Margherita, una giramondo che ha scelto la libertà
“Credo che per non avere rimpianti sia importante cercare di conoscersi a fondo e fare scelte che non ci costringano a rinunciare a quello che per noi è vitale. Nel mio caso è la “libertà“. La libertà di essere una giramondo, di viaggiare, di conoscere nuove culture e modi di vivere differenti, la libertà di essere se stessa anche a costo di sacrifici e privazioni. Questa è la libertà per Margherita che fino ad oggi ha visitato tanti luoghi meravigliosi, uno tra i tanti la Tunisia, Paese che le ha dato moltissimo: una professione, un marito, un cane e un punto di vista privilegiato sugli eventi del mondo.
Margherita da dove cominciamo? La tua è una storia incredibile, sempre in giro per il mondo a contatto con culture diverse… Ma quale tra queste ti è entrata nel cuore?
“Incredibile” … Wow, grazie! In realtà non è poi così sorprendente, salvo il fatto che l’Italia è un Paese ancora piuttosto statico socialmente e quindi le esperienze all‘estero o l’anno sabbatico per i ragazzi, sono ancora percepiti come una perdita di tempo, quindi non è molto comune incontrare qualcuno che di sabbatici se ne sia concessi diversi. Io mi sono spesso presa dei periodi di “vacanza” nell’intermezzo tra una fase importante e un’altra della mia vita e in quel periodo ho viaggiato. Non me ne pento, ma non è stato sempre facile il rientro. Adesso non credo più che ci sarà un rientro e mi sento sempre un po‘ in vacanza. Inoltre viaggiare non è poi così caro, dipende molto da cosa si desidera e da qual è il grado di “comodità” o meglio di “scomodità”, che si è disposti a tollerare. Il mio è piuttosto alto. Una volta, uno dei miei due fratelli, dopo aver sentito qualche dettaglio sulla mia ultima avventura, mi disse con aria sorpresa: “ma sei una punk!”. Ecco, non andrei così lontana, ma diciamo che sono disposta a “viaggiare scomoda”. Quale meta mi è entrata nel cuore dici? Dunque, amo molto l’India perché fa bene alla prospettiva che abbiamo della nostra vita. Sogno ancora i paesaggi dello Yemen e vorrei tornare in Nepal, prima che diventi un villaggio turistico. Ma mi porto sempre tutto nel cuore. Non credo di poter scegliere la mia meta preferita. Chissà poi che non l’abbia ancora incontrata? C’è tanto mondo ancora da vedere…
Attualmente vivi e studi a Ginevra, cosa stai studiando e fino a quando ci rimarrai?
Studio Linguistica, è un master post-master. Tecnicamente lo chiamiamo un certificato di studi avanzati, nel mio caso, in Sintassi. Una di quelle discipline che non salvano la vita a nessuno, ma chi le studia lo fa con grande amore. Ad oggi so che rimarrò qui per un anno. Poi vedremo. Credo di aver voglia di un po’ di stabilità, anche per me è curioso ammetterlo e Ginevra è una bella città.
Ecco appunto…Ginevra, cosa ci racconti?
Sono arrivata a Ginevra da una settimana, prima sono stata qui solo per visite sporadiche d‘esplorazione. Ho trascorso l’estate in Francia, a caccia di un appartamentino nei pressi del confine franco-svizzero, perché Ginevra è carissima ed è una città che soffre gravemente per la mancanza di alloggi. Questo ovviamente manda gli affitti alle stelle e io non sono milionaria. Ora viviamo a Ferney Voltaire, la città di Voltaire appunto. E’ un grazioso borgo medievale e la nostra casa è a 500 metri dal confine. E’ una strana sensazione, siamo letteralmente sulla frontiera e passiamo da un Paese all’altro ogni giorno. Qua dormiamo, là lavoriamo, qui facciamo la spesa, là andiamo al cinema. E’ divertente pensare che i confini siano qualcosa di molto più flessibile di quello che avevo immaginato fino ad ora. Ginevra è una città che mi fa sentire a casa. E’ piccolina, si va ovunque a piedi. C’è gente da tutto il mondo, le minoranze sono un mosaico complesso che ricopre l’intero quadro della popolazione. Forse la vera minoranza è quella svizzera, che comunque mi pare sia una minoranza orgogliosa di questa grande capacità di integrazione. Inoltre non è la città tremendamente chic che temevo di trovare. Ha i suoi bei viali con negozi e case eleganti, ma è anche viva e alla mano. Ero arrivata con alcuni pregiudizi, ad esempio sulla puntualità e sulla pulizia, che come sempre si sono rivelati sbagliati. Io sono più “svizzera” di loro!
Quali differenze hai potuto riscontrare a livello strutturale e formativo tra l’Italia e i diversi Paesi in cui hai studiato?
Oddio questa è una domanda sulla quale si dovrebbe scrivere un trattato di 1.000 pagine e non sarei comunque io la persona adatta a rispondere. Molto in breve e in modo molto parziale. L’Italia è un gran bel posto, diciamocelo: si sta bene. La gente è simpatica, si mangia bene, il Paese è eccezionalmente vario e bello. Ma è anche tremendamente provinciale e chiusa. Ho amici eroici, per non parlare dei miei fratelli, che sono gente in gamba e preparatissima, gente che resta in Italia con tutte le difficoltà che conosciamo e che cerca di fare qualcosa di buono. Loro un po’ fanno compromessi con il sistema, un po’ lo sfidano e, spesso e con tanta tenacia, riescono. Li ammiro molto. Io non sono così paziente. All’estero c’è più flessibilità e mobilità, contano più le qualità personali che le relazioni interpersonali. Inoltre la mia formazione così “internazionale”, in Italia è percepita come un limite, come una mancanza di costanza (si legga: “fedeltà”), piuttosto che come una ricchezza e una prova di intraprendenza. Semplicemente non è il posto per me, ma torno sempre. Quest’anno sono stata a casa due mesi in tutto, perché non voglio mai dimenticare le mie radici. Spero di riuscire a mantenere sempre viva questa relazione.
Per due anni hai lavorato in Tunisia per un’Università statale, ci racconti qualcosa di quell’esperienza?
La Tunisia mi ha dato moltissimo: una professione, un marito, un cane, un punto di vista privilegiato sugli eventi del mondo. Abbiamo vissuto la “Primavera Araba” sulla nostra pelle. Per molte cose è simile all’Italia, un’amica di penna dice che le ricorda l’Italia del dopoguerra, quando la gente si arrabattava per vivere e bisognava essere uniti per andare avanti. L’università dove ho lavorato è nuova. Ha delle strutture molto belle ed è proprio una cattedrale nel deserto, perché è monumentale ed è collocata all’estremità sud della città di Tozeur, nel deserto del Sahara. Il dipartimento di Italiano è nuovo e come sempre nelle nuove istituzioni si naviga a vista. A volte questo è frustrante, ma è anche una grande occasione per testarsi ed imparare ad insegnare, perché la mancanza di organizzazione iniziale ha dato ai professori una grande autonomia. Mi ricordo la prima volta in cui mi sono trovata davanti ad una classe di 70 persone, ero arrivata a Tozeur da una settimana ed ero terrorizzata. Poi in qualche modo mi sono destreggiata attraverso le 3 ore di lezione. Spero di essere riuscita a far passare qualcosa in più di alcune regole grammaticali dell’italiano agli studenti che ho conosciuto in questi anni.
Durante tutti i viaggi che hai fatto cosa hai rubato dalle varie culture?
Il cibo. Mi piace mangiare. Adoro la pizza Hawaiana e il bacon a colazione. Mi piace il caffè turco e lo Zangiabil, la bevanda a base di zenzero che fanno in Yemen. Vorrei mangiare indiano tutti i giorni e finire il pasto con il miglior camembert. La moloukhia di mia suocera, il budino di nocciole di Sondous, il couscous di mio marito. E tanto altro! Però non rinuncio mai a due spaghetti cacio e pepe con mio nonno.
E cosa invece hai conservato del tuo essere italiana?
La gioia e la vitalità, l’essere rispettosa degli altri ma anche un po’ buffona e burlona. Tuttavia al primo posto c’è la lingua, sicuramente la lingua, il pezzetto della mia cultura al quale sono più affezionata e più fedele. Anche se leggo e parlo in altre lingue, preferisco sempre scrivere in italiano. Mi fa sentire libera è compiuta, profonda e guizzante. Se litigo con qualcuno nel traffico lo faccio in italiano, che mi capisca o no. Quando accudisco un bambino le parole d‘amore sono sempre in italiano e lo stesso accade nell‘intimità con mio marito. Non è un caso che sia una linguista.
Quali sono le emozioni che provi ogni volta che arrivi in un nuovo posto?
Libertà. La gioia di essere anonima, di poter inventare un nuovo personaggio ogni volta. Poi il piacere della conoscenza. Ho superato da tanti anni la timidezza del non capire e del non sapere “come si fa a”. Mi piace essere in una situazione di svantaggio iniziale e guadagnarmi a poco a poco il rispetto e la stima delle nuove persone che conosco.
E quali sono le prime cose che fai?
La prima cosa che faccio è esplorare il territorio. Cartine e lunghe passeggiate senza meta. Giocare a perdersi in strade sconosciute e magari riuscirci anche per davvero, a volte. Cerco di farmi un’immagine mentale della topografia. Ad esempio adesso, ogni volta che vado in facoltà, faccio una strada diversa dalla stazione al mio edificio, in modo da conoscere qualcosa di nuovo. Mi ritengo piuttosto brava ad orientarmi e sono contenta di non dover quasi mai ricorrere ad un GPS. L’altra cosa che faccio è stabilirmi nella nuova casa/stanza che sia. Pulirla a fondo e dargli un odore noto, che mi faccia sentire protetta. A tutti capita il giorno in cui ci si sente soli e sconsolati, bisogna premunirsi contro la tristezza di essere lontani dalla famiglia e dalle persone che amiamo, dalle nostre abitudini e dalle cose che ci sono familiari. Consiglio vivamente di preparare un brodino di pollo o un minestrone di verdure in queste occasioni! Qualcosa di caldo è una “mano santa” per lo spirito melanconico.
Per questa foto si ringrazia: http://susitnadamalternatives.org
Questi continui spostamenti non ti hanno mai creato disagi?
Certo! E’ ovvio! Ho 31 anni, non ho una carriera ben avviata, non ho un mutuo, un posto fisso. Non ho mai posseduto una macchina né tante altre cose che la gente della mia età dà per scontate. A volte il confronto con alcuni miei coetanei mi fa riflettere. Forse non ho fatto le scelte più sagge nella mia vita, tuttavia non potevo fare a meno che essere me stessa, quindi a che pro pensare “e se invece…”. Comunque una grande verità che ho capito nel tempo, è che qualunque vita è ugualmente degna di essere vissuta e che tutte quante, a conti fatti, propongono un certo grado di amarezza e di gioia. Credo che per non avere rimpianti sia importante cercare di conoscersi a fondo e fare scelte che non ci costringano a rinunciare a quello che per noi è vitale. Nel mio caso è la “libertà“. Per quanto riguarda i rimorsi non c’è una ricetta, quelli chi vive ce li ha e se li tiene.
Sei sposata con un tunisino, quindi diverse culture e diverso modo di vivere la quotidianità. Riuscite a trovare un punto d’incontro?
Un punto d’incontro bisogna trovarlo per forza. Ma sai cosa? Credo che questo sia vero in ogni matrimonio, interraziale o meno che sia. Chiaro che il provenire da culture diverse porta con sé una serie di problematiche che chi sposa il ragazzo del liceo non ha. Noi spesso discutiamo sull’educazione dei figli che, colmo del paradosso, non abbiamo ancora!!! Inoltre c’è una certa pressione sociale, molta gente da entrambe le parti non si spiega la nostra unione e questo fa venire voglia di andartene a vivere a Ginevra dove gialli, verdi, blu, neri e rossi sono tutti mischiati fraternamente. Non mi ricordo più quale scrittrice parlava dell’identità come di una dimensione fittizia. Nessuno è una cosa sola, l’identità è una costruzione politica, è quello che vogliono farci credere coloro che non vogliono farci pensare. Lei sosteneva (mi scuso di non ricordarmi il nome della “lei” in questione) che il vero concetto chiave è “l’appartenenza”. Possiamo appartenere a tante cose insieme e possiamo lasciare ciò in cui abbiamo smesso di credere. Io un tempo ero cattolica, adesso non lo sono più. Adesso sono sposata e la cultura di mio marito mi appartiene un po’. L’appartenenza implica uno sforzo della volontà. L’identità ci piomba addosso e resta sospesa su di noi come una spada di Damocle, per sempre.
Hai affermato che ti piace “l’idea del movimento”. Ma non c’è mai stato un momento in cui avresti desiderato fermarti in un Paese tra quelli in cui sei stata?
Non fino ad oggi. Non per sempre. “Per sempre” è una grosso impegno e credo siano pochissimi quelli che riescono ad assumerselo seriamente: io non sono tra quelli.
Ci racconteresti qualche aneddoto curioso che ti è capitato durante questi anni?
Durante la mia ultima vacanza in Messico, un uomo diede un passaggio in auto a me e al mio compagno di viaggio Bruce. Un normale passaggio di un quarto d‘ora: “Hola, che fai qui? Bel posto, grazie ancora, ciao“. Dopo due settimane sono partita per rientrare in Europa da tutt’altra parte del Paese e alla fine del volo, scambiando due parole con il mio vicino di posto in aereo, ho scoperto che era la stessa persona che ci aveva tirato su in auto a Tulum. Ci siamo fatti un sacco di risate: lui non riconosceva nella compita passeggera, l’autostoppista scalmanata e io non mi rendevo conto che quel ragazzetto con i jeans strappati era il serissimo direttore d’albergo al voltante. Sempre in Messico, stavamo camminando sulla spiaggia nella notte. Il nostro trekking di una sessantina di kilometri prevedeva di passare in una zona militare. Vedevamo tracce di cingoli ovunque sulla sabbia e ce la facevamo un po’ sotto pensando che ci avrebbero arrestato. Ad un certo punto si sono aperte le nuvole ed è uscita la luna piena. Con il chiarore abbiamo visto che le tracce non erano lasciate dai mezzi militari, ma da centinaia di tartarughe marine che stavano arrivando sulla spiaggia per deporre le uova. E’ stato un momento magico, commovente e indimenticabile. In Alaska, all’inizio del viaggio, avevo prenotato una notte in un ostello. Nella camerata al mio arrivo c’era una ragazza che si stava preparando per uscire e andare al lavoro… Alle 3 di notte! Chiacchierando, mi disse di lavorare “graveyard”, cioè al cimitero. Io ero affascinata da questa ragazza bionda che sola soletta se ne andava al lavoro in un posto così pauroso. Solo dopo MESI e MESI ho scoperto che l’espressione “to work graveyard” è una forma idiomatica per dire “turni di notte”!!! Probabilmente lavorava da Wallmart! E poi tutti sanno che in Alaska i morti vengono buttati in mare e dati in pasto alle Orche… No! Adesso sono io che sto scherzando!
Tra le realtà in cui hai vissuto, quale pensi sia il Paese migliore in grado di offrire una vita dignitosa? Il Paese in cui è possibile ricominciare a vivere e a lavorare?
Come ti dicevo prima, ogni vita è degna e dignitosa: c’è sempre una lezione da imparare, ma la lezione non è uguale per tutti. C’è chi ha bisogno di vivere in un ambiente competitivo, nel quale potersi sentire realizzato dal superamento di sfide professionali quotidiane: chi si riconosce in questo vada a NY, non in Tunisia. C’è chi ama la vita serena, chi desidera avere tempo libero da dedicare ad attività amate, siano esse la pesca, la pittura, la maglia o il motociclismo. In questo caso sarà meglio andare in una zona di provincia, in un piccolo centro dove, risparmiando sui tempi dei trasporti, sarà possibile ricavare quelle ore in più di cui si ha bisogno per fare altro. Chi ama l’ordine e la pulizia possibilmente non dovrebbe andare in India, chi ama essere al centro del mondo, non scegliesse Tozeur che è un piccolo centro urbano nel Sahara. Insomma, anche in questo caso la ricetta non è una sola e forse non c’è una ricetta giusta. Da non dimenticare: tutte le scelte vengono con delle rinunce al seguito. Se mi posso permettere un consiglio quindi, scegliete di rinunciare al superfluo, concentratevi sull’essenziale PER VOI. Mettetevi in condizione di avere almeno una cosa da contemplare che vi renda sereni: un pensiero felice al giorno. Per me a Tozeur il pensiero positivo veniva dalla bellezza della natura. Rimanevo stregata guardando il deserto sulla via dell’università e poi proseguivo felice, sentendomi una privilegiata.
Se pensi a te fra 10 anni, come e dove ti vedi?
10 anni! Ma sono pochissimi! E’ difficile fare proiezioni nel breve periodo! Mi immagino con più responsabilità e più capelli bianchi. Accanto a mio marito e possibilmente con dei figli. Abbiamo programmi più definiti per i nostri 50 anni: pensavamo di andare in giro per il mondo in tandem.
Bellissimo progetto! Durante questi anni di continui spostamenti, pensi di aver lasciato qualcosa per strada o sei riuscita a portarti tutto dietro?
Ho lasciato tantissimo. Convinzioni, vestiti che mi piacevano, amicizie, relazioni… Tantissimo, ma non più di chiunque altro; forse sono più brava della media a capire quanto sia inevitabile che questo accada e mi rassegno. So che per ogni cosa bella che rimane alle spalle, c’è qualcosa di meraviglioso che ci aspetta davanti. E poi il trucco per viaggiare facilmente è viaggiare leggeri, quindi qualcosa bisogna lasciare. Poi non bisogna dimenticare che gli amici veri restano: le mie amiche più care sono le mie compagne di scuola elementare! Le vedo ogni volta che posso e non tutte sono in Italia. Poi ci sono gli amici conosciuti in viaggio, ci vediamo più raramente ma ogni volta è intenso ed eccitante. Zascha, Vidvuz, Elisenda, Claudy, Sarah, Sanda, Heather, RK, Miri, Rick: nomi esotici per persone altrettanto esotiche. Infine c’è la sicurezza che la mia famiglia ci sarà sempre. L’amore incondizionato e ultraresistente dei genitori, dei miei fratelli e di alcuni altri golden-members del mio circolo di affetti. Sono la base della mia autostima e sicurezza. Sono sempre il mio metro di giudizio obiettivo per valutare le situazioni, le persone e la realtà in generale.
Si dice che “Tutto il mondo è paese”. Tu che effettivamente hai girato tanto, puoi confermarlo?
Il mondo è un grande paese, dove le persone hanno trovato soluzioni diverse agli stessi problemi. I bisogni essenziali sono sempre quelli: cibo, protezione, affetto. Poi ci sono le sovrastrutture sociali che si esprimono in modo diversissimo, ma tendono sempre a raccontare le stesse storie: potere, status, avidità e poi invidia come controparte. Per quanto mi ritenga un’entusiasta della vita, non ho uno sguardo particolarmente tenero nei confronti del mondo: se è un paese unico, non abbiamo tirato su un gran bel posto. Ma forse possiamo farcela a cambiare in tempo.
margherita.pallottino@gmail.com
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A cura di Nicole Cascione