è sempre bisogno di un permesso di lavoro da richiedere all’immigrazione.

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Come ti sei mosso per cercare un alloggio?

La cosa migliore è muoversi tramite conoscenze. Purtroppo, specialmente per gli europei, se non sai come muoverti, c’è sempre il rischio di fregatura, quindi, se qualcuno avesse intenzione di venire qui per un periodo più lungo di quello di una vacanza standard, consiglio sempre di venire più di una volta e sondare il terreno prima di decidere di trasferirsi.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Nelle città come Mombasa direi le zone periferiche, perché anche qui il centro città è più costoso. Nella zona più gettonata dagli italiani, che è tutta l’area di Malindi, consiglio una località che si chiama Watamu. Ci ho vissuto per i primi 7 anni ed è meravigliosa.

Come sei stato accolto dalla gente del posto?

Alla grande! Se c’è qualcosa che non manca mai qui è il sorriso della gente! Sono tutti sempre molto amichevoli e rispettosi verso il turista in generale perché sanno che quello del turismo è uno dei settori più importanti e non vogliono assolutamente che si possa spargere la voce che il Kenya è un Paese non accogliente o addirittura pericoloso, anche se i media europei non aiutano in questo.

Come descriveresti le loro vite?

Molto rilassate, qui va tutto “pole pole” come dicono loro in swahili e cioè “piano piano.” Se hai bisogno di fare qualcosa con urgenza qui, ti puoi mettere l’anima in pace, non ci riuscirai mai… ma dopo un po’ capisci che, anche a livello di stress, questa filosofia di vita aiuta.

Com’è una tua giornata tipo?

Non ho esattamente una mia giornata tipo perché, essendo una sorta di rappresentante, mi muovo su appuntamenti e a volte parto magari per Nairobi (la capitale) per una o due settimane. Lì, per esempio, stiamo collaborando con l’Associazione Nazionale Sordi Kenya, per raccogliere fondi per acquistare apparecchi acustici per i bambini di alcune scuole per sordi. Gli unici due appuntamenti fissi sono il martedì e il mercoledì dalle 09.00 alle 10.00, quando ho le mie dirette radio.

Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

La difficoltà maggiore la affronto tutti i giorni, perché, purtroppo, una parte dei kenioti è convinta che in Europa siano tutti ricchi e, quindi, quando vede un “mzungo” (europeo in swahili) deve scucirgli più quanti più soldi possibile. Questo succede nei negozi, con i taxi e le moto taxi (qui usate tantissimo) e con tanti altri servizi. Per evitare questo, con il tempo impari i prezzi e i costi di più o meno tutto così da non farti più fregare.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

Il Kenya è un Paese comunque povero e ci sono tante famiglie e persone che hanno delle reali difficoltà economiche. Nel mio piccolo, ho sempre cercato di dare una mano. Con il lavoro che facevo prima, l’agenzia di animazione, assumevo esclusivamente a ragazzi del posto, e devo dire che sono riuscito ad aiutarne diversi insegnandogli un mestiere, che ancora oggi fanno anche senza di me. Oggi, invece, do una mano aiutando una fascia forse ancora più sfortunata, che è la comunità di non udenti, purtroppo molto numerosa qui.

Alcune zone del Kenya sono prese di mira dai turisti italiani ma non è così per Mombasa, giusto?

Sì, come detto prima, la zona di Malindi e dintorni. Lì c’è un quartiere della città che è chiamato Little Italy perché è pieno di italiani residenti, spesso pensionati che si trasferiscono lì nei mesi freddi dell’Italia. A Mombasa, essendo comunque una città più grande, seconda solo a Nairobi, c’è invece un turismo più vario.

Come valuteresti servizi come la sanità, la burocrazia e i mezzi pubblici?

Eh, questo è un punto dolente, la sanità è praticamente quasi del tutto privata, quindi, se stai male, le opzioni sono due: o paghi o ti fai un’assicurazione privata.

La burocrazia è lunga anche qui ma funziona se sai a chi chiedere (sempre il discorso delle conoscenze).

I mezzi pubblici non esistono ma ci sono dei bus privati (quelli a 9 posti, per intenderci) che passano ovunque quasi ogni minuto, sono tantissimi e, se non ti spaventa una guida un po’ spericolata, con due soldi ti portano ovunque.

Simone Millozzi Mombasa Kenya

Quali sono, secondo te, i pregiudizi più diffusi sul Kenya?

Da parte dei kenioti verso i visitatori, come ho detto, c’è un pensiero molto diffuso, “Se sei bianco, sei ricco.”

Da parte dei visitatori europei il peggio, secondo me, è che si pensa che le donne siano tutte prostitute. È vero che qui c’è un alto tasso di prostituzione ma io ho conosciuto anche tante brava ragazze, tra cui la mia compagna, con cui vivo da più di 6 anni.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi lì?

Armatevi di tanta pazienza e, se cercate un posto da dipendente per un’azienda locale, non ci pensate proprio. Se, invece, volete aprire una vostra attività e avete piccolo budget, forse il Kenya potrebbe essere il posto giusto per voi.

E quali a chi vorrebbe andarci in vacanza?

Pagate sempre con la moneta locale, informatevi sul cambio, e attenti al rischio d’innamorarvi del posto. Il Mal d’Africa esiste realmente.

Gestisci anche due radio, entrambe inerenti il mondo dei viaggi. Ti va di parlarcene?

Sì, parlo di viaggi in entrambe le radio. Si tratta di due web radio, quindi, per ascoltarle basta scaricare l’app o cercare il sito. Il martedì su Radio Morgan intervisto italiani che, come me, hanno deciso di vivere all’estero. Siamo praticamente ovunque, dai classici come Londra o Parigi fino ad arrivare in posti più lontani come Cambogia o Australia, passando per Tunisia, Egitto e tanti altri. Il mercoledì, invece, su Radio PeopleFly, do consigli a chi vuole scoprire il mondo viaggiando, quindi, ogni settimana parlo di una località diversa, da visitare come turista ma non solo.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

L’unica cosa che farei di diversamente è impegnarmi di più nello studiare l’inglese nel periodo scolastico. Da buon italiano ho cominciato a viaggiare che conoscevo solo tre parole in inglese poi, facendo di necessità virtù, ho dovuto impararlo sul campo ma sarebbe stato più facile se avessi avuto una base più solida.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Lo stile di vita “Pole Pole” (Piano Piano) e la sua filosofia di prendere la vita non con meno serietà ma in una maniera, forse, più leggera.

Simone Millozzi Mombasa Kenya

Progetti futuri?

Non sono un tipo da progetti troppo alla lontana ma, in un prossimo futuro, è probabile il matrimonio con la mia compagnia, che è per metà keniota e per metà ugandese.

Per seguire e contattare Simone:

Instagram: Simon__Faraday