Fare volontariato in Brasile

 

Sono Irina Gorceac, studio Economics and Management a Venezia e a 21 anni ho deciso di partire per il mio primo Global Volunteer ( ebbene sì, una volta tornata la prima cosa a cui ho pensato è stata: quando il prossimo? E dove? ).

Prima di descrivervi il posto in cui sono stata, vi parlerò delle motivazioni che mi hanno spinta a intraprendere questa avventura. La ragione principale era il desiderio di intraprendere uno sviluppo personale, di superare i miei limiti e soprattutto di conoscermi più a fondo. Allo stesso tempo avevo mille paure, tra cui quella che il mio lavoro non risultasse davvero utile e, ancora prima, quella di non riuscire ad adattarmi ad una cultura così lontana dalla mia.

Quando sono arrivata a Maceiò, Brasile ho subito realizzato che ero lì per una ragione ancor più grande: i ragazzi di AIESEC mi hanno fatto capire che la crescita personale che avrei avuto durante quelle sei settimane non era fine a se stessa, ma avrebbe creato un impatto sulla realtà in cui mi trovavo. Quella frase è stata illuminante, perché ho capito che qualsiasi nostro apporto, sia una parola, un gesto o un racconto, possono cambiare per sempre le vite degli altri.

Il Global Volunteer è questo: un continuo dare e ricevere che arricchisce tutte le persone coinvolte. E le persone coinvolte sono tantissime: sei tu, la famiglia che ti ospita, il tuo responsabile nella NGO, tutte le persone con cui lavori e quelli che vengono assistite dalla tua NGO, i volontari internazionali che vivono l’esperienza con te, i volontari di AIESEC, le signore del tuo quartiere che ti salutano ogni mattina e pomeriggio, il conducente dell’autobus che ti aiuta ad orientarti, il venditore ambulante con cui parli ogni giorno in spiaggia, e molti, molti altri.

La vita di tutte queste persone cambia perché un giorno uno studente decide di aprire un sito web e aderire ad un progetto di volontariato.

Irina: la mia esperienza di volontariato a Maceiò in Brasile

L’insegnamento più importante che ho ricevuto è stata la consapevolezza che la maggior parte dei limiti che crediamo di avere in realtà non hanno ragione di esistere. Prendiamo ad esempio il limite della lingua: le persone con cui vivevo e lavoravo non conoscevano l’inglese, io non parlavo il portoghese, eppure dopo i primi inceppi la comunicazione non ne ha risentito minimamente. Le cene in famiglia duravano ore e ore, i temi variavano dalla musica alla storia, dalla religione alla politica e in tutto ciò ognuno parlava nella propria lingua.

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E come questo, tantissimi altri ostacoli sono superabili se ci si crede davvero: avevo paura di non essere capace di lavorare con persone disabili nella mia NGO ed invece l’ho fatto; credevo di non essere in grado di gestire un team ed invece l’ho fatto; pensavo di non poter organizzare un crowdfunding ed invece l’ho fatto; non volevo parlare in pubblico o di fronte ad una telecamera ed invece l’ho fatto; pensavo di non poter creare amicizie profonde in sole sei settimane ed invece è successo.

Insieme a me c’erano altri dieci ragazzi: dalla Colombia, Messico, Hong Kong, Argentina, Perù, Tunisia. Non nomino questi paesi casualmente: nonostante mi consideri una persona aperta e inclusiva, prima di partire avevo un’idea stereotipata di questi luoghi, mentre conoscere questi ragazzi non solo mi ha fatto rivalutare le mie idee ma mi ha spinta a voler scoprire ancora di più.

Mai avrei immaginato di lavorare ed uscire tutti i giorni con due ragazzi tunisini e diventare la loro migliore amica, come mai avrei immaginato di vivere con un ragazzo colombiano e considerarlo un fratello.

Volontariato AIESEC

Infine mai avrei pensato che il Brasile fosse un paese tanto accogliente: vivendo in Italia siamo quasi abituati a tentativi di escludere o evitare il diverso; in Brasile non solo non c’è la paura dello straniero ( indipendentemente dal paese di provenienza), al contrario si cerca in tutti i modi di entrarci in contatto, di togliersi ogni curiosità e di lasciarsi ispirare da chi ha esperienze diverse dalle loro.

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