Nomadi digitali: la storia di Elena

La felicità è una cosa soggettiva, non assoluta. Le cause sono assolutamente differenti per ognuno di noi. C’è così chi è felice in un negozio di cupcakes ingozzandosi di quei piccoli pezzi di nuvole zuccherini.

Chi con una borsa nuova che costa quanto l’affitto di un loft decadente a Soho. Chi mangiando ogni sera alle sette ed ogni domenica in famiglia.

E chi trova la sua felicità nell’avere la libertà di vivere dove vuole, per quanto vuole, portandosi dietro il lavoro. Si chiamano nomadi digitali e a scrivervi queste poche righe è una di loro.

Questo articolo non vuole essere da lezione o da guida per nessuno, è solamente un’esperienza e il racconto dei suoi risvolti a volte duri altri paradossali

Ma è la strada che ci ha portato oggi, dall’altra parte del mondo, a lavorare in un ufficio di bamboo con gente da tutto il mondo che quando incrocia lo sguardo con il tuo sorride e sai che dietro quegli occhi di tutti i colori del mondo c’è sicuramente una storia da raccontare.

nomadi digitali

Ma prendiamo le cose con ordine cercando di stabilire quando questo ha avuto inizio e perché ci siamo trovati dall’altra parte del mondo a bere caffè mentre le scimmie si azzuffano un paio d’alberi più in giù.

La nostra avventura ha avuto inizio a Febbraio, quando ci siamo seduti ad un tavolo ed abbiamo messo sul piatto quello che avevamo, quello che avremmo voluto avere, quello che il posto dove eravamo ci poteva offrire.

Ci siamo resi conto che non stavamo vivendo una vita all’altezza delle nostre aspettative e come la maggior parte della nostra generazione compravamo e vendevamo favole per addolcire la pillola: eravamo nella nostra età più produttiva eppure eravamo fermi nel parcheggio mentre ci bombardavano di notizie su quanto fosse pericolosa la vita la fuori.

Forse è vero, verranno tempi più maturi in cui le possibilità saranno di nuovo alla portata di tutti, ma se fino ad allora i miei anni migliori, quelli in cui sono una bomba di idee ed energia fossero passati, che me ne dovrei fare?

Quando abbiamo annunciato al resto del mondo che ci circondava che ci eravamo rimessi sui libri per approfondire le conoscenze di anni una variegata vita lavorativa che si riassumeva in tre pagine di CV e che avremmo aperto Partita IVA, ci hanno guardato come se avessimo detto loro che gli elefanti volano e i rospi scrivono trattati di semantica.

Start Up! Che parola agghiacciante. Quella parola di cui tutti si riempiono la bocca, nessuno sa cos’è e il discorso si chiude con un: lascia stare e continua a trovare un lavoro ogni sei mesi, che va bene così.

Eppure le generazioni prima di noi lo avevano fatto. Proprio le stesse persone che hanno passato la loro vita a metterci in guardia da tutti i pericoli del mondo a suo tempo si era messa in gioco e con la croce in mano si era lanciata nel mondo del lavoro.

Avevano inventato, creato, rischiato e la maggior parte di loro ne sono usciti vincitori. ù

Start Up!

All’epoca l’inglese non si utilizzava, allora erano imprenditori. Ma perché noi non potremmo esserlo? Sono altri anni, non sono più i tempi di una volta, ora c’è la crisi, ora non è il momento, aspetta l’occasione giusta…

Aspettando l’occasione giusta gli anni passano ed alla fine ti rendi conto che stai sprecando l’unica cosa che non potrai mai riguadagnare: il tempo. Solo che in un sistema di teste chine e di paura, perché questo è il cibo quotidiano che ci viene somministrato, paura ad ogni pasto, c’è ancora qualcuno che da idealista alza la testa e preferisce tentare il volo dell’aquila. Meglio che razzolare come un pollo.

Dall’incontro di una mente scientifica cresciuta e formatasi in Italia dove ha sviluppato doti di problem solving e conoscenze tecniche qualitativamente elevate ed una umanistico-creativa con alle spalle sette anni di vita da Expat nella penisola Ellenica con una comprovata esperienza nel marketing, retail e GDO,  creando un blend unico nel suo genere. Differenti quanto complementari.

Non avevamo fin da principio l’idea precisa di come muoverci ma sapevamo fin da prima di “nascere” che avremmo fatto la differenza per etica ed ideologia: in un’Italia brulicante di Start Up a basso costo dove tutti cercavano il modo di fare fast cash, noi ci siamo presi il tempo di tornare sui libri.

Abbiamo ricominciato a studiare e ad oggi non abbiamo mai smesso di ingurgitare manualistica ed editoriali di settore, di vagliare il web soprattutto sui siti internazionali in cerca di nuove idee vincenti, di diventare la scelta alternativa migliore che si potesse trovare.

nomadi digitali

Abbiamo sempre creduto e crediamo tuttora che la crisi non si supera coltivando il proprio orticello, ma collaborando e dandosi una mano, mettendo ognuno del proprio e condividendo pesi e meriti con chi ci circonda.

Per questo abbiamo scelto collaboratori in continua evoluzione, con una naturale tensione al miglioramento e alla realizzazione di se’. I nostri progetti aumentavano sempre di più, divenivano sempre più ambiziosi e non volevamo assolutamente cadere nel tranello di fossilizzarci in un pattern di lavoro statico.

Non volevamo accontentarci di offrire un “pacchetto standard” anche se questo significava più lavoro per noi! Abbiamo sempre avuto come fil rouge la necessità di offrire il meglio, a prezzi giusti. Non avevamo fretta di raccogliere i frutti e non volevamo avere paura di un futuro incerto. Sopra ogni cosa, non volevamo smettere di divertirci e questo credo sia stato il segreto del nostro successo. Ogni singolo giorno di lavoro da quelli più esaltanti a quelli di assoluta reclusione nell’eremo sono stati all’insegna del buonumore.

Nonostante intorno a noi continuasse a rimbombare il grigio e la paura.

L’Italia ha cominciato ad andarci sempre più stretta e i progetti nella nostra testa hanno iniziato ad allontanarsi sempre di più dal mondo che ci circondava.

Più la nostra mente si apriva più la scatola in cui eravamo diventava stretta. Abbiamo iniziato a chiederci quali fossero le vere necessità delle persone per poi chiederci, quali fossero realmente le nostre necessità. Sentivamo il bisogno di crescere, ma non di crescere come conto corrente o come fatturato, quella è stata una conseguenza del nostro lavoro e così dovrebbe essere per tutti i professionisti di ogni settore.

Continuavamo ad interrogarci su quali fossero le reali necessità personali per raggiungere il nostro obbiettivo. Avevamo veramente bisogno di tutte quelle “cose”? Di appartenere a gruppi che assomigliavano più a sette che a realtà di persone? Di essere “marchiati”? Di rinunciare alla propria individualità per essere accettati? Come potevamo trovare nuove idee in un mondo dove l’innovazione generava paura anziché entusiasmo?

Dopo aver cogitato ogni passo e studiato ogni opzione abbiamo deciso di lanciarci in uno dei calderoni bollenti del mondo: abbiamo scelto Ubud.

Dopo mesi di progettazione e di costituzione di un network di clienti adatto a sostenere la nostra vita fra i due oceani abbiamo preso il biglietto e siamo partiti alla ricerca di un mondo creativo, costruttivo e colorato.

Tre settimane dopo, la nostra vita non è mai stata così attiva. Ubud significa Medicina. Non è un caso che chi arriva qui non può che essere contagiato dal clima di pace e tranquillità che c’è. In sole tre settimane, la nostra quotidianità si è tramutata nella vita di qualcuno che ci piace riconoscere allo specchio.

nomadi digitali

Non abbiamo una TV e raramente la sera abbiamo la forza fisica per stare svegli a guardare un film. Abbiamo rimosso definitivamente dal calendario la parola “noia”.

La mia giornata tipo inizia con una sveglia naturale alle sei e mezza. In Italia per me era un trauma sentirla suonare alle otto. Mi prendo tutto il tempo per svegliarmi con calma, magari leggo qualche pagina di qualche libro o semplicemente le notizie. Faccio una giga colazione a base di frutta tropicale. Ci potrei senza pensarci due volte vivere.

Tre volte a settimana la mia giornata inizia con una lezione di Yoga. In Italia non avevo tempo se non dopo le sette e ci arrivavo così stanca e stressata che la maggior parte delle volte ripiegavo su di un aperitivo.

Qui il mio tempo libero è fino alle tre del pomeriggio, quando l’occidente e i miei clienti si svegliano e perderlo facendo nulla sembra uno spreco. A pranzo si improvvisa. A volte solo frutta e qualche stuzzichino.

Altre si pasteggia in splendidi ristorantini dal cibo leggerissimo. Mangiare a Bali ti costa quanto farti la spesa ed è abbastanza irrilevante la scelta. Il pomeriggio e spesso la sera ci trova al lavoro, almeno i cinque giorni a settimana canonici in occidente.

Una volta alla settimana vado a fare contact, nel Weekend solitamente si va al mare o ad esplorare l’isola. A Bali è impossibile non avere nulla da fare: anche nelle giornate più uggiose, che essendo la stagione delle piogge non fanno sentire la loro mancanza, ci si caccia su una mantella e si va. Verso il mare, o verso i monti. Si può far trekking, Surf, Kite Surf, Parapendio, Snorkeling o arrampicata oppure seguire spettacoli di danza, prendere lezioni di Batik, imparare ad intagliare il legno, fare le maschere con le noci di cocco e chi più ne ha più ne metta.

C’è solo da scegliere

Solitamente preferisco come in ogni cosa della mia vita improvvisare e vagabondare senza meta scoprendo in questa piccola isola paradisi dimenticati. La mia vita professionale non è mai stata così produttiva.

Abbiamo scelto di lavorare a Hubud, una struttura in coworking che ospita nomadi digitali di tutto il mondo. Un popolo di programmatori, Web designers, Marketing Guru, film makers, Fotografi, Grafici. Qualsiasi specializzazione sia gestibile facilmente in remoto.

nomadi digitali

Tutti con lo spirito di condividere le proprie idee, partendo dalla logica che in tanti si ottengono maggiori risultati. Avrai sempre qualcuno pronto a darti un parere su di un progetto, se lo vorrai. Sempre qualcuno pronto a mettere in comune le proprie conoscenze.

Da quando sono qui seguo diversi clienti, preparo numerosi progetti, ho ricominciato il blogging abbandonato negli ultimi anni per mancanza di ispirazione.

Le mie giornate non hanno momenti morti perché anche quelli che apparentemente lo sono nascondono nuove idee che stanno nascendo. Non c’è un modo giusto o sbagliato di affrontare la vita e nonostante quello che dicano l’unica regola che ci dovrebbe essere imposta è seguire la propria natura.

Da quando sono qui, mi sto scrollando di dosso la miseria occidentale di chi ha tutto, ma vuole di più. Passiamo troppo tempo dando per scontato e costruendo artefici mascherati da felicità che di fatto, di felicità non ha proprio nulla.

Abbiamo tutto tranne un sentimento che in quest’isola è contagioso: gratitudine.

Pensate veramente che tutto il tempo perso a lamentarvi verrà in un qualche modo ricompensato? Credete veramente che la felicità si nasconda dietro una casa di mattoni intestata a voi, un conto pieno, vestiti di marca, telefoni di alta tecnologia e macchine di lusso?

Perché posso dirvi, che in questo popolo che non ha quasi nulla, in confronto a noi, ho visto più sorrisi sinceri che in piazza San Babila.

Ho visto famiglie lavorare in cantieri, uomini e donne, portando cesti di sabbia sulla testa sorriderti e ringraziarti perché hai dato loro precedenza in una stradina stretta. Essere qui mi fa pensare che forse, si sta investendo sulle cose sbagliate.

Perché non sono le cose a meritare tutta la nostra energia, ma le persone che costruiscono il nostro microcosmo.  Sono i sorrisi che diamo e che riceviamo, gli abbracci di chi ci vuole bene, una mano a chi ci sta seduto vicino in ufficio anche se non abbiamo niente da guadagnare, il buongiorno dato da un inglese che passeggia nelle risaie e ti incontra per caso, il sorriso dei bambini quando passi davanti a loro in scooter. Abbiamo tutto quello che si può comprare e dimentichiamo che la vera ricchezza è fatta di cose che non sono in vendita.

Ed oggi, all’inizio del nostro primo dicembre in maniche corte, ci guardiamo la mattina e ci rendiamo conto di non esserci mai sentiti così felici e grati della vita che con tanti sacrifici, tante lotte ma soprattutto tanti sorrisi ci siamo costruiti.

Quando ti sveglierai, guardati lo specchio e chiediti se sei veramente felice. Se non lo sei, non ti preoccupare. Ci vorrà tempo strada e impegno, ma se ce l’abbiamo fatta noi, così come tanti altri, ce la farai.

Seguiteci sul nostro blog dove potrete trovare tutto quello che volete sapere su Ubud e Bali, sulla nostra vita da Nomadi Digitali e quanto altro attraverso i nostri occhi. E non esitate a contattarci se volete qualche dritta qualora la vostra meta sia dove siamo o siamo stati noi!

Elena

ecmanavis@ymail.com