Scandinavia, fine di un’isola felice

Di Gianluca Ricci per Voglio Vivere Così Magazine

 

Non c’è più la Scandinavia di una volta, verrebbe da dire osservando gli ultimi movimenti politico-amministrativi dei Paesi nordeuropei un tempo simbolo del vivere bene e della pacifica convivenza.

Pur restando saldamente piazzati ai primi posti di tutte le classifiche mondiali del benessere, Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca stanno iniziando a conoscere i primi guasti sociali, causa di piccoli ma significativi malesseri.

Primo fra tutti l’insorgenza dei populismi e delle spinte nazionaliste, fenomeno comune a molti altri Paesi europei in questa specifica fase storica che però nessun osservatore politico aveva previsto potessero trovare terreno fertile anche a quelle latitudini.

La fiducia che migliaia e migliaia di scandinavi ripongono in forze che fanno della difesa dei propri confini e dei propri interessi il punto imprescindibile della loro azione pare sia provocata dalla percezione di una frattura sempre più netta fra cittadini e istituzioni: lo stato sociale, mito politico e culturale della Scandinavia a cui tutti i Paesi evoluti d’Europa guardavano con interesse e un pizzico di invidia, sta subendo pericolose contrazioni, la causa delle quali molti hanno voluto attribuire all’aumento della presenza di immigrati all’interno dei confini nazionali.

Pur trattandosi di numeri modesti ed essendo diminuiti i flussi del 70% rispetto a qualche anno fa, tuttavia gli autoctoni preferiscono individuare nel “nemico” comune i motivi dell’impoverimento delle politiche sociali che oggi faticano a suscitare l’ammirazione dei vicini.

Eppure in Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca il pil è in costante aumento e i tassi di disoccupazione risultano ancora fra i più bassi del continente: ciò che i cittadini temono è comunque lo smantellamento del welfare o per lo meno la sua condivisione con persone, gli immigrati appunto, che al momento faticano a contribuire al suo mantenimento.

La recessione, che pure lassù si è fatta sentire, ha dato l’occasione ai ceti meno abbienti – e quindi più penalizzati dalle conseguenze della crisi – di riversare sui nuovi arrivati le colpe di tale situazione.

La Scandinavia non è dunque più l’isola felice di cui si favoleggiava fino a qualche anno fa: le prime crepe al sistema si sono fatte sentire, con tanto di scandali e clamorosi episodi di corruzione (come la vicenda della Danske Bank, accusata di aver gestito in modo poco chiaro trenta miliardi di dollari provenienti dalla Russia).

Oggi, ahinoi, possiamo proprio dire che tutto il mondo è paese…