Italiani in Argentina: la vita di Bruna a Buenos Aires
Buenos Aires
La prima volta che ho visto Buenos Aires mi è parsa una città familiare, come capita a tutti gli italiani che vengono qui in vacanza. Subito sono i tassisti a darti l’impressione del nonno emigrante, o della memoria che tutti abbiamo dell’emigrazione cominciata i primi del ‘900 e proseguita massicciamente fino al 1960 in Sud America. Il tassista ci parla con una cantilena che mescola i nostri dialetti con lo spagnolo d’Argentina e anche se non si capisce niente di quello che dice, ci dà la sensazione che stia parlando a noi e non a un turista qualsiasi. Vengo a Buenos Aires dal 2004 una volta all’anno e ogni volta che ritorno in Italia mi prende una nostalgia terribile e sono costretta a ricomprare un biglietto aereo.
Questa città mezza italiana e mezza spagnola, mezza corrotta e mezza onesta, mezza benestante e mezza povera o poverissima, mezza malinconia e mezza allegra, mezza festaiola e mezza silenziosissima, mezza elegante e mezza sottoproletaria, ha una capacità di accoglienza che non ha eguali al mondo. E’ questo suo essere un po’ di tutto, senza nessuna pretesa di perfezione, a far entrare nell’onda. L’onda non sai mai dove ti porta, né cosa ti farà provare, e a differenza di quella del mare, l’onda di Buenos Aires non ti lascia mai spiaggiato. Ho viaggiato molto e non ho trovato nessun luogo che mi facesse provare la consapevolezza di stare meglio altrove piuttosto che nel mio bellissimo paese.
Qui non sei mai sicuro di tornare a casa con il portafogli con cui sei uscito, né di non finire nel mezzo di una sparatoria, eppure chi conosce Buenos Aires nell’anima e si lascia rapire, non riesce a preferirle una spiaggia della costa Smeralda o della Calabria, né la vita tranquilla di un nostro paese medioevale immerso nel verde di morbide colline. Ci sono molte cose che mancano a Buenos Aires a noi italiani. Molte cose che ci irritano, pretenziosi come siamo di perfezione e abituati a regole europee.
Qui fatichiamo a sopportare tutto quello che non funziona, che è tantissimo, dai mezzi pubblici alla richiesta di un documento, dalla spesa al supermercato che richiede ore, alle file infinite per ogni cosa. Non ci piace la monotonia della cucina, né la poca voglia di collaborazione degli argentini se sei in difficoltà. Ci irrita aspettare mezz’ora un panino o chiedere dieci volte la stessa cosa quando non capiscono cosa vogliamo o semplicemente non hanno voglia di sforzarsi troppo. Eppure dell’Italia, a conti fatti, non mi manca niente. Entrare in un bar e non essere disturbati per ore anche se si beve solo un caffè, già ripaga di tutte le difficoltà del Sudamerica.
La gentilezza dei camerieri, orgogliosi del loro mestiere, rispettosi del cliente come da noi ce n’è sempre meno, vale il tempo dell’attesa. Poter comprare una bottiglia d’acqua o uno snack a qualsiasi ora del giorno e della notte, avere sempre un luogo dove andare, un spettacolo da vedere, una conferenza cui assistere, un tango da ballare anche per la strada, essere invitati nelle case di gente sconosciuta a una festa o a un pranzo, fa dimenticare la noiosa Italia. La possibilità di uscire di casa e avere sempre qualcosa da fare anche se non si ha nessun programma, in una città che offe tantissimo, e spesso gratis, alla sua gente, fa pensare a un’Italia che non ama i suoi figli, che non li stimola, non li culla, non offre, in cambio di tasse salate, quello che qui al contrario è abitudine, nonostante le tasse le paghino la metà degli argentini. Quello che forse tanto tempo fa c’era in Italia, qui c’è ancora. In una città con una delinquenza altissima e una storia politica tra le più sporche dell’America Latina, dove solo nove anni fa la polizia ha ucciso 29 persone che protestavano in piazza contro la crisi economica, la paura non impedisce alla gente di fermarsi a parlare, dare informazioni e perdere tempo per te, perfetto sconosciuto. Gli argentini, a differenza degli italiani, hanno una capacità straordinaria di comunicare in modo diretto, ad altezza di pancia e di cuore. Anche se mentono per apparire migliori di quello che sono, li smascheri in fretta e li perdoni. Sull’autobus nessun anziano resterà in piedi, nessuna donna incinta, nessun handicappato.
E nessun di loro, quando li fai sedere, si dimenticherà di ringraziare dicendoti che sei molto gentile. I bambini si possono accarezzare perchè le madri son orgogliose di esserlo e pur avendo il problema della pedofilia e dei rapimenti dei bambini che qui è molto più grave che in Europa, intuiscono che tu non sei quella persona, ma l’altra, quella che che i bambini li ama. Sembra incredibile che questo paese martoriato e ridotto sul lastrico in pochi anni, dove ti possono sparare per venti pesos, dovrebbero avere molta più paura di noi a parlare con sconosciuti e invece non ce l’hanno. Noi che non abbiamo provato nemmeno la metà di quello che hanno provato loro, siamo sempre sulla difensiva. L’Italia, vista da qui, sembra piccola e provinciale, immobile ed egoista. Da noi non si può fare niente, qui si può fare quasi tutto. Certo, molto è illegale, ma l’illegalità è accessibile a tutti, mentre in Italia sono perseguiti più gli onesti che sbagliano una volta sola piuttosto che i disonesti o i furbi incalliti. Qui le leggi si aggirano per sopravvivere, da noi per fregare. Gli argentini sono curiosi, gli italiani sanno già tutto.
Qui ascoltano molto, interagiscono, fanno milioni di domande. Qui tu gli interessi perchè gli porti qualcosa di nuovo. Se fanno un errore, come urtarti per la strada, si scusano subito. Non si mettono a battibeccare su chi ha ragione, se toccava prima a me o a te. L’errore viene riconosciuto perchè l’autorità cui sono stati sottoposti per molti anni ha insegnato così. Le regole dell’educazione primaria, che noi abbiamo totalmente perso, qui resistono. Ci sembra bellissimo ricevere un saluto al mattino o uno sguardo ricambiato in mezzo a un fiume di trecento persone che esce dalla metropolitana alle sei di sera per tornare a casa. Ci sembra stranissimo che nonostante lo stress del lavoro e degli spostamenti (qui le distanze sono enormi) ricordino le regole della convivenza civile. Ecco, a Buenos Aires si sta bene perchè nessuno è trasparente, nessuno giudica e ognuno sa stare al suo posto. A Buenos Aires c’è vita, in Italia luoghi e persone sono spenti. Qui si festeggia ogni cosa e ci si riunisce per l’asado tra amici o parenti ogni settimana. Qui si usano espressioni affettuose nel colloquio normale e anche gli uomini si abbracciano con spontaneità. Ognuno può avere un’opinione diversa, eppure gli argentini si sentono uniti, e questa unità sincera, questo amore sincero per la propria terra e il proprio paese, da noi non c’è. Forse era così nell’Italia degli anni ’50, ma chi se la ricorda più?
Bruna Bianchi