Francesca: ho riscoperto me stessa e il viaggiare lentamente

A cura di Maricla Pannocchia

Francesca ha lasciato l’Italia giovanissima, nell’ormai lontano 2008, stanca della sua città natale, Milano. “Per i primi anni, ho viaggiato come fanno molti giovani zaino in spalla, con il focus sul mondo esterno” racconta la donna, “Ma, a un certo punto, quel focus si è spostato e si è centrato sul mio mondo interiore.”

Dopo aver viaggiato nel sud-est asiatico e aver visto situazioni di povertà e difficoltà, Francesca ha deciso di studiare e lavorare nella cooperazione internazionale, “Ho preferito lavorare per le piccole organizzazione piuttosto che nei programmi delle Nazioni Unite, tuttavia, anche quelle esperienze sono state utili.”

Quando ha rischiato di perdere la vita, Francesca si è resa conto di non aver messo nero su bianco anni e anni di esperienze in giro per il mondo e così ha dato vita al suo libro “La valigia blu”, il cui titolo è ispirato alla sua fedele compagna di viaggio sin dall’inizio. Lo scopo di Francesca è quello di aiutare altre persone a diventare nomadi digitali e, soprattutto, a essere libere di vivere come e dove vogliono. Per questo, fra le altre cose, la donna organizza ritiri spirituali nel suo amato Perù, dove, sulle meravigliose Ande, è ancora possibile sentire la connessione con la Madre Terra.

francesca-giovannini

Ciao Francesca, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, sono Francesca e sono di Milano, anche se ho lasciato l’Italia nel lontano 2008. Dopo aver girato tutto il mondo, ora lavoro come coach per aspiranti nomadi digitali, aiutando altri cercatori di libertà a trovare il lavoro del cuore e basato sulla passione. Inoltre, organizzo ritiri spirituali qui in Perù, nel paesino sulle Ande nel quale risiedo. Nella mia vita precedente, sono stata cooperante e ho lavorato nei cinque continenti.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Ho lasciato l’Italia all’età di 22 anni, nel 2008, dopo la laura, conseguita presso la Statale, in Lettere e Filosofia. Da qualche tempo maturavo un forte desiderio di nuovi lidi e una forte apatia verso Milano, a causa della fine della relazione con il mio primo amore, e perché mi sentivo alienata dalla realtà milanese nella quale tutti i miei amici, nessuno escluso, dopo la laurea finivano a lavorare in ufficio. Io sentivo che ci doveva essere un’alternativa, anche se non sapevo quale, e così, dopo la mia laurea e nonostante il parere contrario di tutti, parenti e amici, mi presi un anno sabbatico e partii per l’Australia. Inutile dire che quell’anno sabbatico non è mai finito.

Adesso vivi in Perù ma, prima di parlare della tua vita lì, facciamo un salto indietro. Cosa puoi raccontarci del tuo viaggio nel mondo nel 2008?

Dopo aver lavorato un anno in Australia, ho viaggiato nel sud-est asiatico e sono stata messa a confronto con la povertà. Da lì è nato in me un forte bisogno di aiutare e fare la differenza. Per questa ragione, ho deciso di diventare cooperante e, dopo un master in cooperazione internazionale preso in Germania, fino al 2017 ho lavorato per organizzazioni internazionali in giro per il mondo, in Colombia, Tanzania, Kenya e Nepal.

Direi che il mio viaggio è stato dapprima un viaggio di scoperta esteriore, del mondo e dei suoi colori, per poi trasformarsi pian piano in un viaggio interiore. La maniera in cui viaggiavo originariamente è cambiata quando ho avuto una crisi, durante il mio periodo di lavoro con il Ministero degli Affari Esteri a Nairobi, Kenya. Mi sono resa conto che quello che pensavo di volere, il mio grande sogno, non corrispondeva alla realtà e mi sono scontrata con un ambiente di lavoro falso e gerarchico nonché con un lavoro che era tutto fuorché avventuroso come avrei voluto. Non avendo altri desideri esterni con cui poter rimpiazzare quel sogno infranto, entrai in una profonda crisi interiore. Da quel momento non solamente io sono cambiata, ma anche il mio modo di viaggiare lo è. Ora sono più interessata al viaggio lento, all’esplorazione profonda culturale e a mettere radici qui nella mia casina sulle Ande, continuando a viaggiare ma avendo questa come base.

francesca-giovannini

Pensi che il modo di viaggiare sia cambiato da allora a oggi?

Penso che il modo di viaggiare ma anche di vivere sia cambiato rispetto a quando ho iniziato.

Non dobbiamo dimenticarci d’imparare a essere presenti nelle nostre vite e non nasconderci dietro al telefono o agli schermi. Specialmente noi, che cerchiamo d’ispirare altre persone a fare scelte di vita più libere, a volte ci troviamo a uscire di casa con l’intenzione di voler raccontare un’esperienza, filtrando quindi l’esperienza stessa della vita, piuttosto che fare l’esperienza e poi, nel caso, condividerla dopo averla integrata. Per certi versi, la vita e il viaggio prima erano meno stressanti. Ora siamo più connessi, abbiamo molte più informazioni prima d’intraprendere un viaggio, ma al tempo stesso quello che guadagniamo in comfort, se non stiamo attenti, rischiamo di perderlo in “avventura” e spontaneità. Questo può accadere se, per esempio, guardiamo troppo il cellulare e le esperienze degli altri, o se viviamo le giornate registrando tutto quello che facciamo. È già qualcosa esserne consapevoli ma poi bisogna liberarsi dalla programmazione e dalla dipendenza tecnologica ed essere presenti. Voglio che la tecnologia per me sia uno strumento per poter vivere dove voglio ma non voglio esserne schiava.

Inoltre, rispetto a prima, la società è molto più globalizzata.

Quando ero in India, tanti anni fa, ho conosciuto un anziano, viaggiatore da tutta la vita, e ricordo che tra le tante conversazioni che abbiamo avuto, una in particolare mi è rimasta impressa.

Mi disse: ‘Mi dispiace per voi giovani, perché per trovare qualcosa di veramente unico e speciale dovete davvero viaggiare lontano, mentre 50 anni fa tutto ciò che dovevo fare era volare da qualche parte per poter atterrare in un mondo completamente diverso.

Ora ovunque si vada tutto sembra sempre più uguale e ha perso la sua unicità. Bisogna andare sempre più lontano per essere in grado di trovare anche solo un assaggio della verità che ho avuto la fortuna di trovare.’

Aveva ragione, infatti.

Per questo, per tutta la mia vita da viaggiatrice, ho sempre cercato di andare lontano, per poter trovare piccoli gioielli lontani dalla ‘civiltà’, in luoghi dove la natura è protagonista assoluta e le persone e le infrastrutture sono semplici, tutto si muove al ritmo della natura e il presente è l’unico tempo concesso.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti di fronte alla tua scelta?

La mia famiglia è conservatrice e mi ha impartito un’educazione molto rigida. Non posso dire che fossero contenti ma, dopo 16 anni, si son dovuti abituare e penso che abbiano finalmente capito che la vita è mia e di nessun’altro. Certo, immagino che per nessun genitore sia bello avere la propria figlia dall’altra parte del mondo. In ogni caso, da 16 anni a questa parte, torno a trovarli tutti gli anni e mi fermo in Italia un mesetto. È un impegno che ho preso e lo mantengo ogni singolo anno.

francesca-giovannini

Come ti sei organizzata prima della partenza?

Parliamo della partenza per l’Australia. A quei tempi ero una studentessa e facevo la ragazza immagine in giro per l’Italia. Ho lavorato qualche mese come ragazza immagine in tutta Italia e ho messo via i soldi per partire. Ovviamente, la prima partenza è stata la più dura, dato che era la prima volta e non parlavo una parola d’inglese. Ero una giovane ragazza senza esperienza. Da quel momento in poi però è stato tutto molto più facile. Si è trattato di rompere il ghiaccio.

Che consigli daresti a chi vorrebbe fare il giro del mondo?

Per girare il mondo occorre una buona dose di adattamento e apertura mentale. V’imbatterete in culture completamente diverse dalla vostra e la parte più arricchente dei viaggi, per me, è quella di cercare culture ancora non contaminate dalla globalizzazione, perché è grazie alla diversità che possiamo apprendere. Inoltre, fate un’assicurazione medica, che durante i viaggi può succedere di tutto. Come dico sempre, buttarsi sì, ma con il paracadute 😉 Io, personalmente, consiglio di viaggiare in modo “slowmad”, lentamente, assaporando i posti e approfondendo le culture con cui veniamo a contatto. Io ho vissuto in 15 Paesi, ma in ognuno ho trascorso tra i 3 mesi e i due anni (a parte il Perù, dove ho vissuto quasi quattro anni tra il 2017 e il 2020 per poi ritornarvi lo scorso settembre, perché lo sento come la mia casa).

Qual è, secondo te, la disponibilità minima di tempo e denaro per farlo (ovviamente cambia da persona a persona ma in linea di massima)?

Naturalmente, dipende dal nostro stile di vita ma anche da che parte del mondo si vuole visitare. Il continente africano, in linea di massima, è caro per gli stranieri se si vuole fare la vita da expat (ci tengo a dirlo perché non me l’aspettavo assolutamente) mentre il sud-est asiatico, e alcuni Stati in Sud America, come la Bolivia, alcune aree del Perù, del Messico, dell’Argentina o della Colombia sono ancora economiche. Ovviamente, dipende da dove si va. Io in Messico ho vissuto nella bellissima San Cristobal de Las Casas, in Chiapas, che è economica, ma lo Stato di Quintana Roo è caro come l’Europa. In generale, servono almeno 1.000 Euro al mese volendo viaggiare in questi luoghi e alloggiando in ostelli o hotel economici. I locali qui vivono con 300 dollari al mese per cui, volendo risiedere per un periodo di tempo, il costo della vita si abbassa notevolmente. Viaggiando in modo lento si risparmia, perché si ha il tempo di conoscere i costi del cibo e dei trasporti locali e trovare stanza o appartamenti in gruppi Facebook locali invece che su piattaforme come Airbnb.

Ovviamente, si possono trovare altri modi per risparmiare e continuare a viaggiare, uno di questi è quello di fare volontariato, anche se la scelta di dove si va in questo caso è più limitata, e dipende dall’offerta. Conosco tanta gente che fa parte di programmi di volontariato, come il WWOOF, uno di quei programmi che offre lavoro in realtà rurali, circa cinque ore al giorno in cambio di vitto e alloggio. Questo è ottimo per ridurre notevolmente il budget del viaggio. Ovviamente per Europa, Australia o Stati Uniti la storia cambia completamente e il costo di vita per i viaggiatori è molto più alto.

Hai lavorato per organizzazioni internazionali in giro per il mondo. Ti va di parlarcene?

Ho lavorato come rappresentante Paese per una ONG in Nepal per due anni, dove mi sono occupata dei progetti relativi alla ricostruzione di scuole post-terremoto. Precedentemente, con il bando vinto delle Nazioni Unite, ho lavorato per il ministero degli affari esteri italiano, presso l’ufficio della cooperazione italiana di Nairobi. Ancora prima, ho svolto stages presso due ONG nel settore della protezione dei minori, in Colombia e in Tanzania. Onestamente mi sono trovata molto meglio nei contesti delle piccole ONG rispetto a quelli istituzionali e burocratici delle Nazioni Unite, perché sentivo di avere più contatto diretto con i beneficiari, ma ringrazio anche l’esperienza per le Nazioni Unite perché mi ha fatto capire come avrei voluto vivere la mia vita e mi ha fatto spiccare il volo verso la direzione del cuore.

Di cosa ti occupi adesso?

Aiuto le persone a diventare nomadi digitali e organizzo ritiri spirituali e sciamanici in Perù.

Sono nomade dal 2008, ma prima ero solo nomade, senza essere digitale, e l’essere nomade digitale mi ha aperto la possibilità di vivere in questo remoto paesino sulle Ande. Sono molto grata di questo e voglio che tutti abbiano la possibilità di compiere la stessa scelta di libertà e creare uno stile di vita su misura nel luogo che amano.

Quando lavoravo come cooperante ero nomade ma non digitale ed ero vincolata al luogo fisico. È solo più recentemente che si è aperta anche la possibilità di essere nomadi digitali. Direi che prima del 2014/2015 era molto più difficile farlo e davvero in pochi, come chi lavorava in professioni più tecniche, avevano il lusso di poterlo fare. Ricordo che il mio coinquilino a Berlino lo faceva nel 2010, lavorando come web designer, ma al di fuori di qualche professione tecnica era davvero impensabile farlo, specialmente in Italia, mentre ora si è aperto un mondo infinito di possibilità di poter vivere lo stile di vita dei nostri sogni, ed io aiuto le persone a farlo. Inoltre, organizzo ritiri di riconnessione interiore in Perù.

Come mai hai scelto di vivere in Perù e dove abiti precisamente?

Vivo a Pisac, un paesino magico sulle Ande che si trova vicino a Cusco. Sono approdata in Perù nel 2017, dopo un periodo sabbatico che mi sono presa alla fine dei 2 anni di contratto in Nepal. Dopo aver fatto il Cammino di Santiago, ho ricominciato un viaggio per il Sud America, approdando nella Valle Sacra del Perù, dove sono entrata in contatto per la prima volta con le piante maestre dell’Ayahuasca e del San Pedro. In queste cerimonie sacre ho sperimentato la guarigione più profonda che avessi mai ricevuto. Queste piante hanno avuto un impatto molto profondo su di me, scuotendomi di dosso le nozioni preesistenti sul mondo e facendo spazio a una nuova comprensione e consapevolezza di chi fossi.

Credo davvero che queste piante abbiano il potere di accelerare il processo di risveglio, di guarire i traumi e di aiutare a superare le paure. Accedere alla saggezza di queste piante ha rappresentato un corso di spiritualità accelerato, nel quale una sola cerimonia è stata infinitamente più potente degli anni di meditazione in India e Nepal. Questa esperienza ha cambiato la mia vita così profondamente che ho scelto di abbandonare il mio precedente percorso nella cooperazione internazionale e di continuare il mio viaggio nelle Ande peruviane, dove sento che lo stile di vita è semplice e segue i ritmi della natura.

Da allora lavoro con i gruppi assistendoli nel loro risveglio e riconnessione con sé stessi, nella Valle Sacra e nella giungla amazzonica.Partecipare ai miei ritiri significa prendere parte a un viaggio di ritorno verso il sé. Vedere, sentire e sperimentare una realtà diversa che vi guida attraverso la vostra verità personale e la vostra trasformazione.

Per questa ragione, i miei ritiri si rivolgono a tutti coloro che cercano una profonda trasformazione interiore, una connessione con le tradizioni andine, la guarigione e la riconnessione con il proprio Io grazie alle Piante Sacre, nonché l’esplorazione dei luoghi mistici della Valle Sacra.

Quali sono i pro e i contro del vivere lì?

Dipende dalle persone. Per molti è un posto piccolo ma per me e tutti gli innamorati della Valle Sacra del Perù non potrebbe essere migliore. Dopo aver fatto la mia prima esperienza con le piante sacre, la riconnessione che seguì non fu solo a me stessa, ma alla natura e alle montagne intorno a me. Tanti anni in mezzo al cemento di Milano mi avevano causato un condizionamento così forte che ero convinta di essere una donna di città. Anche se avevo iniziato ad aprirmi alla mia natura selvaggia dopo il Nepal, fu solamente grazie al Perù e alle esperienze mistiche fatte qui che mi riconnessi totalmente con la natura e con la mia vera origine, tanto che, da quel momento in poi, non sopportai più l’idea di vivere in città. Inoltre, questo non è un posto qualunque tra le montagne, ma si respira un’energia molto profonda.

Come ti sei mossa per trovare un alloggio?

Qui vivono tanti stranieri, si può trovare con il passaparola (è stato il caso del mio primo alloggio) o sfruttando i gruppi Facebook e WhatsApp (Marketplace).

Quali sono i costi medi per affittare un appartamento lì?

Si può trovare una buona sistemazione a partire dai 350 Euro al mese, anche se i prezzi, rispetto a quando sono arrivata, stanno salendo molto.

francesca-giovannini peru

Puoi dirci i prezzi di beni e servizi di uso comune?

Dipende. Ci sono ristoranti che hanno prezzi simili a quelli italiani, altri nei quali si può mangiare bene con 30 soles (circa 8 Euro) e, infine, c’è la possibilità di mangiare al mercato locale, dove le mamitas preparano piatti deliziosi per poco più di due Euro.

Quali sono, secondo te, i pregiudizi o luoghi comuni più diffusi sul Perù?

Forse la gente pensa che sia pericoloso, e ci sono posti che effettivamente lo sono. Il paesino dove vivo, per fortuna, è molto tranquillo. Dopo aver lavorato in Colombia e Kenya, Paesi che mi hanno messa a contatto con la mia morte, non vivrei in un posto pericoloso.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

La gente del posto è contadina e lavora la terra. Questo è un paesino in cui sono accorsi molti stranieri che hanno aperto i loro centri spirituali e che conducono una vita molto alternativa agli occhi della popolazione contadina locale e, trattandosi di due mondi completamente diversi, è per noi difficile integrarci appieno nella vita locale. La maggior parte dei locali tollera gli stranieri perché aiutano l’economia, dato che Pisac vive di artigianato, anche se devo dire che molti locali ci considerano strani. Inoltre, qui la lingua principale è il quechua, la lingua usata prima della conquista spagnola, e sicuramente imparare un po’ questa lingua aiuterebbe i locali ad aprirsi di più a noi. Mi sono accorta dei sorrisi che fanno quando mi rivolgo a loro con le poche frasi che so in quechua, invece dello spagnolo (quest’anno ho intenzione di studiarlo un po’ e a febbraio comincerò un corso, almeno per saper comunicare con le mamitas al mercato).

Nonostante la separazione che sento, le popolazioni quechua di queste terre sono meravigliose e, per certi versi, innocenti. L’energia dei luoghi dove le popolazioni indigene ancora resistono a contatto con queste montagne non si può spiegare, e non si può spiegare il potere che emanano, rispetto a luoghi in cui la cultura ancestrale è stata decimata. In questi luoghi, è come se la montagna fosse viva e comunicasse con noi, e sono convinta che sia grazie ai guardiani che tengono viva la comunicazione tra gli elementi e noi umani.

Come descriveresti le loro vite?

Le loro vite sono scandite dal ritmo della natura, lente, seguono le stagioni… i campesinos scendono dalla montagna per portarci le prelibatezze che coltivano e ci ricordano ogni giorno della siccità, che c’è sempre meno pioggia, che i raccolti sono sempre più scarsi… noi qui, attraverso di loro, ci riconnettiamo alla Madre Terra e ai suoi cicli della vita. Stare con i guardiani della terra c’insegna tanto e, da quando sono qui, io ho imparato molto sulle verdure, la frutta e le loro stagioni. In Occidente ci siamo disconnessi da questi cicli naturali.

Com’è, invece, una tua giornata tipo?

La mia giornata tipo è sempre diversa proprio perché faccio tantissime cose diverse. Qui ci sono tanti stranieri, ed è come se fossimo una grande famiglia. Ogni giorno c’è un evento, una cerimonia o una danza a cui prendere parte. Ovviamente, lavorando, devo organizzare il mio tempo e non posso partecipare sempre a tutto ma sapere che, quando voglio staccare, posso uscire di casa e incontrare per strada persone con lo stesso mindset e con cui posso parlare dei temi che mi sono più cari – ovvero la spiritualità e la libertà – mi fa sentire parte di una grande famiglia.

Le persone locali parlano inglese?

Sempre più locali parlano inglese, dato che negli ultimi anni c’è stato il boom di stranieri che sono venuti a vivere qui, ma per potersi integrare l’ideale è parlare spagnolo (e per avere la stima dei locali apprendere un po’ di quechua sarebbe l’ideale).

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

Si può aprire un’impresa e so che hanno aperto anche un visto per nomadi digitali.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi in Perù?

Trovate un buon avvocato e il gioco è fatto. Ci sono tanti modi per rimanere qua, sia come studente, sia come dipendente di un’impresa, sia come fondatore di un’impresa o come pensionato. L’avvocato farebbe tutto per voi, indicandovi la strada migliore per la vostra situazione e come mettervi in regola.

E quali a chi vorrebbe andarci in vacanza?

Il Perù è immenso ma posso parlare del posto che conosco come le mie tasche, la Valle Sacra. V’invito a venirmi a trovare nella magica Valle Sacra. Il Perù è un posto pieno di magia che però richiede tanta apertura di cuore e mentale per poter accedere a questa grande energia che si respira tra le sue Ande.

Hai scritto un libro, “La valigia blu”. Puoi raccontarci meglio di cosa parla e di cosa ti ha spinta a scriverlo?

La Valigia Blu è un racconto intimo della mia vita che ha inizio quando il mio destino sembrava scrivere il suo capitolo finale nel 2021, sul tavolo operatorio di un remoto ospedale in Guatemala, a causa di un’emorragia interna che mi costrinse a farmi mettere sotto i ferri, e dalla quale nacque il terrore di non svegliarmi più.

Se io non fossi più esistita, tutto ciò che avevo vissuto nei miei quattordici anni di viaggio in solitaria in giro per il mondo sarebbe scomparso con me. E a cosa sarebbe servito tutto questo camminare? Dall’improvvisa rivelazione della fragilità della mia vita è nata la volontà di raccontare una storia che da tanto, troppo tempo, avevo il bisogno di portare alla luce, senza averne mai avuto il coraggio. Il contatto con la mia mortalità mi ha dato la forza di scrivere questo libro, nella speranza che, se non fossi più esistita, grazie alla mia testimonianza di vita avrei potuto ispirare altri cercatori di libertà, a trovare il coraggio di lasciare il cammino imposto dalla società, per andare a cercare la propria dimensione, e la rotta del cuore.

Questa lunga esplorazione del mondo, nella quale tutto intorno a me e dentro di me cambiava continuamente, ha avuto come unica costante la mia fedele compagna di avventure, la mia valigia blu, testimone silenziosa di tutte le mie esperienze, meravigliose o difficili, tra luoghi incantati e cammini accidentati. Questa storia di vita inizia con lei e finisce con lei, e per questa ragione le dedico il titolo di questo libro.

Cos’hai imparato, in questi anni di vita in giro per il mondo?

Ho imparato che ogni esperienza mi ha avvicinata sempre più profondamente ai miei bisogni e alla me stessa più reale e, soprattutto, che in questo cammino costante di ricerca spirituale e di risposte, non si arriva mai a una risposta definitiva. La vita è un flusso e noi continuiamo a cambiare con lei. Per questa ragione è importante avere il coraggio di ammetterlo a noi stessi e rimetterci in gioco ad ogni momento, e cambiare vita più e più volte, se necessario. L’unica grande costante della vita è il cambiamento e sarebbe inutile bloccare il flusso incessante della vita stessa.

Cos’è, il viaggio, per te?

Il concetto di viaggio è cambiato molto per me.

Ci sono due momenti definiti nella mia vita da viaggiatrice, e fanno da spartiacque. Dal 2008, anno in cui ho lasciato l’Italia, fino al 2015, il mio viaggio è stato “esteriore”, e il mio intento era solamente quello di esplorare il mondo esteriore, come fanno tanti giovani, zaino in spalla, ostelli, foto, feste.

Nel 2014 ho iniziato a perdere l’entusiasmo per quel tipo di viaggio, sempre uguale a sé stesso, anche se cambiavano i nomi dei posti, e ho iniziato a farmi domande sul senso più profondo della mia vita. In quel periodo, che è coinciso con il mio lavoro in Kenya e il ritorno di Saturno (per gli appassionati di astrologia, arriva ai 28-29 anni circa), ho avuto una profonda crisi interiore, e quel mondo esteriore non mi sembrava più così interessante.

E così per gli 8 anni successivi ho seguito un forte richiamo a un viaggio diverso, che mi ha portata prima in India, poi in Nepal, poi in Perù, in Guatemala e Messico, ma non nelle parti globalizzate di questi Paesi, ma esclusivamente in luoghi in cui la comunità indigena è ancora viva e vibrante, e dove la corruzione del nostro mondo occidentale non ha ancora conquistato il loro spirito e preso la loro innocenza .

Ho vissuto in luoghi dove la cultura locale ancora parla con gli elementi della natura, ancora è connessa con la nostra Madre Terra, ancora crede nella magia, nel gran mistero della vita, ancora si connette con le piante sacre, quelle che ci aiutano a ricordare chi siamo, e a riconnetterci con la nostra essenza più vera.

Il viaggio per me è un’esperienza di conoscenza profonda, da assaporare lentamente. Di questi tempi va molto in voga il termine “slowmad” e, anche se anni fa non esisteva, da quando ho lasciato l’Italia nel 2008 ho sempre viaggiato in modo lento.

Questa parola può significare cose diverse per persone diverse. Per un nomade digitale abituato a spostarsi da un Paese all’altro in questione di settimane, diventare uno slowmad potrebbe semplicemente significare rallentare e spostarsi ogni pochi mesi. Io, personalmente, cerco di rimanere nei posti da 6 mesi a un anno.Sono una grandissima promotrice del viaggiare lento, oltre che per questioni ambientali, anche perché, rimanendo più a lungo in un luogo, si è in grado d’immergercisi davvero e comprendere più profondamente gli usi e costumi della cultura locale.

Trovo che, in generale, sia un’ esperienza molto più arricchente rispetto al mordi e fuggi, specie quando si scelgono mete dove la cultura locale è ancora presente e il territorio non è troppo contaminato dalla globalizzazione. In questi luoghi si respira un’altra aria e si vive in modo completamente diverso, ed è un grandissimo regalo poterlo fare.

Mi è capitato di viaggiare in posti in cui la cultura locale era inesistente o ridotta a fenomeno di folklore, e questo ha reso l’esperienza meno interessante.

Viaggiare lentamente, inoltre, mi aiuta a essere meno stressata e a poter organizzare adeguatamente il mio tempo nel Paese in cui mi trovo, oltre che ad agevolarmi nel creare una routine e formare legami più stabili con le persone.

Progetti futuri?

Il mio messaggio di liberazione dalle gabbie mentali e la riconnessione a sé stessi è il mio progetto e lo voglio portare avanti attraverso le mie tante offerte. In primis, la promozione del mio libro, La Valigia blu, che ho scritto al fine d’ispirare altre persone a seguire la loro verità e il loro cuore. Inoltre, voglio promuovere i miei ritiri sciamanici e spirituali in Perù (le prossime date sono aprile e agosto).

Infine, continuerò a organizzare i miei percorsi di coaching di gruppo per nomadi digitali: la quinta edizione del mio prossimo percorso di coaching di gruppo partirà a maggio.

Per seguire e contattare Francesca:

E-mail: francesca@transformational-journeys.org

Sito web: www.transformational-journeys.org

Instagram: www.instagram.com/transformationaljourneys

Il mio libro, La Valigia Blu:  La valigia blu: Esplorazioni interiori in mondi lontani : Giovannini, Francesca: Amazon.it: Libri