“La prossima volta andiamo in India?” chiede la sorella piu’ grande seduta dall’altra parte del tavolo. Le rispondo che difficilmente ci sara’ una prossima volta e preferisco tagliare corto prima che l’idea vada a trasformarsi in parole e prenda vita autonoma. Le parole sono pericolose, almeno a casa nostra. Si comincia a parlare di qualcosa e prima che te ne accorgi diventa un progetto da realizzare, ti ritrovi a fare calcoli e organizzare una tabella di marcia aprossimativa a cui secondo una logica che non fa una piega seguono i dettagli e ben presto il tutto si trasforma in realta’.
Da sempre io e Brendan abbiamo avuto il sogno di passare un anno sabbatico in giro per il mondo. Ne abbiamo parlato in modo semiserio per anni, poi sono arrivate Nina e Sara e l’idea e’ stata accantonata per un po’. Quando le bambine sono cresciute oltre la fase dei pannolini, un giorno sentendo alla radio un’intervista con Christine Breen, una scrittrice americana che ha fatto il giro del mondo con marito e figli, quell’idea e’ ritornata prendendo prepotentemente possesso delle nostre coscienze. E’ diventata una costante di sottofondo che colorava tutti gli altri pensieri del rosso del deserto australiano, del blu dei ghiacciai neozelandesi e del verde della selva peruviana. Davanti all’atlante aperto di fronte a noi, insieme alle nostre figlie ci siamo messi a compilare una lista dei desideri: se potessi decidere di viaggiare in qualunque parte del pianeta, dove andresti? Australia e Nuova Zelanda, le mete piu’ lontane da casa, ci hanno trovato tutti d’accordo. Brendan voleva vedere la Cina, io il Sudamerica, Nina era interessata alle cartoline, le immagini piu’ famose di ogni posto, o come diceva lei “la Torre Eiffel cinese”come la Muraglia e il Buddha di Leshan, Sara era piu’ propensa alle spiagge delle isole del Pacifico.
Una chiacchierata informale con l’agenzia di viaggi locale (altre parole!), ci ha chiarito le idee sulle condizioni dei biglietti aerei che con tariffe speciali consentono di girare intorno al pianeta consentendo un certo numero di fermate entro il limite delle trentaduemila miglia aeree. Con la decisione ancora ben lontana dall’essere maturata, il passo successivo e’ stato quello di comprare le guide, “magari le useremo una per volta, male che vada le rivendiamo a un negozio di libri usati,” ma il momento in cui le parole sono cominciate a diventare realta’ e’ stato quando una sera dopocena, sul retro di una busta da lettere abbiamo fatto un primo calcolo di quanto lo scherzo sarebbe costato: “Crap! We CAN do it, now we MUST!”
E cosi’, ridotti i mesi da dodici a otto e un itinerario ridimensionato a Cina, Australia, Nuova Zelanda, Fiji, Cile, Peru e Argentina, la decisione e’ stata presa. Il resto sono stati dettagli: ottenere otto mesi di ferie non pagate, convincere la scuola delle bambine ad affidarci la loro istruzione per due trimestri consecutivi, una volta convinti di quello che volevamo fare abbiamo convinto anche gli altri. Qualche colpo di fortuna ha fatto il resto, degli amici che ci hanno permesso di usare casa loro come base per visitare il Queensland e uno scambio di casa organizzato con una coppia di Christchurch ci hanno consentito di ridimensionare notevolmente il budget e definitivamente trasformare il sogno in realta’.
Fin dall’inizio le reazioni della gente al nostro progetto sono state entusiaste, alcuni hanno ammirato il coraggio dell’impresa, altri hanno detto di voler essere al nostro posto, nessuno ci ha consigliato di non partire, di non farlo. Per circa un anno abbiamo avuto liste appese dappertutto in casa: lista delle cose da mettere in valigia, medicine da portare, visti da ottenere, gadgets da comprare, amici da contattare dall’altra parte del mondo. Quando anche il frigorifero non ha piu’ avuto uno spazio libero, per cercare di mettere ordine nelle idee io e Brendan abbiamo aperto due blogs che poi sono diventati il nostro diario di viaggio e ci hanno permesso di rimanere in contatto costante con famiglie e amici. Giorni intensi quelli prima di partire, in cui momenti di euforia e panico si alternavano regolarmente, con la paura di aver sbagliato i calcoli e di esaurire il budget a meta’ strada come compagna di avventura, “e anche se succede, che cosa abbiamo da perdere? Avremmo sempre passato almeno quattro mesi in giro tra Cina e Australia.”
La fine del 2007 e’ arrivata e con questa la data della nostra partenza. Cominciando da Beijing, abbiamo girato la Cina da viaggiatori indipendenti, alternando spostamenti in treno, aereo e nave, visitando la Muraglia e i Guerrieri di Terracotta, lo Yangtze i panda e i templi buddisti, ma anche imparando a riconoscere la cucina della provincia del Sechuan come la nostra preferita, avvicinando la gente locale e altri backpackers, giocando a majong negli ostelli in cui di volta in volta ci fermavamo. Tre settimane dopo, la strada ci ha portati a Shanghai da dove abbiamo salutato l’Asia e preso l’aereo per l’Australia.
Prima tappa Sydney. Per un mese anche noi ci siamo uniti alla sua folla cosmopolita, diventando suoi cittadini. Dal piccolo appartamento affittato a Randwick, un quartiere residenziale tra le spiagge e il centro, ci siamo immersi nell’atmosfera multiculturale della citta’. Siamo andati all’opera: guardando il tramonto sulla baia dalla terrazza dell’Opera House, con un bicchiere in mano durante l’intervallo tra primo e secondo atto, abbiamo anche noi per una sera fatto parte della cartolina. Al tramonto abbiamo visto i pipistrelli giganti riempire il cielo, guardato un film al cinema all’aperto di Centennial Park, preso il sole a Bondi ed esplorato i mercatini che ogni fine settimana popolano la citta’. Dopo una tappa a Melbourne, ci siamo trasferiti nel Queensland dove Nina e Sara hanno tenuto in braccio i koala e avvicinato canguri e wallabies, dove ci siamo immersi sulla barriera corallina e passato qualche giorno a Fraser Island, paradiso tropicale scoperto per caso di strada per Brisbane. Uno dei momenti piu’ surreali di tutto il viaggio e’ stato dar da mangiare ai delfini nel loro habitat naturale sulla spiaggia di Tangalooma. L’ ultima tappa dei tre mesi australiani e’ stata la copertina della guida, Uluru e il deserto che abbiamo deciso di includere all’ultimo momento nell’itinerario a costo di andare fuori budget, cosa di cui non ci siamo mai pentiti. Con la prospettiva di oggi, lasciare l’Australia senza vedere la Roccia avrebbe lasciato troppo amaro in bocca.
La Nuova Zelanda e’ stato puro divertimento, natura spettacolare concentrata in un territorio relativamente piccolo dove alpi innevate sovrastano spiagge bagnate da mare blu intenso e l’attivita’ geotermica crea un paesaggio da altro pianeta con pozze di fango bollente, geysers e piscine d’acqua dai colori piu’ strani. Dopo aver provato white water rafting, bungy jumping, jet boating e anche la zorb, una enorme camera d’aria in cui ti chiudono prima di buttarti giu’ da una collina, una delle esperienze piu’ belle e’ stata quella di girare in camper per l’isola del sud, fermandosi a dormire sulle rive deserte del lago Rotoiti con la bufera di vento fuori. Abbiamo visto pinguini, foche, balene e nell’isola del nord i glowworms, insetti fosforescenti che trasformano le volte delle grotte in un cielo stellato.
Dopo una settimana sulla spiaggia alle Fiji, siamo arrivati in Cile e lentamente con gli autobus di linea, abbiamo cominciato la risalita del continente americano verso il Peru’. A San Pedro de Atacama nel mezzo del deserto cileno ci siamo fermati per qualche giorno in cui abbiamo assistito ai tramonti piu’ belli che avessimo mai visto, il Salar e la Valle de la Luna si tingono di rosa, blu e viola in tutte le sfumature offrendo una tela in movimento, un paesaggio che cambia in continuazione col calar del sole. In Peru’, dopo due giorni nella citta’ bianca di Arequipa e altri due a 4000mt sul Lago Titicaca, bevendo mate di coca per combattere il mal d’altura, abbiamo preso il treno delle Ande e siamo arrivati a Cusco. Con la sua storia di lotte sanguinose tra impero Incas e Conquistadores che ancora lascia tracce nell’ architettura ibrida delle sue antiche costruzioni, un misto di cattolicesimo, magia e religioni andine, Cusco e’ una delle citta’ piu’ belle e interessanti del Sudamerica. La gita di una giornata a Machu Picchu e’ stata un’altra pietra miliare del viaggio: non importa quante volte vista in fotografia, la citta’ perduta degli Incas che fa capolino dalla giungla che la circonda e’ una vista incredibilmente emozionante. Dopo una breve sosta a Lima e pochi giorni a Buenos Aires per riprendere fiato eravamo nuovamente sulla strada di casa.
Anche ora, a distanza di quasi un anno dal rientro, e’ difficile capire che effetti a lungo termine abbia lasciato quest’avventura. Sicuramente la voglia di continuare a viaggiare e’ sempre presente, sempre piu’ grande, ma non ci ha precluso un rientro nella normalita’ che e’ stato per tutti quanti un processo naturale. Una delle prime cose apparse evidenti e’ stato il fatto che pur avendo perso sei mesi di scuola, le bambine fossero avanti rispetto alle compagne. Le poche ore al giorno passate qua e la’ nei giorni di calma facendo lezione con noi sono state piu’ produttive che due trimestri in classe. Come genitori, questi mesi passati in compagnia pressoche’ esclusiva delle figlie e’ stato un regalo prezioso che ci ha consentito di apprezzarle ancora di piu’, otto mesi della loro vita dedicati a noi prima che diventino troppo grandi e indipendenti.
Le immagini dei posti che abbiamo avuto la fortuna di vedere, i sorrisi delle persone che abbiamo incontrato lungo il cammino e con le quali abbiamo condiviso parte dell’esperienza, rimarranno sempre con noi. I blogs ci hanno permesso di condividere il sogno anche oltre, consentendoci di rendere partecipi tutte quelle persone che sebbene rimaste a casa avremmo voluto portare con noi e non solo nel cuore. Ci hanno anche messo in contatto con gente nuova che ha avuto voglia di seguirci e di leggere la nostra storia. Al di la’ di questo, l’aver intrapreso e portato a termine con successo un progetto cosi’ complicato, ci ha lasciato la consapevolezza di esserne stati capaci, di aver saputo trasformare il sogno in realta’. E’ una sensazione che non ha prezzo, una certezza che nessuno potra’ mai toglierci e che ci consente di vedere la vita da una prospettiva che non a tutti e’ data. In un certo senso questa esperienza ci ha resi dipendenti dal cambiamento. A questo punto per noi un progetto che valga la pena di essere messo in atto va perseguito anche a costo di prendere decisioni scomode, attuarlo e’ un dovere da compiere anche a costo di complicarsi la vita. Ci sentiamo adesso meglio equipaggiati per poter cambiare una situazione che non ci vada, evitando di subirla per paura dell’ignoto, dell’incertezza e di quell’inevitabile elemento di rischio che ogni cambiamento comporta. Siamo sicuri adesso di essere capaci di ricominciare da capo e, se necessario, ricostruire una vita ovunque.
Letizia Aresu