Lavorare a Barcellona insegnando: Marta Bisceglia

Di Paola Grieco

Marta Bisceglia, 30 anni, nata a San Severo in Puglia, trasferita in Abruzzo con la famiglia dall’età di 3 anni. Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà Orientali con specializzazione in Arte contemporanea asiatica, conseguita alla Sapienza di Roma: con questo biglietto da visita, Marta ha lasciato l’Italia. Oggi, vive a Barcellona insegnando cinese e italiano ai dipendenti del Barcelona FC e ci racconta il suo percorso.

Marta, quando sei partita dall’Italia e per quali motivi?

La prima volta che sono stata via per qualche mese è stato nel 2009. Sono andata a Pechino per fare un corso di lingua. Poi nel 2014 sono tornata a Shanghai per delle ricerche, vivendo lì un mese. Però sono sempre tornata in patria fino alla conclusione dei miei studi.

Il post-laurea è stato a dir poco traumatico. Avevo due scelte: accettare qualunque lavoro in Italia o trasferirmi in Cina. Ma, pur avenco ricevuto diverse offerte di lavoro in Cina (come insegnante d’italiano), non avevo i soldi per trasferirmi, per non parlare delle notevoli difficoltà burocratiche collegate a un trasferimento in questo paese. Mi sentivo completamente bloccata nel mio paesino!

Era il 2015 e, durante le vacanze natalizie, ho incontrato un mio vecchio amico che si stava trasferendo a Tenerife e mi sono accodata a lui. Avrei fatto di tutto pur di scappare! L’idea era quella di guadagnare un po’ di soldi e poi trasferirmi in Cina o ritentare la carta del Dottorato a Roma. Dopo la laurea, infatti, avevo partecipato al bando, l’avevo passato ma senza ottenere la borsa di studi.

Ho vissuto quindi a Tenerife per 7 mesi. Lì ero pronta a fare la cameriera o la receptionist: qualunque cosa pur di non rientrare in Italia! Ma ho avuto la fortuna di iniziare a insegnare italiano e cinese. Tenerife, seppur bellissima, rilassante e calda, non era abbastanza stimolante per me e, così, mi sono trasferita a Barcellona.

Marta Bisceglia

Perché hai scelto Barcellona, a parte per il fatto, forse, che ti trovavi già in Spagna?

Ho deciso di trasferirmi qui dopo un breve viaggio di piacere dove ho avuto un vero e proprio colpo di fulmine! Mi sono innamorata di Barcellona e ho deciso che questa sarebbe potuta diventare “la mia città”. Ho sempre pensato che Barcellona fosse una città incredibile e quando sono arrivata, come semplice turista, ne ho avuto la conferma. Mi sono subito sentita “a casa”, ho pensato che qui avrei potuto fare qualunque cosa. E così è stato! Ma mi sono trasferita senza soldi, senza casa e senza lavoro e questo ha complicato un po’ le cose, almeno all’inizio.

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Insegno italiano e cinese. Lavoro per diverse scuole private di lingua e anche privatamente. Nella maggior parte dei casi, insegno cinese ai bambini, preparo studenti universitari per esami di lingua cinese, preparo ragazzi che vogliono prendere una certificazione di lingua italiana per andare in Italia con il programma Erasmus. Da ottobre 2016, lavoro per il Barcelona FC: insegno italiano e cinese ai dipendenti dell’impresa.

Quali consigli puoi dare a un italiano (o italiana) che vuole seguire il tuo stesso percorso?

Di armarsi di tanta pazienza! Forse un giorno anch’io vorrò un lavoro stabile con un contratto a tempo indeterminato ma, per il momento, mi piace l’idea di non avere un posto fisso, di potermi gestire da sola gli orari e gli spostamenti, di programmare solo corsi da ottobre a giugno, senza sapere se il successivo anno accademico avrò ancora degli studenti. Non so ancora se questa sia la mia vera natura o se stia cercando solo di adattarmi alla precarietà. Questo tipo di lavoro è instabile ma se ci si crea una buona rete di contatti, un buon rapporto con gli alunni e le scuole, se si prova a essere flessibili – ma non accondiscendenti -, alla fine si può fare… e anche bene!

In generale, consiglio di trasferirsi con almeno una di queste tre cose: casa, lavoro, soldi. Non fate come ho fatto io! Avere qualcuno che può consigliarti e starti vicino può, inoltre, tornare utile. Ma la verità è che ognuno deve trovare la propria strada, in fondo è per questo che ci spostiamo… per metterci alla prova, per lottare e migliorare, per tornare in patria da “eroi”, perché vogliamo sempre di più. Non so se succeda per insoddisfazione, precarietà, pazzia, coraggio, ambizione, curiosità… o tutte queste cose messe insieme. Emigrare, nella maggior parte dei casi, è una necessità ma questo percorso rappresenta anche una sfida con se stessi, un viaggio alla scoperta dei propri limiti.

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Quali consigli puoi dare a chi voglia vivere bene e sentirsi integrato, nel tuo caso a Barcellona e/o in Spagna o, più in generale, a chi si trasferisce a vivere in un altro Paese.

Nel caso della Spagna, sicuramente parlare bene almeno lo spagnolo. La lingua è la manifestazione della cultura di un Paese, il suo patrimonio più grande che lo identifica. Quindi, se ci si vuole sentire integrati, penso che sia il minimo. Smettiamola con questo “itagnolo”, sia da un lato che dall’altro, per favore!

Per quanto riguarda Barcellona, non saprei dire. Spesso mi ritrovo a parlare quattro lingue nella stessa serata… direi semplicemente di essere aperti. Nessuno si sposta senza portare con sé la propria madrepatria, le proprie tradizioni, il proprio vissuto. Il mio consiglio è quello di essere rispettosi nei riguardi del Paese ospitante e, al tempo stesso, far conoscere il proprio background. Ci sono molte cose che non condivido qui ma preferisco non fare paragoni. Continuo a portare con me il bello dell’Italia, a farlo conoscere all’estero e, al tempo stesso, a prendere tutto quello che di bello può offrire Barcellona.

A livello pratico, nel primo periodo, mi ha salvata – e continua “a salvarmi” – il tango. In generale, credo che seguire un corso (di ballo, di lingua, di sport) possa essere utile a conoscere nuove persone, staccare dai doveri e dai sacrifici della quotidianità, rilassarsi e condividere con persone di nazionalità diverse la stessa passione.

Marta Bisceglia Barcellona

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A Barcellona è sufficiente parlare castigliano o si deve (o è meglio) parlare anche il catalano?

Nel mio caso specifico, non ho mai avuto la necessità di parlare in catalano, anche perché quando insegno faccio full-immersion. La lingua è strettamente correlata alla cultura di un Paese e la Catalogna – benché non sia (ancora) uno Stato – ha una sua lingua e non sarebbe sbagliato impararla. In alcuni contesti lavorativi è necessario ma i catalani parlano in castigliano senza problemi e per rispetto nei confronti di chi il catalano non lo sa. Direi che “non si deve” ma “sarebbe meglio” parlare il catalano, per capire meglio la cultura locale.

Infine, a loro fa piacere anche solo sapere che si è predisposti a farlo. Ma questo vale ovunque, anche a un cinese fa piacere sentire parlare la sua lingua dallo straniero che vive nel suo Paese. Questo è sinonimo di apertura, di vero dialogo, di interculturalità e scambio.

Come vedi l’Italia da Barcellona?

La vedo come sempre, con i suoi pregi e i suoi difetti. Non entro in merito alle questioni politiche, istituzionali o economiche perché non mi competono e ogni Paese ha i suoi problemi, però la vedo leggermente “immobile”. A dire il vero, “non la vedo più”. Non m’informo più sulle cose che succedono lì, non m’interessa. Ora vivo qui.

Pensi che tornerai in Italia?

Non credo, magari mi sposterò in un altro Paese. Rimango legata alle tradizioni, ovviamente, alla lingua e alla sua evoluzione perché la insegno, se succede qualcosa d’importante, mi preoccupo ma non lo vedo più un posto dove vivere.

Forse cambierò idea, però l’Italia è solo un posto in cui sono nata, che mi ha dato una cultura, una lingua e mi ha formata in un certo senso ma non l’ho mai sentita “casa”. Ogni sei mesi torno dai miei familiari e dai miei amici, loro sono la mia casa e la portano a Barcellona quando mi vengono a trovare.

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Hai qualche progetto nel cassetto di cui vorresti parlarci?

Sì, sto scrivendo un libro sul graffiti writing in Cina. Pare che una casa editrice in Italia sia interessata a pubblicarlo e sono in fase di trattativa. Mi piacerebbe anche presentarlo qui e tradurlo in spagnolo, un giorno.

Quest’intervista ha luogo in uno dei momenti “storici” per Barcellona e la Catalogna (rif. Il processo indipendentista catalano). Che ne pensi di questa rivendicazione indipendentista della Catalogna versus la Spagna?

Penso che sia una cosa che riguardi solo loro. Forse solo chi ha subito una dittatura, e continua a subirla, può capire. Si tratta di cultura, storia e ovviamente, anche di economia. Molti, anche in Italia, pensano che sia solo una questione di soldi e tasse ma io non sono d’accordo. E questo è stato confermato dal fatto che cittadini comuni, donne, uomini, anziani si siano fatti “malmenare”, mentre alcuni politici si mettevano al riparo. Non credo sarà mai possibile, ma l’ideale sarebbe permettere un referendum, un dialogo. Io sarò anche più anarchica di loro, ma non concepisco nemmeno la monarchia parlamentare.

Quello che è successo l’1 ottobre è stato orribile. Il referendum era stato dichiarato illegale ma questo non può permettere a uno Stato di agire con la violenza. E l’Unione Europea non può continuare a guardare da un’altra parte, sia per la repressione messa in atto che per la percentuale del sì raccolto dai partiti indipendentisti nel referendum e, più recentemente, nelle elezioni. Una percentuale che è nettamente aumentata, proprio grazie alla repressione voluta da “Don Rajoy”.

Per contattare Marta Bisceglia:  

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