Alla Redazione di Voglio Vivere Così Francesca ha raccontato la sua storia e descritto una terra segnata ancora dalla divisione. Eccola qui di seguito.
“Sono nata il 20 novembre del 1980 a Putignano, nel Barese. Ho studiato a Napoli Scienze Internazionali e Diplomatiche, facoltà molto interessante, che mi ha dato la possibilità di conosce da vicino Paesi lontani con tutte le loro problematiche e ha stimolato in me il desiderio e la necessità di guardare con i miei occhi queste realtà. Direi che sono state la città di Napoli, in particolare, le persone incontrate, i miei studi e la mia tesi di laurea sul popolo saharawi ad indirizzarmi verso la cooperazione internazionale e le organizzazioni non governative.
Infatti lavorare con le Ong era il mio sogno e l’ho realizzato. Sono stata in Burundi, Ruanda e Palestina. Ora è la volta della Bosnia. In realtà, a differenza della Palestina, non è stata proprio una scelta, ma una opportunità arrivata all’improvviso. Certo, sarebbe stato interessante per me venire qui, ma non avevo mai avuto l’occasione. Ero più interessata al Medioriente e al Mediterraneo. I Balcani mi vanno benissimo.
“Ho lavorato per qualche mese all’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, è successo tutto lì. Quando è scaduto il contratto, mi hanno proposto di essere Delegata della Regione in una Ong locale: l’ADL di Mostar (Agenzia della Democrazia Locale), perché la Regione è il partner leader dell’Agenzia.
L’Agenzia fa parte di un gran network. Infatti queste Adl sono presenti in tutti i Balcani, Croazia, Albania, Macedonia, Serbia, Bosnia e fra un po’anche in Kossovo. Sono nate per volontà del Consiglio d’Europa e in qualche modo lo scopo è avvicinare questi Paesi all’Europa, avviare un processo di democratizzazione che permetta loro di entrare nell’Unione Europea. In particolare la nostra ADL si occupa di progetti per i giovani, formazione e inserimento lavorativo, iniziative di micro-credito. Lavoriamo anche con l’infanzia, oltre ad essere partner di molti altri progetti europei. Al momento, ad esempio, sono responsabile di un progetto con la Regione Friuli Venezia Giulia, la Provincia di Gorizia e una Ong di Trieste per formare un gruppo di giovani al giornalismo e video giornalismo e per far sì che poi questo diventi un lavoro.
Io sono a Mostar da poco, solo due mesi. Di sicuro resterò fino a dicembre, e forse, anche oltre.
La città è veramente un incanto, molto graziosa. Ciò che la caratterizza è il famoso Vecchio Ponte- Stari Most, distrutto durante la guerra e ricostruito grazie all’Unesco nel 2004. La città è attraversata dal fiume Neretva – fiume smeraldo- che ha davvero un bel colore smeraldo. Intorno al fiume e al ponte ci sono tantissimi ristorantini caratteristici, negozietti e piccole botteghe.
E’ una città turistica, proprio grazie a questo ponte. E’ facilissimo arrivarci, traghetto e bus o aereo e bus. A pochi chilometri c’è Majugori. Quindi Mostar accoglie anche molto turismo religioso. Il sabato e la domenica è pieno di italiani. Negli ultimi anni Majugori è diventata un business. Sicuramente è una città molto interessante per le diverse religioni presenti. In maggioranza cattolici e mussulmani. Pur essendo una piccola città, ha moschee e chiese. La mia casa è fra una moschea e una chiesa. C’erano anche una chiesa ortodossa e una sinagoga ormai distrutte.
Di certo i segni della guerra sono visibili dal punto di vista politico, sociale e strutturale. Moltissimi edifici sono distrutti e facilmente visibili. La città è praticamente divisa in due, la parte croata cattolica e la parte bosniaca mussulmana. Ci sono due università, una cattolica, una mussulmana. I giovani non si integrano facilmente. L’unica, possiamo dire “zona franca”, è rappresentata da un centro culturale giovanile Abrasevic (nome di un poeta socialista macedone della fine dell’800), che è molto frequentato da giovani di tutte le età che trascorrono pomeriggi e serate. Organizzano mostre, concerti e festival. Lì si trovano i ragazzi che non credono nel nazionalismo. Dal punto di vista politico non cambia molto. I consiglieri sono divisi e rappresentano entrambe le parti. Certo la situazione migliora anno dopo anno, ma non possiamo dire che sia una città unita. I consiglieri sono metà mussulmani, metà cattolici. Si aggiungono tre socialisti. Fino a qualche anno fa la città era divisa in sei municipalità, ora ce n’è solo una.
Le ferite della guerra sono ancora vive. Sì, e il ricordo del conflitto brucia ancora. In ogni famiglia ci sono persone decedute durante la guerra. Parlo di quelli che hanno deciso di rimanere nelle proprie case. Molti giovani per fortuna sono venuti in Europa durante quegli anni.
Per me è stato facilissimo integrarmi, non ho avuto alcun problema. In fondo sono molto simili a noi, direi agli italiani meridionali, abbiamo molto in comune. Le donne? Direi che la situazione è quasi come in Italia. Potrebbe andar meglio, ma lavorano in tutti gli ambiti. Quelle attive sono tante”.
La lingua? Non è facilissima, ma con la volontà si fa tutto, io la sto imparando. Il clima è come il nostro. Forse un po’ più umido per via del fiume.
Piatti tipici sono la trota alla griglia, il kebab, il burek (una specie di pizza con carne o spinaci o formaggio e patate) e vari piatti con verdure, tipo il “sarma”, involtini di foglie di vite con riso e menta.
Per ora non ho trovato aspetti negativi. La cosa peggiore e più incomprensibile per noi è questa divisione netta della città, ma per un turista che trascorre pochi giorni, è un aspetto impercettibile”.
Francesca Sbiroli
Francesca in basso a destra