Per questo Aaron Fait, nato a Bolzano trentasette anni fa da madre ebrea, ha abbandonato la vita comoda e di prestigio che gli aveva offerto un Istituto di ricerche di Berlino e si è trasferito nel deserto del Negev, in Israele, a 600 metri sul mare.

Deserto di Israele

Quel paesaggio lunare, fatto di canyon e crateri, da un anno è diventato la sua casa. Ma anche l’ambiente ideale per portare avanti il suo progetto: trasformare terreni aridi in orti, vigneti e serre.

Laureato in Biologia a Tel Aviv, nel ’99 Fait segue un Master in Scienze ecologiche e ambientali. Cinque anni più tardi consegue il dottorato in Biochimica delle piante al Weizmann Institute for Sciences in Israele. Vive tre anni a Berlino come ricercatore associato all’Istituto di Fisiologia molecolare delle piante Max Planck.

L’anno scorso è tornato in Israele come ricercatore all’Università Ben Gurion – Istituto Blaustein di ricerche sul deserto, nel dipartimento di Biotecnologie delle terre aride. E continua ad impegnarsi nello studio di sistemi che possano migliorare la qualita’ della semenza (grano, orzo) o del frutto (pomodoro, vite) di fronte ad un futuro prossimo di scarsità di acqua e aumento della popolazione. Il suo obiettivo è trovare colture in grado di mantenere il “yield or the quality of the seed” (tra cui contenuto di olio o aminoacidi) ad un regime di irrigazione minore o irrigazione ad acqua salina.

E nella sua sfida Fait non è solo. Gli sono vicini la moglie Silvia e i figli, Yonatan, Rachel e Reuven. Insieme vivono nel campus dell’Universita’ a Sede Boqer, costituito da 400 famiglie. Che organizzano corsi di yoga, stage di teatro, escursioni in bicicletta.

Sì, è vero, ha trovato il contesto ideale per i suoi studi. Ma come si fa a vivere nel deserto?

Il fascino del deserto mi ha rapito. La prima volta sono arrivato alle cime di Sede Boqer per il Mar Morto, attraversando Israele in largo sulla strada che porta a Gerusalemme. Poi giù a 400 mt. sotto il livello del mare. Un caldo tropicale. Mi sono ritrovato in pieno deserto. Qui uccelli migratori sostano, piante tropicali trovano una minuscola nicchia ecologica, E intorno il vento, il sale, il mare bluastro, le montagne. I suoni sono cotonati, di notte il vento caldo non ti dà pace, di giorno basta allontanarsi dalle chiacchiere delle persone per trovarsi immerso nel tuo io. Siamo rimasti così un mio amico svizzero ed io, la notte di fronte alla Giordania, nei nostri sacchi a pelo. Sopra le rovine di Qumran, le stelle.

Rovine di Qumran deserto

Cosa ricorda con maggiore intensità di quella prima volta nel deserto?

All’alba quando la luce e’ ancora calda, rossa, il deserto ti dona colori forti, forse perché inaspettati o perché paradossali. Mi sono chiesto: “Cosa fa un fiore tanto colorato in mezzo a rocce scarne, nude? Perché tanta bellezza regalata a nessuno? Ma, no, e’ solo un’ illusione, ho pensato.

Perché?

Il deserto vive con il suo tempo meno frenetico di un bosco sopra Bolzano, meno denso e rumoroso. Vive con movimenti impercettibili, saggiamente centellinati. Il tempo nel deserto assume altre dimensioni. Viene scandito dal calore e dalle piogge. Gli animali respirano al calar del sole, le piante godono della luce all’alba e poi ne soffrono durante il giorno, il verde delle piante del deserto e’ un verde-grigio-argentato, che si trasforma nel verde solito alla prima pioggia, quando innumerevoli pianticelle si fanno spazio tra le pietre e la terra appena bagnata in una corsa veloce contro l’inaridimento dei granelli che soffocano le radici.

Il deserto, dice, è imprevedibile.

Il deserto sorprende. Ieri ha piovuto, in una giornata di pieno sole. In poche ore la pioggia ha inondato la valle sotto Sede Boqer. La terra del deserto rifiuta l’acqua, ne e’ impermeabile. E le piante del deserto sono un tesoro di adattamento ed evoluzione. Sono il segno della selezione naturale. Qui ogni tipo di creazionismo cade, si sbriciola di fronte ai milioni di anni accatastati nei fianchi delle montagne, come ferite aperte, più o meno profonde, per il movimento a onda di acque ancestrali. Una volta felci e piante simili a palme erano parte del paesaggio. Una volta il mare bagnava la sabbia. Un tempo quando dell’uomo non c’era nemmeno odore.

coltivare nel deserto

E poi?

Meair Shalev mi ha regalato il secondo incontro con il deserto. Con il libro “Nella sua casa nel deserto” (il titolo in inglese, In his house in the wilderness, oppure in ebraico beveito’ bamidba’r) quell’autore mi ha ricordato il fascino femminile del deserto. Meair Shalev lo descrive come una donna che lo va a trovare nella sua casa in mezzo al deserto. Con lui la donna cammina sui sentieri aridi, sabbiosi, solcati da pietre levigate. Ad un tratto la donna scomparirà. Ma il protagonista del libro continuerà a vederla nelle colline intorno a se, nei movimenti delle linee rotonde all’orizzonte spinti dall’aria incandescente.

Lei parla di fascino “erotico” del deserto.

Sì, quello della creazione, del passaggio dalla sterilità alla fertilità. E’ il fascino di carezze instancabili del vento e dell’ acqua, dell’origine. Midbar (deserto) in ebraico e’ piu’ vicino all’inglese wilderness. La radice di midbar è costituita da tre lettere “dalet” “beit” “resh”, le stesse della radice di “parola” (davar). Gli ebrei hanno ricevuto la Torah b’midbar. E sono stati condotti nel midbar per poter ricevere la davar di dio in un luogo senza distrazioni, nel luogo in cui se taci, parla il vento.

Ma cos’è per lei il deserto?

Il deserto per l’ebreo e’ stato un passaggio dell’anima, una maturazione dello spirito, la via verso la purificazione, dopo la confusione, l’idolatria e la schiavitù. Il deserto pulisce, fa rinascere. Nel deserto ritrovi l’equilibrio, le radici perdute, il rispetto per te, la tua individualita’ e la coscienza di te stesso. E poi ti fa vibrare.

Ci parli del terzo incontro con il deserto.

E’ avvenuto dopo tre anni di lavoro a Berlino. In quei tre anni ho dato tutto me stesso per accorciare il periodo di postdottorato all’estero, obbligatorio per ogni israeliano che voglia entrare nel mondo accademico in Israele. Sono tornato nel deserto a Sede Boqer durante un lungo giro di conferenze, in un giorno d’estate. Il silenzio era assoluto. Ho visto il deserto negli occhi dei ricercatori dell’Istituto, l’ho visto nei loro interessi e nella passione che mettevano per capire il deserto e conviverci, per custodirlo, arginandone l’avanzata.

Cos’altro ha scoperto?

Il fascino di una ricerca ancora fondata su di una missione. Dalla fisica all’ecologia, dall’architettura alla biotecnologia, tutto gravita intorno al “deserto”. Del resto, come ho detto, l’uomo in qualche modo ha ricevuto la Torah, la sapienza di Dio nel deserto e ora l’uomo porta la sapienza che ha acquisito per rendere questo luogo fonte di vita, lavoro e crescita, non transitoria.

lavorare nel deserto

Cosa prevede per il futuro?

Israele e’ al 70% arido o semi-arido, la desertificazione cambierà la faccia del Mediterraneo nei decenni a venire e porterà la siccità in piena Europa. Bisogna ascoltare il deserto e la sua parola, per conoscerlo. Il luogo in cui vivo è un grande laboratorio dove si può arrivare a questo scopo.

E veniamo alle ricerche dell’Istituto.

Sì, molto interessanti. Nel deserto, si è scoperto, ci sono alghe che, se sottoposte a luce intensa o a scarsità di azoto, producono un pigmento rosso, l’astaxantina. Vengono coltivate all’aperto, in serre o all’interno di tubature trasparenti. Quando il pigmento raggiunge la densità giusta, viene estratto e venduto ai coltivatori di salmoni di tutto il mondo, che lo mettono nei mangimi per colorare le carni del pesce. Questa è una parte acquisita di recente di un progetto iniziato da Sammy Boussiba e Avigad Vonshak (tra i capostitipi dell’Istituto).

coltivazioni nel deserto israeliano

Le sue ricerche?

Semenze oleoginose per energia alternativa e impatto della desertificazione su raccolti quali il frumento.

Lei studia nel deserto come combattere la fame nel mondo. Il deserto, dunque, fonte di vita per una popolazione che aumenta e l’acqua che diminuisce in modo progressivo.

Sì, ma aggiungo. Non sarà un sacco di riso in più a sfamare i poveri del pianeta. La cosa importante è coltivare un campo insieme. Chissà forse lo capiranno un giorno. Solo così si potrà debellare la fame nel mondo.

http://cmsprod.bgu.ac.il/Eng/units/bidr
http://bidr.bgu.ac.il/bidr/General.aspx?ItemId=3042
http://bidr.bgu.ac.il/bidr/General.aspx?ItemId=3177

Intervista a cura di Cinzia Ficco

cinzia.ficco@virgilio.it

Aaron Fait deserto