Vacanze alternative in barca

Di Gianluca Ricci

Quando tutte le strade sono state battute, quando i sentieri – anche i più remoti – sono stati esplorati da capo a fondo, quando persino vulcani e ghiacciai sono diventati merce da catalogo, non è rimasto che buttarsi nell’acqua. Sull’acqua, meglio. Sulle vie d’acqua, per la precisione.

Da anni ormai un segmento sempre più consistente dell’offerta planetaria per turisti e viaggiatori si è indirizzato sulle vacanze d’acqua. Mari, laghi e fiumi sono diventati superfici di conquista per chi, avvezzo ormai alle consuete modalità di scoperta del mondo circostante, ha voluto provare sensazioni nuove. In principio fu la barca a vela, sogno proibito di tutti coloro che immaginavano nuove prospettive per una vita poco soddisfacente: vendere tutto, investire in dodici metri di vetroresina e via per il mondo, senza alcuna barriera se non il vento e le perturbazioni.

Un sogno costoso, difficile da rendere costantemente concreto a meno di non possedere insospettate risorse o rendite vitalizie. Molti si sono accontentati di assaggiare, un morso rapido alla vita che non si è fatta giusto per vedere come sarebbe stata: e allora a bordo con l’amico skipper, a fare il mozzo in cambio di una traversata coast to coast per far trovare all’ancora la barca al proprietario giunto intanto in aereo fra mille comodità.

Oppure una settimana a noleggio, un modo come un altro per sfiorare l’obiettivo: una stravaganza che in qualche anno è diventata una moda, oggi peraltro abbordabile anche a livello di costi. Croazia, Grecia, Turchia, per rimanere nelle acque più familiari; ma anche Caraibi, Indonesia, Australia, se non ci sono limiti alla fantasia e al portafoglio. Un business di tutto rispetto, che ha portato alcuni ad aguzzare l’ingegno e ad estendere l’offerta anche alle più placide acque interne.

Molti i vantaggi, irrisori gli svantaggi: certo, il mare è il mare, ma lo è anche quando fa i capricci e obbliga a trovare ripari di fortuna quando meno ce lo si aspetta. Mentre su laghi e fiumi la navigazione, pur perdendo il fascino della sfida, diventa una vera metafora dell’esistenza, un lento e inesorabile procedere verso la foce o l’emissario senza nient’altro a cui pensare se non, per l’appunto, pensare. Una meditazione più che un viaggio, che permette però di disinteressarsi del meteo e di avvicinare realtà più effervescenti che non spiagge e calette.

In men che non si dica le vacanze in houseboat sono esplose, diventando un’offerta alternativa alle consuete modalità di esplorazione e scoperta di un territorio. Dalle paludi della Francia si sono estese all’Irlanda, all’Italia, alla Germania, a tutti quei Paesi in cui corsi d’acqua navigabili si sono trasformati in opportunità turistiche, meglio se dotati di qualche canale o chiusa da superare con ardite manovre. Le houseboat sono diventate veri e propri camper sull’acqua, piccole casette in vetroresina alla mercé della corrente e della voglia di conoscere dell’equipaggio.

Lungo le vie d’acqua sono così nati i primi approdi in grado di accogliere i nuovi esploratori, finché qualcuno non ha pensato che forse il vero piacere non era tanto farsi trascinare a mare dalle acque quanto quelle stesse acque dominarle da una base stabile e sicura. Così prima ha ormeggiato le barche, poi le ha arredate e infine le ha affittate come se fossero stanze d’albergo, un albergo sì, ma galleggiante.

Dall’albergo al campeggio il passo è stato breve, anche se meno intuitivo, ma c’è stato. L’idea l’ha avuta uno svedese, che ha pensato di attirare la curiosità di quanti ambivano ad una scoperta lenta del territorio proponendo loro di costruire una zattera e di lasciarsi andare seguendo la corrente del fiume e dormendo sotto una tenda alla prima ansa utile. Assistenza discreta, ma impeccabile. Divertimento assicurato, e pure qualche acciacco: ma la conoscenza pretende qualche sacrificio…