Ma vediamo com’è stato il suo percorso e quali sono state le difficoltà iniziali.
Intanto, come ha scoperto la passione per la danza classica?
La prima volta che entrai in contatto con la danza fu un giorno d’estate a casa dei miei nonni materni. Era l’ora di pranzo ed in TV c’era un balletto classico. Forse c’era Nurejev. Avevo probabilmente cinque anni e tuttora ricordo che rimasi incantato davanti allo schermo. Diciamo, catturato da quelle splendide evoluzioni. Perfezione pura. Quello fu un giorno singolare, l’inizio di un viaggio meraviglioso.
I suoi genitori l’hanno sempre assecondata?
Da bambino i medici mi diagnosticarono una malattia che mi rese molto debole, estremamente magro e con una dieta ferrea da seguire. Per circa sei settimane l’anno, fino all’età di sette anni, dovevo essere ricoverato all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, per continui controlli. Bisognava capire come continuare le cure. Lì, il primario del reparto disse a mia madre che per irrobustirmi avrei dovuto iniziare a fare dello sport, nuoto o danza. Vicino casa c’era una scuola di danza che organizzava corsi di propedeutica e mia madre decise di iscrivermi. Negli anni Ottanta a Reggio Calabria un bambino dell’età di sette anni, che va a balletto con le amiche del palazzo, non è certo ben visto.
Esistono ancora dei pregiudizi?
Purtroppo esistono ancora. Ricordo ancora le lezioni. La mia maestra. La sala. Le sbarre di danza. Dopo solo sei mesi, l’insegnante, una étoile del San Carlo di Napoli, chiamò di nascosto mia madre, la fece assistere alla lezione dietro uno specchio e alla fine le disse: suo figlio è fatto per essere un ballerino, deve trasferirsi a Milano o Roma per iscriversi alla scuola della Scala o all’Accademia dell’ Opera. Inutile descrivere le reazioni che ebbero i miei genitori.
Cioè?
La settimana dopo smisi di fare danza e mi iscrissi a lezioni di atletica leggera. Ho continuato ad avere questa passione, anche dopo essermi iscritto al conservatorio di musica per studiare chitarra classica. Il mio amore per la danza era sempre forte e non ha mai smesso di bruciare.
Poi cosa è successo?
All’età di 14 anni, un giorno speciale, dopo pranzo, mi feci coraggio e andai a parlare con mio padre. In lacrime gli confessai che la chitarra classica non era la mia passione. L’unica cosa che mi interessava fare, l’unico mio vero amore era la danza. La mia famiglia, comunque, ha sempre dato molto spazio a me e mio fratello. Ci ha sempre permesso di fare delle scelte libere e ancora oggi sono molto grato ai miei. Però i miei desideri sfidavano la pazienza di mio padre e mia madre.
Ma con determinazione è andata avanti. E ce l’ha fatta. In Italia, diceva, fare il ballerino è impossibile.
Purtroppo in Italia il lavoro del ballerino o danzatore non è visto come tale. Se dici che fai danza, subito pensano che lavori in TV o in discoteca.
Chi ha pagato i suoi studi?
I miei studi artistici sono sempre stati sostenuti in parte dai miei genitori ed in parte dalle varie borse di studio, che ho accumulato negli anni. A diciotto anni, i miei mi hanno dato la libertà di trasferirmi a Milano e seguire una vera e propria Accademia di danza. Ma se i miei progressi non fossero stati ottimi, sarei dovuto rientrare a Reggio Calabria. Questo era il patto. Nel 1996 vinsi un concorso nazionale a Roma e quella fu la mia prima vetrina. Susanna Beltrami, quel giorno in giuria, mi notò e mi diede la prima borsa di studio per la sua Accademia.
Una grande soddisfazione!
In quegli anni ho dovuto lavorare il doppio per rimettermi alla pari con gli anni persi di studio. Un ballerino all’età di diciannove anni dovrebbe essere già formato. Ho lavorato duramente, con molta disciplina ed a vent’anni, grazie ad una buona scuola e un fisico che mi ha sempre aiutato, appena diplomato, ebbi il mio primo contratto di lavoro.
Però, ha scelto l’estero per lavorare! Ci spiega perché ha mollato l’Italia?
Purtroppo la carriera di un danzatore è breve e nei quindici anni che hai a disposizione per utilizzare il tuo corpo al meglio, vuoi fare più esperienze possibili. Il bello di questo lavoro e’ che hai la libertà di scegliere e trasferirti facilmente da un Paese ad un altro. Non hai bisogno di una particolare conoscenza della lingua. Non hai bisogno di permessi particolari. L’unica cosa che ti serve è il talento. E’ ovvio, devi avere anche una buona scuola alle spalle e molto coraggio, tanta determinazione. Prima di lasciare l’Italia ho ballato nella compagnia Aterballetto, che ha sede a Reggio Emilia. Aterballetto è in Italia una delle compagnie più ambite per un danzatore. In quel periodo, Mauro Bigonzetti, credette subito in me e mi offrii un contratto come apprendista.
Poi?
Dopo quattro mesi entrai a far parte dell’organico della compagnia. Lì ho avuto la possibilità di danzare con un bel repertorio e di iniziare a viaggiare per il mondo: Brasile, America, Asia e Russia. In quattro anni sono riuscito a crescere e maturare artisticamente. Nel 2005, dopo quattro stagioni in Aterballetto, sentii l’esigenza di cambiare. Imparare nuove strategie. Lavorare in altri modi. Rimettermi in discussione. Era fame di conoscenza. E credo sia questa una delle qualità importanti che un artista dovrebbe avere. Occorre infatti continuare a nutrire la creatività con esperienza nuove. In questo, Wayne McGregor, il coreografo col quale lavoro in questo momento, è stato ed è anche oggi un bell’ esempio.
Prima di Londra c’è stata la Germania. Giusto?
Sì, il balletto di Norimberga cercava dei ballerini solisti per la compagnia. La Germania è stata la mia prima esperienza all’estero. Lì, ho imparato come si vive fuori dall’Italia. Quali sono i privilegi e a cosa si deve rinunciare.
Cosa ha imparato?
Il modo in cui vengono tutelati gli artisti ed in questo caso i ballerini, lì è semplicemente perfetto. L’attenzione e la cura che il Paese ha nei confronti di ogni singolo cittadino è diversa da quella a cui ero abituato in Italia.
Ma non è stato doloroso lasciare la sua terra?
Lasciare l’Italia, la mia famiglia, i miei amici, i miei colleghi, la mia prima compagnia è stato difficile. Sapevo a cosa andavo incontro, ma il desiderio di fare esperienze nuove, è stato più forte. Non ho mai avuto legami che mi hanno bloccato. Ho sempre vissuto in piena libertà e continuo a farlo. In Germania mi sono ritrovato solo. Nuovi colleghi e nessun amico. I primi tre mesi sono stati tremendi.
Cosa è stato più difficile?
Il clima non aiutava, ma sapevo che sarei dovuto andare incontro a questi ostacoli per ricostruirmi. Dopo tre fantastiche stagioni al Tanztheatre Nuernberg capii che era arrivato di nuovo il momento di mettermi in discussione. In quel periodo Wayne McGregor cercava danzatori che entrassero a far parte della sua compagnia. Nel novembre 2007 mandai il mio curriculum e fui convocato. Senza dire nulla ai miei colleghi, presi il primo volo per Londra e andai a fare l’audizione.
E poi?
Dopo tre giorni, più di ottocento ballerini e sei ore di audizione ogni giorno, rientrai in Germania senza conoscere l’esito. Una settimana dopo ricevetti una chiamata. Il contratto era mio. Destinazione, Londra, Sadlers Wells.
Quali speranze può avere un ballerino calabrese a Londra?
Nel Regno Unito esiste la meritocrazia. qui se fai bene il tuo lavoro, sei premiato. Questo non sempre avviene in Italia.
Lavora in modo stabile?
Lavoro stabilmente per la Random Dance Company, che e’ residente al Sadler’s Wells Theatre di Londra.
Come sono accolti i ballerini italiani a Londra?
Non esiste un albo di ballerini italiani a Londra. La danza come qualsiasi altra arte non ha confini nazionali, e un ballerino italiano è uguale ad uno brasiliano. La possibilità di fare carriera c’è, ma solo per chi è determinato, al di là della sua nazionalità.
Mi descrive in poche parole cosa significa vivere a Londra?
Vivere a Londra è un’esperienza che tutti devono fare una volta nella vita. Questa città ti modella, ti fa capire come funziona il mondo, quali sono le priorità, in che modo valorizzare te stesso e gli altri. E’ un crogiolo di razze, religioni, culture, che aiuta la conoscenza di te stesso e degli altri. Non esiste il razzismo, non esistono differenze di politica, religione o di sesso. Mi rammarico solo del fatto che l’Italia non è così. Mi piacerebbe poter tornare nel mio Paese e vederlo fiorire con cultura come lo era secoli fa. Abbiamo il dono più bello al mondo, siamo degli artisti strepitosi e curiosi. Perché il Belpaese non e’ pronto ad accogliere questo? E’ come se soffrisse di un senso di colpa per essere troppo bello. Uno strano complesso d’inferiorità. E’ come se non volesse prendersi la responsabilità di essere la culla della cultura mondiale.
Londra è per tutti?
Per chi è determinato e pronto a scommettere sul suo futuro. In Gran Bretagna la qualità è ben pagata. Se deludi le aspettative di chi lavora con te, perdi tutto, perché ci sono altre cento persone, altrettanto talentuose, che aspettano di prendere il tuo posto. Non è la città ideale se sei un tipo a cui non piace la competizione. E’ il top se hai degli obiettivi nella vita. Ed io sono dell’idea che più stimoli hai, più cresci.
Quanto le è servito per ricominciare a Londra?
Il primo periodo londinese e’ stato molto duro. Londra è molto cara e di sicuro non è una città in cui ci si trasferisce per avere una vita comoda. E’ una metropoli e come tale ha i ritmi frenetici che ti dettano la giornata. I primi sei mesi sono stati davvero difficili. La qualità della vita era totalmente diversa da quella tedesca. Vuole sapere com’era la mia prima dimora londinese?
Prego!
Era una mansarda condivisa con un topino, che un giorno mia madre riuscì a catturare. Dopo quell’esperienza optai per una stanza, un appartamentino da condividere. Ma io sono molto indipendente e vivere con altri non è stato semplice.
Quindi?
Ho provato a stringere i denti e fare dei compromessi, ma senza risultato. Due esperienze molto difficili. A quel punto decisi di cercare un appartamento tutto per me. Questa volta in una zona meno cara di Londra. Ebbi la fortuna di trovare un bel bilocale in East London, la zona più trendy al momento ad un prezzo non troppo alto. Dal 2009 vivo in Dalston, che secondo Vogue, la rivista di moda italiana, è la zona più cool d’Europa.
Cosa porta della Calabria nel suo cuore?
In tutto quello che ho fatto fino ad ora, non ho portato solo dentro di me l’essere calabrese.
Cosa vuole dire?
Mi piace pensare e vedermi come un cocktail di razze ed esperienze. Certo, mantengo forte la mia italianità. Sono orgoglioso del mio Paese e in un futuro, non molto lontano, penso di rientrare e costruire qualcosa che abbia radici forti.
Con chi le piacerebbe lavorare?
Ho lavorato con i più grandi maestri. Adesso ho voglia, di creare qualcosa di mio, e diventare, come ho già detto, coreografo.
Dove le piacerebbe arrivare?
Adesso la mia attenzione si sta spostando lentamente verso la coreografia. Il mio sogno e’ diventare un coreografo indipendente e stabilirmi come tale nella scena nazionale e internazionale.
Perché?
Vorrei dare un messaggio di bellezza attraverso la coreografia. Usare le vie convenzionali e non convenzionali del teatro e di altri media per realizzare balletti che parlino di temi attuali. Insomma, vorrei stravolgere il vocabolario ballettistico. Una missione che richiederà tempo e molta disciplina. E’ una sfida che sono pronto ad abbracciare.
Sacrifici, rinunce?
Sono sempre stato molto ambizioso e forse è stata proprio questa qualità a farmi prendere decisioni istintive. Non ho mai voluto curarmi delle persone o delle cose che perdevo. Ho sempre pensato in modo costruttivo. Certo, non posso dire di avere una vita sentimentale molto ricca. Col tipo di lavoro che faccio, sempre in giro per il mondo, e’ difficile creare delle relazioni affettive durature. Ho molti amici sparsi per il mondo e quando mi sento solo, prendo il primo volo per Berlino, Amsterdam o Milano e vado a trovarli. Ma sono single al momento. Ci sarà tempo per questo, credo.
Cosa sta guadagnando?
Nuove esperienze nel campo lavorativo e relazionale.
Consigli ai ballerini d’Italia?
Continuare a lavorare con disciplina e dare fiducia ai coreografi che lavorano con loro. Curare molto il proprio corpo: il ballerino è uno strumento estremamente delicato e prezioso!
Cosa prova quando danza?
La danza per me è stata ed è ancora oggi, la mia vita. Nucleo fondante di tutto quello che faccio. Un ballerino, come qualsiasi artista, è tale perché vive con questo dono e lo porta dentro di sé, ovunque. Certo, la danza è anche un lavoro ed è forse uno dei mestieri più rigidi e duri al mondo. Ci vogliono disciplina, rigore e determinazione. Ogni giorno si deve rimettere in discussione tutto. Davanti ad uno specchio ci sei tu, il tuo corpo e la tua anima. Un viaggio di crescita che fai giorno dopo giorno per poi forse arrivare a trovare la perfezione. Sudare e buttare via tutto il superfluo, cambiare, insieme al tuo corpo, il modo di percepire la vita. Un’ evoluzione continua.
Lo spettacolo che porterà nel cuore?
In undici anni di carriera ho avuto la fortuna di lavorare con i più grandi coreografi del panorama internazionale. Porto nel cuore tutte le esperienze fatte con loro. Tutti hanno lasciato dentro di me un segno indelebile. Un’esperienza unica, che mi ha fatto crescere e ha arricchito il mio bagaglio artistico e culturale.
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