Ritorno al “proibizionismo”: perché in Svezia vietare l’alcool non conviene

Di Gianluca Ricci

 

Che gli svedesi abbiano sempre avuto un debole per le bevande alcoliche è assodato, così come è assodato che l’alcolismo da quelle parti ha rappresentato e rappresenta tuttora una delle piaghe sociali più gravi.

È per questo che il governo ha sempre tentato di gestire il fenomeno, provando a controllarlo con metodi simili a quelli usati dagli Stati Uniti ai tempi del proibizionismo, senza però ottenere apprezzabili risultati.

Oggi i supermercati in Svezia possono vendere liberamente solo sostanze alcoliche che non superino i 3,5° di volume, ovvero poco più che qualche birra annacquata.

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Per acquistare birra, vino e superalcolici ci si deve recare in uno dei pochi Systembolaget, rivendite gestite dallo Stato, distribuiti nel Paese: se ne trova uno ogni 22mila abitanti, giusto per dissuadere dal consumo, e sono aperti poche ore al giorno, mai nel fine settimana.

In questa ottica sono vietati la pubblicità e le offerte speciali, e sempre in questa ottica lo Stato applica una tassazione particolarmente elevata, in base alla gradazione alcolica della bevanda: oltre al 25% di quella che può essere paragonata alla nostra Iva, una bottiglia di Vodka può subire un ulteriore rincaro del 40%, mentre una di vino può subirlo al 14%.

Acquistare qualcosa da portare ad una cena fra amici si può dunque trasformare in un vero e proprio salasso, tanto più che si tratta di prodotti importati dall’estero nella loro totalità e dunque già cari di per sé.

Ecco perché capita che qualche commerciante accontenti la propria clientela vendendo sottobanco bottiglie acquistate per vie traverse, ed ecco perché molti giovani, più che nel resto d’Europa secondo un recente sondaggio, vengono attratti dal fascino del proibito delle sostanze alcoliche e ne diventano dipendenti.

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Il proibizionismo, d’altronde, non funziona: negli ultimi anni, nonostante queste restrizioni, il consumo di alcol in Svezia è aumentato in percentuali significative.

Vietare dunque è inutile: molto meglio puntare su una sana politica di informazione che miri ad un consumo consapevole anziché insistere su politiche che la storia stessa, in più di una circostanza, ha clamorosamente bocciato.