Europa, cresce la voglia di secessione

A cura di Enza Petruzziello

Nord contro Sud. Indipendenza vs unità. Non solo Catalogna e Scozia. In Europa sono decine i partiti, i movimenti e le associazioni irredentiste che inseguono il sogno di una patria su misura. A fare una attenta analisi del fenomeno indipendentista che attraversa il Vecchio Continente ci pensa Milena Gabanelli nella sua rubrica di approfondimento “Dataroom” sul Corriere della Sera. La giornalista attraversa l’Europa alla scoperta di tutti quei movimenti separatisti nati e votati all’interno di Stati ufficiali dediti a reclamare il rispetto di una qualche «nazione» più o meno oppressa. Un fenomeno talmente esteso da spingere il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, a dire di non volere un’Europa divisa in 95 staterelli. Il pericolo, infatti, è l’impossibilità di tenere testa a colossi come Usa, Cina, Russia, Brasile, India.

E gli staterelli – come si sottolinea nell’approfondimento – sono lì, pronti a cavalcare l’onda giusta per loro nella storia. «Dal crollo dell’Urss – si legge – il numero degli Stati europei è quasi raddoppiato e gli Stati aderenti al progetto europeo sono passati da 12 a 28, con altri 7 in lista d’attesa. Sembrano due fenomeni opposti, ma non lo sono: la corsa alla frammentazione dei vecchi si nutre grazie alla possibilità di sentirsi difesi dall’Unione più grande. Il grande confine europeo che dovrebbe garantire mercati e stabilità finanziaria, autorizza progetti in stile “piccolo è bello”». Insomma una contraddizione che convive perfettamente: da un lato la voglia di staccarsi, dall’altro la sicurezza di sentirsi forti grazie alla propria appartenenza all’Unione.

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Dalla Spagna all’Italia fino all’Albania: la Mappa Indipendentista

1. Spagna. È in Catalogna che si trova uno dei nazionalismi più strutturati, al centro nei mesi scorsi anche di un discusso referendum. Nell’ottobre del 2017 i catalani, infatti, sono stati chiamati alle urne per votare la secessione dalla Spagna. A differenza di Londra, però, Madrid ha considerato il referendum illegale e incostituzionale. Non solo catalani. A sentirsi scomodi nel proprio Paese sono anche comunità come i baschi, il cui movimento indipendentista è ancora più radicato. E poi valenziani, i galleghi, gli andalusi e i canari.

2. Gran Bretagna. Qui sono scozzesi e irlandesi a reclamare da sempre una propria indipendenza. Dopo la Brexit gli animi si sono infiammati sia a Edimburgo che a Belfast. La Scozia chiede un referendum per distaccarsi dalla corona britannica, a cui fanno eco anche i gallesi, mentre in Irlanda del Nord i movimenti indipendentisti ne chiedono un altro per la riunificazione delle due Irlande, dal momento che Dublino appartiene fedelmente all’Unione Europea.

3. Francia. È la Corsica che da oltre un secolo ambisce ad emanciparsi dalla Francia. Dal 2001 organizza le Ghjurnate Internaziunale di Corti, una kermesse di incontri e dibattiti cui partecipano numerosi leader separatisti. La netta vittoria degli indipendentisti alle ultime elezioni territoriali ha dato poi un’ulteriore accelerazione al processo di distacco.

4. Belgio. A volersi distaccare dal Belgio sono i fiamminghi, raccogliendo sempre più adesioni. Basti pensare ai risultati delle elezioni politiche degli ultimi anni, dove i nazionalisti hanno guadagnato sempre più terreno rispetto ai partiti tradizionali. Qui l’indipendenza ha principalmente motivazioni economiche e sociali.

5. Italia. Diversi i movimenti e i desideri indipendentisti all’interno del nostro Paese. Essi si concentrano soprattutto nel nord del Paese, dove nella maggior parte dei casi hanno già ricevuto concessioni dallo Stato, ad esempio con il riconoscimento di regioni a statuto speciale. Si tratta della Valle d’Aosta, della Sicilia e della Sardegna, del Veneto e della Lombardia. Anche in Sudtirolo si continua a coltivare il sogno dell’indipendenza.

6. Germania. La Baveria è il land più antico della Germania, l’ultimo a entrare a farne parte. Le istanze indipendentiste della regione hanno come portavoce politico il Beyernpartei, che dal 1946 si batte per la separazione. Anche qui è stato chiesto un referendum per l’indipendenza da Berlino. Ma la Corte Federale ha già dato parere negativo sulla consultazione: la Grundgesetz tedesca proibisce, infatti, ai Land di decidere in solitaria la propria scissione.

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7. Albania. In Albania a muovere la voglia indipendentista sono soprattutto le minoranze etnico-linguistiche che vorrebbero ricongiungersi a quella che sentono come madrepatria. Parliamo dei greci d’Albania che preferirebbero avere Atene come capitale invece di Tirana.

Altre minoranze insoddisfatte sono i serbi e i croati di Bosnia, gli albanesi della Macedonia, i bulgari dalla Moldavia, gli ungheresi della Romania, della Serbia, della Slovacchia, dell’Ucraina, i 30 mila svedesi dell’arcipelago delle Åland che però appartengono alla Finlandia, e gli abitanti delle Shetland che dopo mezzo millennio vorrebbero tornare ad essere norvegesi invece che scozzesi. La Slesia vorrebbe rendersi indipendente dalla Repubblica Ceca e Polonia, mentre la Transnistria aspira all’indipendenza piena all’interno della Moldavia. Più pragmatiche le radici dell’irredentismo di Groenlandia e Isole Faroe: per loro Copenhagen è una capitale troppo lontana.

I motivi

Ma quali sono le ragioni che portano all’acuirsi di sentimenti indipendentisti?

Per la Gabanelli due sono i motivi principali: da un lato quello etnico-storico-linguistico-culturale, dall’altro quello economico.

«Ma senza un vantaggio per il portafogli, le ragioni culturali hanno in genere poca presa». Come andrà a finire? «Piccolo è bello e forse efficiente dal punto di vista micro-amministrativo – scrive la Gabannelli -, ma senza il cappello dell’Unione europea si tornerebbe alla giungla dove il più forte mangia il debole e, con buona pace delle cornamuse e delle lingue fossili, i più forti sarebbero asiatici o americani».