Cina: la storia di Barbara Delprete

A cura di Nicole Cascione

Barbara Delprete si presenta così: “Sono una persona curiosa, al limite dell’irrequieto, tutto quello che faccio dipende da questo: mi annoio facilmente, devo sempre provare esperienze nuove, scoprire luoghi nuovi, conoscere gente nuova… il “così per sempre” mi angoscia proprio”. Una curiosità che l’ha portata dapprima nel Regno Unito e poi in Cina, dove insegna matematica in un College.

Barbara Delprete

Barbara, “Un’italiana in Cina” è il nome del tuo blog. Prima di approdare in territorio cinese però, hai vissuto nel Regno Unito. Raccontaci qualcosa di quel periodo.

Diciamo che la storia parte da molto prima: sono nata e cresciuta nella provincia di Taranto, dove sai già da piccolina come va il mondo del lavoro, quali sono le condizioni indecenti che vengono proposte e quali siano le difficoltà per affermarsi in una professione che sia anche minimamente dignitosa. Nonostante questo, prima ancora di laurearmi, colsi al volo l’opportunità di lavorare per una multinazionale che stava aprendo un terminal container nella mia città: mi formarono come sviluppatrice software, pensavo fosse un’occasione più unica che rara per poter rimanere nella mia terra, ma mi dovetti ricredere abbastanza velocemente.

E a un solo un esame dalla laurea in Matematica, ho scritto una marea di lettere di licenziamento, che il Capo del Personale mi convinceva sistematicamente a cestinare. Dopo tre anni vissuti così mi sono licenziata: mi ero pagata tutto da sola, sin dal liceo, facendo mille lavoretti per non gravare sulla mia non proprio agiatissima famiglia. Buttare tutto all’aria a meno un esame dalla laurea, mi pareva davvero sprecato, soprattutto per una realtà aziendale che ci trattava come persone che dovevano ringraziare il fatto che fosse loro concesso un lavoro (mal!) retribuito.

Barbara Delprete cina

Buttato nel cestino il mio contratto a tempo indeterminato, avevo intenzione di studiare per il famoso esame, ma ho tre fratelli nell’Esercito e quell’anno le Forze Armate erano state aperte per la prima volta alle donne. I miei fratelli insistettero così tanto, che mi convinsi a fare il concorso, pur conoscendomi come molto inadatta alla vita militare. I test erano tutti di logica matematica, mi piazzai seconda su undicimila partecipanti e, pur senza uno straccio di raccomandazione, hanno dovuto darmi la divisa da Ufficiale nella Marina Militare Italiana. Anche lì però: figa la divisa, figa la sciabola, figo il marinaietto che si mette sull’attenti quando passi, figo l’aver girato la Sicilia in lungo e largo per tre anni nelle pause lavorative, ma il lavoro non è che mi facesse impazzire e in più continuava a mancarmi l’esame per laurearmi.

Altra botta di pazzia: mi congedo dalle Forze Armate dopo tre anni e riprendo a studiare a tempo pieno. Un massacro tornare a casa dei miei dopo essere stata autonoma e indipendente per anni, ma era un sacrificio da fare, ne valeva davvero la pena. Superata la tortura di dover riprendere la laurea per la seconda volta, visto che avevo dimenticato tutti gli altri esami connessi a quello mancante, mi laureo e scappo a Londra, città di cui ero da sempre perdutamente innamorata. Sono stata lì per due mesi, seguendo un corso di lingua al mattino e girando in ogni angolo della metropoli nel pomeriggio.

Nelle intenzioni c’era anche il cercare lavoro, ma mi scoraggiava moltissimo il non capire niente quando ricevevo telefonate per colloqui, oltre alla previsione che mi aveva fatto una mia insegnante: per trovare lavoro in campo informatico (e non come cameriera, commessa o simili), avrei dovuto spendere almeno cinque o sei mesi, visto che era un periodo di crisi particolarmente nera per le professioni qualificate. La mia buonuscita della Marina e i regali di laurea erano belli che dilapidati, quindi tornai in Italia, dove trovai molto facilmente lavoro come software engineer per varie aziende in Lombardia.

Ma continuavo a sognare di andare a vivere dalla Regina e continuavo a sognare quello che aveva fatto un mio insegnante del corso di inglese: lui aveva lasciato l’Inghilterra per trasferirsi in Giappone con sua moglie giapponese, dove, per vivere, avrebbe insegnato inglese. Pensandoci e ripensandoci, decisi che avrei fatto la stessa cosa, visto che anche io parlavo una lingua universale: la Matematica.

Barbara Delprete cina

Decisi così di approfittare delle borse di studio governative inglesi per ottenere un post-graduate per accedere alla professione di insegnante: il piano era sfruttare la borsa per vivere un anno spesata in Inghilterra, per poi tornare a lavorare in campo informatico lì o in Italia, come prima.

Così dopo tre anni in Lombardia, parto alla volta di Sunderland per il mio post-graduate. Avevo sempre creduto che insegnare non era per me, che non ce l’avrei potuta proprio fare a reggere i ragazzetti che non amano la matematica, e invece… sono rimasta folgorata! Non sono rimasta in Inghilterra un solo anno, ma sette: ho comprato auto, casa a mezz’ora di treno da London King Cross, cambiato scuole e colleghi mille volte, ottenuto la cittadinanza e il passaporto, ma poi…

Poi?

Ma poi il clima inglese non mi stava piacendo più: quella che avevo sempre considerato la nazione più mentalmente aperta ed ospitale del mondo, si era fatta contagiare dagli spiriti più negativi immaginabili della Brexit e l’avversione allo straniero era diventata tangibile nel quotidiano. Questo, unito alla mia mai sazia voglia di scoprire, mi fece fare domanda per scuole internazionali. Andai ad una fiera dove selezionavano insegnanti con esperienza e qualifiche su curriculum britannico e ricevetti un’offerta dal Qatar, una dall’Indonesia e una dalla Cina.

Con il mio compagno scegliemmo quest’ultima per motivi pratici: lui vive in Italia, i voli erano più economici, frequenti e semplici. Ci saremmo potuti vedere un po’ meno rispetto a quando vivevo in Inghilterra, ma viaggiare insieme per scoprire la Cina ci affascinava non poco. Mai avremmo immaginato cosa stava per accadere da lì a poco per il COVID! In pratica sono “prigioniera” in Cina da quasi due anni e, se vado via, non posso rientrare.

Quali sono state le tue prime impressioni all’arrivo?

Un disastro totale: sono arrivata qui in piena pandemia, a settembre 2020. Già partire dall’Inghilterra è stata un’Odissea tra Visa che non veniva rilasciato se non dietro lettera di invito ufficiale del Governo cinese per personale altamente specializzato di cui il Paese ha fortemente bisogno (difficilissima da ottenere!) e tamponi da fare entro un lasso di tempo così breve che era impossibile prenotare il volo.

Poi mi sono toccate due settimane di quarantena in albergo che immaginavo sarebbero state relax e divertimento, invece sono diventate alienanti: sempre lo stesso cibo fornito a colazione, pranzo e cena, sempre lo stesso odore, sempre le stesse operazioni da ripetere: temperatura da misurare a determinati orari, immondizia da portare fuori… neanche in prigione, francamente! Considerato che ci venivano dati noodles (spaghetti) e zampe di gallina per colazione, carne non meglio identificata in una zona della Cina in cui notoriamente cucinano e mangiano qualsiasi quadrupede… si capisce che la sopravvivenza è stata una sfida.

Quando sono uscita dalla prigionia forzata poi, un’altra delusione assurda: immaginavo pagode, templi, architetture cinesi, donne in abiti tradizionali… invece ho ritrovato una megalopoli, Shenzhen, con meno di quarant’anni di vita, fatta di grattacieli spaziali e fantasmagorici, zero assoluto storia e tradizioni, insomma una Manhattan cinese.

Barbara Delprete expat in cina

Insegni matematica in un college. Raccontaci qualcosa del sistema universitario cinese.

In realtà insegno in Cina ma con sistema scolastico britannico: le scuole internazionali infatti formano gli allievi in base ad un curriculum estero, appartenente alla nazione nella quale i ragazzi vorranno andare successivamente a studiare. Quindi del sistema scolastico cinese conosco poco, solo per sentito dire tramite i miei allievi.

Il college nel sistema anglosassone sono i due anni che precedono l’università. È un po’ sbagliato dire che siano i nostri due ultimi anni di scuola superiore, perché coincidono soltanto le età degli studenti, ma la tipologia di studio è molto diversa: quando sei al college, hai già scelto cosa vuoi studiare all’Università e studi in maniera approfondita solo tre o quattro materie che ti serviranno nel tuo percorso universitario.

Quindi quando insegno matematica qui mi ritrovo ad insegnare argomenti che in Italia ho studiato all’Università. I ragazzi cinesi sono bravissimi con la matematica, soprattutto se provengono da scuole pubbliche cinesi. Il novanta per cento di loro sogna di iscriversi a Matematica ad Oxford o Cambridge e ci riescono in un numero talmente alto che il nostro College è tra i primi al mondo per numero di allievi ammessi a queste prestigiosissime università.

L’anno scorso abbiamo avuto una ragazza talmente brava da essere nella posizione di rifiutare l’offerta di Cambridge, per accettare un posto alla University of Chicago.

Qual è l’aspetto che più ti ha colpito del popolo cinese?

Quando ho iniziato a girare per la Cina ho scoperto posti fantastici e gente meravigliosa. Oddio, il popolo cinese è gentile e carino, se ti diventano amici sono molto leali, cortesi, educati, discreti, ma gentili al tempo stesso. Il problema è sempre il COVID: come da noi si sviluppò all’epoca la psicosi per gli orientali (che ai nostri occhi sono tutti cinesi), così qui si è sviluppata la psicosi dello straniero.

Insomma da noi i mass media hanno detto che è tutto partito dalla Cina, qui invece pare che abbiano dimenticato la fase di Wuhan e si concentrino molto di più sul fatto che loro sono riusciti a contenere l’epidemia in tempi da record, con pochissimi casi su una popolazione di un miliardo e mezzo di abitanti (dico solo che al momento siamo piena ondata restrittiva per un contagio dovuto ad un turista che ha attraversato diverse Province: ci sono ben 75 casi riportati nelle ultime tre settimane… 75 casi su un miliardo e mezzo di abitanti!) e che tutti i nuovi casi siano introdotti da stranieri.

Quindi se non hai gli occhi a mandorla ti guardano storto, ti chiedono mille volte l’health code, tutta la tua storia passata di viaggi e spostamenti, addirittura qualcuno in metro si allontana. Però la dolcezza che ho riscontrato nei genitori a colloquio con gli insegnanti nel dire “Grazie per il tempo che dedichi a mio figlio, grazie per l’incoraggiamento che gli dai, grazie per la tua dedizione”, mi hanno davvero sorpresa, soprattutto a fronte del fatto che pagano qualcosa tipo 35mila euro all’anno di iscrizione per mandare i loro figli a scuola da noi!

Barbara Delprete

Una cultura diversa dalla nostra. Sicuramente ci saranno degli aneddoti carini che ti saranno capitati durante il tuo periodo di permanenza. Ce ne racconti qualcuno?

Le zampe di gallina a colazione non sono sufficienti?

La cosa che adoro di più è che quando giro, incontro tantissima gente che non parla inglese. E giro tantissimo: l’aspetto più bello della scuola britannica è che abbiamo meno vacanze in estate, ma molte di più durante l’anno, quindi in poco più di un anno ho visto i guerrieri di terracotta di Xi’an, con le splendide grotte di Longman nelle vicinanze, i meravigliosi giardini di Suzhou, i panda a Chengdu, ho fatto la crociera sul fiume Yangtze da Chongqing a Yichang, Guangzhou, l’Inner Mongolia con il Deserto del Gobi, il Gansu con i suoi scenari di montagne colorate mozzafiato, Guillin con le sue colline incantate, il Buddha gigante di Leshan, l’Oceano in cui mi sono spaccata provando a fare surf. Io ho imparato tre parole in cinese (ciao, grazie e no), quindi la comunicazione procede a gesti o con le app.

La cosa che trovo davvero tenera ed ospitale è che chiunque parli un livello anche minimo di inglese si fiondi ad aiutarmi, a guidarmi, ad indirizzarmi. Lo trovo davvero carinissimo. Il massimo è stato quando un tassista in Inner Mongolia mi ha parlato per abbondantissimi cinque minuti chiedendomi di me, da dove venissi, che cosa facessi… volevo piangere, dopo un anno passato a sedere muta accanto ai tassisti!

Un altro tassista a Guangzhou (c’era una mia amica cinese che traduceva), saputo che sono italiana, ha passato tutto il tempo del viaggio a decantarmi l’Italia e a chiedermi perché mai vivessi in Cina: li adoro!

In campo professionale, secondo la tua opinione, quali sono gli aspetti più importanti che un italiano deve curare per trovare lavoro in Cina?

La Cina, come tutti i Paesi non europei, richiede che si possegga un Visa prima di arrivare qui per lavoro, quindi è impossibile partire per venire a cercare lavoro all’avventura. Inoltre quello cinese è un mercato molto protezionista e difficilmente viene scelto lo straniero, se c’è un cinese che a parità di titoli può ricoprire l’incarico. Bisogna proprio essere una categoria ricercata e richiesta per ottenere il Visa. Inoltre i lavori di bassa manovalanza vengono effettuati dai locali a prezzi davvero irrisori.

Quindi a mio avviso il metodo migliore per venire a lavorare in Cina è quello di trovare un’azienda italiana o europea che ti mandi a lavorare in trasferta. Diversamente bisogna stare molto attenti con i benefits garantiti, visto che tra affitto, assicurazione medica e voli, si rischierebbe di spendere molto più di quanto si guadagna.

Ormai è da tanto che manchi dall’Italia. Avverti qualche mancanza?

Sarebbe banale dire che mi manca il cibo perché si trovano ottimi ristoranti di cibo italiano autentico qui a Shenzhen e in giro per la Cina. Ma mi mancano tantissimo il mio compagno e la mia mamma che cucinano ottimo cibo italiano per me.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sinceramente resterei a vivere in Cina ancora per molto, visto che ho trovato una società molto ospitale e tranquilla (giro in shorts tutto l’anno e nessuno rompe, non si sente di scippi o microcriminalità in alcun modo, addirittura anche per accedere in metro bisogna passare dal metaldetector… il peggio che possa succedere è che una motoretta di quelle che consegnano il cibo a domicilio ti stenda, perché appaiono da ogni dove!), ma con la storia dei confini chiusi e del non poter tornare a casa per le vacanze, mi sa che dovrò pensare ad una nuova destinazione nel prossimo futuro.

Mi attira moltissimo Mosca, ma passare dal caldo per undici mesi e mezzo all’anno di quest’area subtropicale al freddo russo mi spaventa non poco.

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