Esperienza di volontariato in Congo
Roberta Grieco, 44 anni, di La Spezia, ci racconta la sua esperienza come volontaria in una missione in Congo: un modo “diverso” di espatriare, seppure tornando a casa, che permette lunghi viaggi fuori e dentro di sé.
Roberta perché hai scelto di fare del volontariato in un paese povero all’altro capo del mondo?
Ho sempre avuto questa spinta e non è la prima volta che mi dedico a questo tipo di esperienze. In passato, ho fatto corsi con la Croce Rossa e la Protezione Civile. Sono stata in Abruzzo, ad Amatrice, all’epoca del terremoto. Ultimamente, ero in cerca di esperienze a più largo raggio, in uno di questi paesi nei quali ci sono situazioni estremamente dure e difficili.
Come hai scelto la missione nella quale hai prestato la tua opera e perché il Congo?
La mia ricerca è iniziata tramite internet. Cercavo delle missioni che accettassero volontari laici. Alcune di queste necessitavano specializzazioni mediche che io non ho, come Medici Senza Frontiere. Altre esigevano un budget troppo alto.
Ricordo che il volontariato è auto-sovvenzionato (spese di viaggio, vitto e alloggio sono a carico del volontario) e, in alcuni casi, la richiesta era troppo alta per me: circa 3.000 euro. Alla fine, ho trovato la VO.I.CA (Volontariato Internazionale Canossiano).
Il prezzo era accessibile alle mie tasche (1.200 euro per il viaggio e 100 euro per il vitto e l’alloggio di un mese). Ho trovato i contatti nel sito della ONG e mi sono incontrata a Roma con la responsabile della missione, Suor Silvana. Dopo poco tempo ero già nella loro missione ad Aru, in Congo, al confine con l’Uganda.
Dove c’è VO.I.CA, c’è sempre almeno una mensa, un ospedale e, soprattutto, una scuola vero?
Sì. Ha a che vedere con il “carisma” della fondatrice dell’ordine. S. Maddalena di Canossa era una ricca nobildonna veronese che, all’inizio dell ‘800, decise di lasciare tutti i suoi beni e dedicarsi all’assistenza dei poveri. La missione delle canossiane si basa su 4 pilastri: spiritualità, formazione, comunità e servizio.
Mi ha colpito in particolar modo la voce “formazione”, collegata all’idea di dare un’istruzione – attraverso la fondazione di scuole – ai più poveri della terra.
All’arrivo delle prime missionarie canossiane in Congo (negli anni ’60), lo scopo era proprio incitare soprattutto le bambine ad andare a scuola, ad accedere a un’istruzione che, tendenzialmente era loro negata. Come in molti di questi paesi, se i genitori se lo potevano permettere, i maschietti venivano mandati a scuola, mentre le bambine venivano, sin dalla più tenera età, avviate ai lavori di casa, alla cura dei fratelli minori e alla coltivazione dell’orto, per diventare poi mogli dedite alla casa.
Tuttavia, per poter entrare in contatto con la popolazione, e vista la necessità impellente, le suore iniziarono dalla cura dei malati di lebbra e tubercolosi, creando ospedali. In questo modo, riuscirono a conquistare la fiducia delle persone e, un po’ alla volta, implementare tutti gli altri servizi, tra i quali, appunto, la scuola.
Come sono queste scuole?
All’inizio erano soprattutto scuole femminili, ora sono miste. Per accedervi, chi può dà un piccolo contributo che serve anche a garantire l’accesso ai bambini i cui genitori non sono in grado di pagare nulla. E, intendiamoci, stiamo parlando di cifre irrisorie, cifre che possono essere pagate da un povero contadino o un povero venditore ambulante africano!
Le scuole dei più piccoli sono senza libri (non se li possono permettere). Tutto si basa su trascrizioni alla lavagna, ripetizioni orali e appunti scritti a mano. Consuetudine che si mantiene anche nelle scuole superiori e all’università. Alla fine, questa è diventata una sorta di cultura. Anche i professori usano i loro appunti per insegnare, i libri sono quasi inesistenti.
Infine, bisogna dire che sta timidamente arrivando anche internet. Il dubbio è che questo passaggio veloce, senza un adeguato processo di assimilazione (come quello che abbiamo sperimentato nei paesi occidentali), possa creare problemi maggiori, collegati a una eccessiva “brama” di consumismo all’occidentale.
Com’era la tua vita nella missione?
Vivevo nella missione e mi occupavano della panetteria, una panetteria messa su da un volontario italiano, Luca, per produrre e vendere del pane molto economico. Ora tutti lo chiamano il pane di Luca.
Ero quotidianamente in contatto con i bambini delle scuole. Infatti, ogni giorno partivo dalla panetteria in bicicletta per “vendere” la merenda: caramelle, pop- corn, bibite fresche. I pochi spiccioli raccolti contribuivano all’andamento della Missione. Ovviamente, regalavo io “le leccornie” a molti dei piccoli che non se le potevano permettere. Ho visitato l’ospedale e i villaggi intorno, dove ho potuto costatare che cosa significhi vivere veramente di niente, o quasi.
Il rapporto con la popolazione è stato molto facile: sono persone gentilissime cordiali, sorridenti e pacifiche. Si può capire come queste popolazioni possano essere stati facilmente preda dei colonialisti e, oggi, siano vittime di governi locali estremamente corrotti che le mantengono in uno stato di povertà assoluta, pur avendo a disposizione risorse immense.
Il Congo, come tutti sanno, è uno dei paesi più ricchi del mondo. C’è la via dell’oro, ci sono i diamanti, il petrolio. Ma alla popolazione non arriva quasi nulla.
Parlaci dell’importanza della solidarietà tra queste persone poverissime
Sì, come immagino in altri paesi poveri, le persone sono estremamente solidali tra di loro. Riescono a condividere il nulla. Chi può aiuta l’altro. Inoltre, c’e molta fiducia nel prossimo. Mi ha stupito molto questo senso di tranquillità che si respira nei villaggi. I bambini, ad esempio, sono sempre fuori, giocano tranquillamente per la strada e possono fermarsi per giorni a casa dei vicini senza che i genitori si preoccupino.
La solidarietà è un caposaldo di queste comunità
Che cosa può apportare, dal tuo punto di vista, questa esperienza?
Intanto, ti metti alla prova. Se è vero che vai per aiutare gli altri, è anche vero che, sotto, sotto, c’è pur sempre una sfida con se stessi. Ho imparato ad adattarmi a un modo di vivere che non ha nulla di comodo. Per farti qualche esempio, la doccia nella missione si faceva con un secchio e un pentolino; il cibo, poco, si condivideva con tutti. Le stesse suore, che si mantengono da sole con il loro lavoro, si privano di certi alimenti costosi, come il pesce, per poter così comprare sacchi di riso da dare ai poveri.
Infine, non riesci a restare indifferente ai problemi gravi e seri che ti si presentano quotidianamente, per cui io ho deciso di adottare una bambina a distanza, Divine. Divine è una bambina di un anno e mezzo. È stata “adottata” dalla missione poiché la madre tentò di ucciderla durante le prime due settimane di vita, sottoponendola a vere proprie torture, come lasciarla sotto il sole cocente, maltrattarla o darle da bere dell’alcol. Fortunatamente, qualcuno se n’è accorto e l’ha consegnata alle suore della missione. Ma questa è soltanto una delle tante storie dure in cui s’incappa facendo questo tipo di esperienza.
Infine, il volontariato in questi paesi arricchisce più di quanto uno possa pensare. Nel mio caso, essendo l’unica “bianca” del villaggio – all’inizio eravamo in due arrivate dall’Italia, poi sono rimasta sola-, ero “la diversa”. E questo non perché abbia avuto problemi con la popolazione, che è sempre pronta a regalarti un sorriso. Però lì ero la sola “Mundele” (N.d.a in lingala, la lingua locale, significa “bianca”). Mi sentivo un po’ marziana e questo, con il senno di poi, fa bene, ti apre gli orizzonti, ti aiuta a smantellare un po’ i pregiudizi, soprattutto al rientro in patria.
Quali consigli puoi dare a chi desidera fare un’esperienza come la tua?
Allora, intanto di avere uno “stomaco molto forte”. Ho visto bambini lebbrosi, che, se curati, possono fortunatamente guarire, neonati completamente deformati dalla malnutrizione…l’approccio non è facile. Poi occorre una straordinaria capacità di adattamento e flessibilità. Bisogna essere pronti a fare di tutto ed essere capaci di occuparsi degli altri prima che di se stessi: un esercizio che consiglio a tutti!
Per mettersi in contatto con la missione delle canossiane: