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Carolina Nuti: “Come l’ecovillaggio di Findhorn in Scozia mi ha cambiata”

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Vivere in un ecovillaggio in Scozia: la storia di Carolina 

A cura di Enza Petruzziello 

Che cosa significa vivere in un ecovillaggio? «Sospendere tutto ciò che ero per scegliere ciò che era rilevante da ciò che era per me superfluo». A dirlo è Carolina Nuti, 37 anni, originaria di Livorno, in Toscana.

Da anni vive con il suo compagno e la sua bambina Celeste, nel Nord della Scozia nella Comunità di Findhorn, uno dei più grandi e longevi ecovillaggi in Europa. Carolina vi approda a seguito dei racconti di sua nonna, che aveva conosciuto la Comunità di Findhorn grazie a libri e ad articoli collezionati meticolosamente nella sua grande biblioteca.

«Tutto è iniziato mentre stavo viaggiando alla scoperta della natura selvaggia della Scozia – spiega Carolina – e mi sono trovata di fronte al cartello stradale che indicava la strada per Findhorn. Come potevo non andare?».

Dopo quella breve visita, Carolina si rende conto che la realtà che da bambina aveva immaginato esisteva davvero, così come esisteva la possibilità concreta di vivere diversamente. Vincitrice di una borsa di studio per il Dottorato di Ricerca in Storia e Sociologia della Modernità all’Università di Pisa, Carolina ha modo di approfondire la Metodologia Qualitativa e la Sociologia della Religione. Alla fine dei suoi studi torna a Findhorn per iniziare il percorso nel centro educativo della Comunità.

Cambiare vita e ritrovare se stessi

Carolina, quando e perché a un certo punto hai capito che l’Italia non faceva più per te e hai deciso di trasferirti?

«In realtà non è stata tanto l’Italia a non andare più bene quanto piuttosto la mia vita! Negli anni avevo gradualmente sviluppato la sensazione di non star vivendo esattamente la mia vita a causa di scelte maturate senza avere la capacità di capire e contraddistinguere ciò che desideravo, temevo o sarebbe stato accettato dalle persone che mi circondavano.

Tutto ciò aveva creato una grande confusione dentro di me, con il risultato di sentirmi come se le cose stessero succedendo(mi) molto velocemente senza che io avessi alcun controllo. A un certo punto questo disagio a cui si era anche aggiunto anche un certo senso di colpa, era diventato talmente forte che non ho potuto fare a meno di prendermi una pausa.

Quindi, l’idea di trasferirmi all’estero non è derivata dal bisogno di lasciare l’Italia, quanto di aver trovato ciò di cui avevo bisogno e questo è avvenuto in una Paese straniero».

Durante un viaggio in Scozia ti fermi per una breve visita all’ecovillaggio Findhorn, uno dei più grandi e longevi in Europa. Come sei venuta a conoscenza di questa comunità? 

«La prima volta sono arrivata a Findhorn ‘per caso’ mentre stavo esplorando la Scozia in macchina. Ricordo le sensazioni e le idee che velocemente mi travolsero quando vidi il cartello stradale con le indicazioni per Findhorn: ‘Allora è un posto reale!’.

A quel punto della mia vita mi ero quasi scordata di questo posto che avevo conosciuto durante la mia infanzia grazie alle storie che mi raccontava mia nonna. Improvvisamente ciò che mi ero immaginata sui giganteschi cavoli che erano stati coltivati nel nord della Scozia grazie alla collaborazione con gli spiriti della natura divennero un’idea molto reale.

Una volta arrivata al Parco sentendo una grande emozione dentro di me, feci una passeggiata durante la quale la mia curiosità anziché diminuire venne nutrita dalla bellezza di cui mi trovavo circondata: case dalle forme più inaspettate e dai colori variegati; giardini pieni di fiori, la boutique (una piccola costruzione dedicata al baratto permanente), il Santuario della Natura».

Findhorn, vivere a contatto con la natura 

Dopo quella breve visita torni in Italia per completare il Dottorato di Ricerca in Storia e Sociologia della Modernità all’Università di Pisa. Alla fine dei tuoi studi torni a Findhorn (in che anno?). Un bel salto per una giovane donna come te. Come sono stati gli inizi di questa nuova avventura? 

«Graduali! Inizialmente tornai a Findhorn nell’agosto 2013 per una experience week (la settimana di esperienza) con l’idea di fare una vacanza e poi tornare ai miei studi senza sapere che dopo 3 anni sarebbe nata mia figlia proprio in quel posto!

Una volta terminata questa introduzione alla vita di Comunità rientrai in Italia con la speranza di poter integrare ciò che avevo visto e soprattutto ciò che mi ero permessa di essere nella mia vita quotidiana. In realtà compresi molto velocemente quanto questo sarebbe stato difficile una volta tornata: una settimana non era stata sufficiente per metabolizzare il cambiamento che desideravo. Per questo decisi di tornare per fare la settimana dedicata alla spiritualità (Spiritual Practice Week) nel dicembre dello stesso anno. Alla fine di quella settimana decisi di trasferirmi nella Comunità per vivere in un posto in cui i valori e i principi in cui credevo erano condivisi e coltivati».

Negli anni ’60, i coniugi Caddy danno vita alla comunità di Findhorn guidata dagli insegnamenti dei Deva (maestri della natura). Tutte le attività della comunità erano ispirate da un amore profondo per la natura e per tutte le sue molteplici manifestazioni. Parlaci di Findhorn: come si struttura il villaggio, quante persone vi abitano, come si trascorrono le giornate ecc..

«Findhorn è ormai una realtà molto complessa e variegata, tant’è che mi verrebbe da dire che ci sono tanti modi di vivere qui quanti sono i suoi abitanti (all’incirca 350 persone!). Inoltre, in questo momento la Comunità sta attraversando un periodo di grande trasformazione, accelerata dalla pandemia.

Per farsi un’idea credo che sia necessario innanzitutto distinguere la Fondazione Findhorn dalla Comunità. La fondazione Findhorn è un centro spirituale in cui vengono organizzati laboratori e convegni; la Comunità è formata dalle persone che privatamente hanno scelto di vivere in prossimità della Fondazione. Quindi, chi vive nella Comunità ha o affitta una casa e può scegliere di partecipare ad alcune attività della Fondazione a titolo volontario o partecipare ad alcune delle iniziative a pagamento. Nella Fondazione ci sono le persone che vi lavorano (residenti e non)  e supportano l’organizzazione delle varie iniziative e gli ospiti che arrivano per periodi più o meno lunghi. Come dicevo, approssimativamente ci sono intorno alle 350 persone che vivono nel posto. La stima è molto difficile perché molte persone spendono un periodo dell’anno qui e poi tornano a casa altre vengono e poi vanno.

Questa grande fluidità è data dal fatto che l’idea portante di Findhorn è proprio quella di essere un centro di trasformazione che possa permettere alle persone di capire come condividere le proprie doti naturali con il resto del mondo. A Findhorn ci sono moltissime attività e, infatti, la prima cosa che ho dovuto imparare è stata proprio la capacità di dire di ‘no’ e non scordarmi di riposare! Una cosa molto importante è che ognuno è libero di scegliere a cosa partecipare e trovare il giusto ritmo».

Come si vive in un ecovillaggio?

Puoi descriverci una giornata tipo? 

«Sono diverse le attività che di solito la caratterizzano. Durante la mattina c’è la possibilità di partecipare alla meditazione silenziosa, alla meditazione guidata e ai canti Taizè, attività che si ripetono anche nel pomeriggio. Di sera solitamente ci sono dei corsi di danza (sacra, biodanza, danza scozzese), delle lezioni, concerti, celebrazioni delle festività stagionali.

Una pratica dal mio punto di vista molto importante è l’attunement (sincronizzazione), una piccola meditazione per allineare le persone tra di loro e con ciò che le circonda. Questa pratica viene generalmente svolta ogni volta che qualcuno inizia un’attività».

Che cosa hai trovato a Findhorn al punto da decidere di stabilirti definitivamente? 

«In realtà io non ho mai deciso di stabilirmi a Findhorn definitivamente e in futuro (più o meno lontano) credo che rientrerò in Italia. Infatti, questa esperienza mi ha portato a riscoprire un forte legame con le mie radici e la ‘mia Terra’.

Le cose che però mi fanno essere felice di essere a Findhorn sono molte. Prima di tutto il grande rispetto per la libertà e la ricerca del confronto, grazie ai quali nella Comunità vivono persone provenienti da tutto il mondo. Inoltre per me è stato importante trovarmi circondata da persone che hanno una visione del mondo simile alla mia, basata sull’idea che gli esseri umani non sono solo entità fisiche, ma anche spirituali come anche tutto ciò che ci circonda. Una spiritualità che porta a vivere nel rispetto di tutto ciò che ci circonda: persone, animali, piante o entità ‘più sottili’».

Hai frequentato il Corso per diventare Facilitatrice del Gioco della Trasformazione, che per te ha rappresentato il culmine del tuo cammino all’interno della Fondazione Findhorn. In che cosa consiste il gioco e cosa ha significato per te? 

«Il Gioco della Trasformazione è uno strumento per lo sviluppo personale che nasce nella Comunità intorno agli anni ‘70 dal lavoro fatto da Joy Drake e, successivamente, Kathy Tyler.

Inizialmente lo scopo era quello di creare un modo perché i membri della comunità potessero fare pratica, giocando, sui principi fondamentali del luogo. Infatti, questi primi giochi erano svolti a ‘grandezza naturale’ e potevano durare anche molto tempo. Successivamente a questa intenzione si aggiunse anche l’idea che il gioco potesse diventare un modo per far sperimentare questi principi anche alle persone che non potevano andare fisicamente e vivere per un periodo nella Comunità. Così il gioco venne messo in una scatola perché potesse diventare trasportabile e divenne un gioco da tavola!

Per me il training è stata un’esperienza estremamente intensa e significativa dal punto di vista personale, formativo e professionale. Grazie a questa esperienza ho capito come meglio valorizzare le mie capacità e condividerle dal punto di vista lavorativo. Inoltre, proprio durante queste settimane è iniziato il viaggio più bella della mia vita che mi ha portato, nove mesi più tardi, a dare alla luce alla mia bambina».

Imparare a volare

Mossa dal desiderio di condividere ho creato il sito Learning to Fly. Uno spazio di trasformazione in cui supporti le donne sensibili a riconnettersi con il loro intuito per fare chiarezza sul loro proposito di vita. Ti consideri una donna che supporta altre donne a trovare il loro personale potere. Di che cosa ti occupi precisamente?

«Vi è mai capitato di avere la sensazione di non star vivendo la vostra vita, di voler cambiare ma non sapere cosa volere fare? Questo è un po’ il modo in cui mi sono sentita io quando ho deciso di lasciare tutto per trovare me stessa.

La sfida che mi sono posta è quella di condividere ciò che ho imparato durante il mio Dottorato di Ricerca e sperimentato a Findhorn per supportare altre persone, partendo da dove sono per evitare loro di dover rinunciare anche a quello che c’è di bello nelle loro vite, per riuscire a creare una vita che li rappresenti, li valorizzi e che abbia un significato autentico.

Come ti avevo anticipato precedentemente la lontananza dal mio Paese mi ha fatto riscoprire un forte legame con la mia terra di origine e questo è il motivo per cui decisi di iniziare a lavorare anche on-line così da potermi rivolgere anche alle donne italiane (scelta che poi si è rivelata molto valida durante la pandemia!).

Le persone che lavorano con me arrivano a riscoprire il loro Proposito di Vita e farlo emergere nella loro vita privata e lavorativa. Mi considero una donna che supporta altre donne a trovare il loro personale potere perché il rilassarsi in ciò che si è permette, nella mia esperienza, di maturare la capacità di scegliere le ciò che ci permettono di valorizzare le nostre doti naturali e accettare serenamente ciò che non è fatto per noi.

Lavoro prevalentemente con donne che hanno una forte sensibilità, ma negli ultimi mesi ho iniziato a seguire anche alcuni uomini con grande soddisfazione».

Hai una figlia piccola, Celeste. Come è crescere un figlio in Scozia? Penso all’istruzione, ai servizi per l’infanzia, alle agevolazioni per le mamme, eccetera. 

«Celeste ha 4 anni e, quindi, la mia esperienza nel mondo dell’istruzione è abbastanza limitata. Attualmente sta frequentando un asilo Waldorf che è stato fondato da dei membri della Comunità. Quello che a me piace veramente molto è il contatto con la Natura e quanto i bambini siano incoraggiati a spendere tempo a giocare all’aperto nonostante il tempo non sia sempre facile.

Sono molto grata di aver avuto la possibilità di far nascere Celeste a casa e che questa sia stata una possibilità offerta dal Servizio Sanitario Nazionale. Un’altra cosa che mi ha colpito è che subito dopo la nascita, Celeste ha ricevuto la sua tessera della biblioteca che è diventato uno dei nostri posti preferiti molto velocemente. Dal punto di vista personale devo confessare che la lontananza dalla mia famiglia è stata una prova difficile che è stato amplificato dall’esperienza della pandemia».

Italia vs Scozia

Inevitabile un confronto tra l’Italia e la Scozia. Che differenze ci sono tra i tre Paesi?

«Ovviamente il clima, il mangiare e la lingua! Diciamo che quando sono in Scozia sento la mancanza della mia famiglia, del sole che brucia sulla pelle, del sapore della frutta appena colta e il nuotare in mare. Quando sono in Italia, sento la mancanza della natura, della vastità dei panorami, del silenzio, del profumo del bosco, della bassa marea, delle anatre e del cambiamento della luce tra una stagione e l’altra e anche dei menu per bambini!».

Che cosa vuol dire ricominciare in un altro Paese e come è cambiata la tua vita da quando vivi in un ecovillaggio?

«Per me ha significato sospendere tutto ciò che ero per scegliere ciò che era rilevante da ciò che era per me superfluo. La grande sfida è stata poi quella di integrare quello che sono diventata con ciò che ero prima di partire e riuscire a condividere gli insegnamenti che avevo sviluppato».

Ti manca l’Italia e ci torneresti? 

«Sì, sicuramente. Anzi direi che lo sento in un certo senso doveroso proprio per condividere le esperienze e gli insegnamenti che io ho avuto la fortuna di maturare a Findhorn. D’altronde la Comunità nasce specificatamente come un luogo per ‘ritrovarsi’ e poi tornare fuori e  mettersi a lavoro e condividere con gli altri quello che si è potuto maturare. La corrente spirituale che è alla base di questo ‘esperimento’ si chiama ‘Incarnational Spirituality’ e interpreta la vita quotidiana come una grande opportunità per mettersi in gioco e crescere».

Progetti per il futuro?  

«Tanti e pieni di entusiasmo! Alla base di tutti c’è il supportare quante più persone possibile a non sentirsi sbagliate nel momento in cui si ha bisogno di cambiare e credere che sia possibile essere se stessi e condividere le ciò che per noi è rilevante e appassionante.

Ovviamente c’è anche un po’ di voglia di riprendere ad affiancare il lavoro online con dei laboratori da fare in presenza!».

Per contattare Carolina Nuti ecco i suoi recapiti: 

Sito: learningtofly.today

Fb: Carolina Nuti – Vivere nella tua Essenza

Email: carolina@learningtofly.today

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