Una famiglia nelle Isole Hawaii

A cura di Nicole Cascione

“Il vento del cambiamento giunge dentro ognuno di noi, sta a noi ascoltarlo o meno”. Paola Maglione ha cavalcato il vento del cambiamento già da giovanissima, da quando, negli anni ’90, in un momento particolare della sua vita, è partita per la Nuova Zelanda. Da allora non si è più fermata e da perfetta expat ha girato il mondo in lungo e in largo, accompagnata dal suo “ spirito d’avventura e da tanta, tanta curiosità”.

Ora vive ad O’ahu, nelle isole Hawaii, e ci racconta cosa significa vivere in un posto tanto magnifico, quanto problematico come le isole hawaiane.

Paola Maglione, isole Hawaii, o'ahu

Paola, hai vissuto in Grecia, in Giappone, in California, in Nuova Zelanda ed ora alle Hawaii. Oltre alla tua voglia di viaggiare, cosa ti ha portato a vivere in tutti questi Paesi?

Mio marito! E’ americano e lavora per il governo USA. Ci siamo conosciuti a Napoli, dove lui si trovava per lavoro. Siamo entrambi “zingari”… Lui è sempre alla ricerca di nuovi posti (geografici e di lavoro) ed io lo seguo per amore e per spirito di avventura.

Tra tutti i posti che hai visitato, ci sarà stato sicuramente uno che avrà catturato il tuo “cuore” ….

Domanda da un milione di dollari! Non so davvero rispondere. Ogni realtà ha i suoi lati positivi e negativi. Alla fine, quando devi vivere la quotidianità, ti adatti a qualunque luogo e situazione. Dappertutto ci sono cose belle da vedere, lingue da imparare, usanze e tradizioni diverse, piatti da assaggiare… La Grecia forse è la realtà che ho sentito più vicina a me, essendo napoletana. Il Giappone senza dubbio la realtà più lontana e diversa, ma in assoluto la più interessante da scoprire. Ne sono rimasta affascinata e vorrei tornarci per cercare di capirci qualcosa di più. La California invece, è la terra nella quale mi è stato più facile vivere e nella quale mi piacerebbe “stabilirmi”.

Cosa hai “rubato” da ognuna di queste culture?

Forse un po’ di “cucina”… Credo che si “rubi” inconsapevolmente. Le esperienze che viviamo ci arricchiscono e ci cambiano, inevitabilmente.

E cosa hai conservato del tuo essere napoletana?

Sarò ripetitiva, ma anche in questo caso ho conservato la cucina… E sicuramente la lingua, che cerco di insegnare ai miei figli. Missione quasi impossibile. Ma non perdo le speranze.

Ci parli dell’esperienza vissuta in Nuova Zelanda,?

In Nuova Zelanda ho vissuto negli anni ’90. Era un periodo particolare della mia vita e volevo mettere quanta più distanza possibile tra me e l’Italia. Sono partita abbastanza all’avventura. Incosciente ma estremamente fortunata. Ho incontrato persone che mi hanno molto aiutata e sostenuta. Mi sono fidata e mi è andata bene. Non significa però che questo “metodo” funzioni sempre ! Ho lavorato di “stramacchio” e non lo consiglio a nessuno. Oltretutto, adesso le cose sono cambiate ed è difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che ti faccia lavorare senza permessi. All’epoca avevo un visto turistico che continuavo a “rinnovare”, uscendo dal Paese prima che scadesse. Mentre ero ad Auckland, mio fratello è venuto a trovarmi. Io sono tornata in Italia e lui è rimasto in NZ con tanto di visto, sponsorizzazioni e residenza. Adesso vive lì da quasi 15 anni, ha un bellissimo ristorante e sarà il cuoco del team NZ per la Coppa America.

A proposito di cucina … mi hai anche raccontato di un tuo passato da cuoca su un 33 metri a vela. Sicuramente sarà stata un’esperienza fantastica!

Questa è una cosa successa mentre ero in NZ. Un amico skipper di una persona che conoscevo, stava formando l’equipaggio per la barca. Serviva un cuoco di bordo. Me l’ hanno proposto. Ho detto di sì. Sono andata a Milano per il colloquio con la moglie dell’armatore e sono partita. Mi sarei imbarcata a Tonga. Sono stata lì una settimana ad aspettare e durante quella settimana, ho vissuto un’esperienza pazzesca. Sono stata ospitata dalla sorella di una mia amica conosciuta in NZ. Ho dormito nella sua capanna in mezzo alla giungla, con i maiali che scorrazzavano in libertà. Ne hanno pure ammazzato uno in mio onore e ne ho dovuto mangiare le orecchie! Ometto i particolari della nottata passata, vittima di vendette di Montezuma mai narrate prime…Fantastico è stato vedere posti bellissimi da prospettive inverosimili. Non tanto fantastico è stato avere a che fare con la signora di cui sopra… Non so se hai presente Mariangela Melato in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”… PEGGIO! E poi il mal di mare che non sapevo di soffrire! Ho pensato veramente di morire! Anche perché, quando ti trovi su una barca in mezzo all’oceano, non puoi di certo dire “FERMATE IL MONDO! VOGLIO SCENDERE”…Abbiamo fatto il giro delle varie isole nell’arcipelago di Tonga e poi ci siamo diretti verso le Fiji… Una meraviglia! I posti più belli che abbia mai visto! E poi la gente: fantastica! E i mercati, i villaggi nei quali, per mettere piede, bisognava chiedere il permesso al capo e passare attraverso una serie di rituali.. Finita la vacanza dell’armatore, abbiamo portato la barca in Nuova Zelanda per manutenzione. Da lì poi sono tornata in Italia. Era il 1998 ed avevo da poco compiuto 29 anni.

Hai studiato illustrazione e grafica a Milano….da dove è nata la tua passione per la cucina?

In entrambe le famiglie, sia quella di mio padre che quella di mia madre, c’è sempre stata una sorta di devozione nei confronti del cibo e della sua preparazione. La mia nonna paterna aveva un modo di cucinare “aristocratico” ed era un’esperta pasticcera. La mia bisnonna materna era invece di tradizione più “popolana” ed è lei che forse ha trasmesso, più di tutti, la sua passione e naturalezza nel cucinare a mia nonna e mia mamma prima e a noi pronipoti dopo.

La tua è decisamente una vita da expat! Ma ti è pesato qualche volta, abbandonare un posto in cui avevi vissuto?

E’ cominciato a pesarmi dopo aver avuto figli. Anche perchè, prima di conoscere mio marito, i miei viaggi erano soprattuto di scoperta, ricerca, inquietudine, ma con in fondo, la certezza di tornare a casa, prima o poi. Dopo il matrimonio in realtà, ho smesso di avere una casa. Certo, ogni volta che ci spostiamo abitiamo in una casa, abbiamo i nostri mobili e le nostre cose, ma c’è sempre un senso di precarietà che mi impedisce di appendere i quadri alle pareti o di svuotare tutti gli scatoloni. E mi rendo conto che, per i bambini, comincia ad essere pesante dover cambiare abitudini e amicizie.

Ecco infatti, i bambini… hai tre figli, come riesci a gestire i vari spostamenti con loro? Hai avuto delle difficoltà per quanto riguarda la scuola, l’assistenza medica, ecc.?

Ho viaggiato sia da sola che in “compagnia”… Come dicevo prima, c’è il viaggio che fai sapendo di tornare a casa ed il viaggio che ho cominciato con mio marito e che non credo finirà mai… Ci siamo trasferiti a Creta nel 2006, quando il mio primo figlio, Patrick, aveva appena 2 mesi. Lì è poi nato il mio secondo bambino, Pietro, nel 2007. Prima che Pietro compisse un anno, ci siamo spostati in Giappone. Siamo rimasti un anno nella terra del Sol Levante, giusto il tempo di concepire Grace, che è nata in Italia nel 2008, di passaggio per la California, San Diego. Gli spostamenti li gestisci o… li gestisci! I bambini sono abituati a viaggiare e per loro è eccitante tutta la preparazione al viaggio ed anche il trasloco. Almeno cerchiamo, mio marito ed io, di rendere tutto il più giocoso e avventuroso possibile. Li fa sentire grandi, ad esempio, prepararsi gli zaini con le cose da portare in aereo, oppure dare via vestiti troppo piccoli o giochi che non usano più. E poi c’è tutta la parte che riguarda la vita in albergo, arrivati a nuova destinazione; l’esplorazione di posti mai visti prima, la ricerca di una nuova casa… Per le scuole, fino a questo momento, non ho avuto problemi, anche perchè i bambini sono ancora piccoli. L’assistenza medica è un discorso a parte… Per me italiana, figlia di medico, è davvero difficile abituarmi al sistema che c’è in America dove (parlo molto per generalizzazioni), la preparazione medica non è allo stesso livello dei medici italiani e la sanità costa in maniera spropositata.

Con che spirito hai affrontato e affronti tuttora le nuove destinazioni?

Con spirito d’avventura, come sempre. E con tanta curiosità.

Ti è capitato di vivere una situazione difficile durante la tua vita? E come l’hai superata?

Mi sono trovata in tante situazioni difficili che comunque si superano sempre, in un modo o nell’altro. La cosa più difficile che mi sia mai capitata e che sarà sempre con me, è mia figlia Grace. E’ nata con la Sindrome di Down e con una malformazione cardiaca, per la quale è stata operata nel 2009 a San Diego. E’ stata, ed è tutt’ora, un’esperienza devastante. Abbiamo avuto la fortuna di trovare un cardiologo ed un cardiochirurgo molto bravi e, soprattutto, umani, ma per me quei giorni in ospedale insieme alla mia piccolina, che non riusciva nemmeno a piangere, piena di tubi che le uscivano dappertutto, sono stati i peggiori della mia vita.

Vivi quasi da un anno alle Hawaii, pensi che questa sia la tua meta definitiva?

Non c’è mai niente di definitivo nella mia vita! E le Hawaii non vorrei mai che lo fossero.

Eppure vivere alle Hawaii è un sogno di molti… Perché non lo vedi come il Paese giusto in cui fermarsi?

Ci sono indubbiamente dei posti molto belli, anche se io sono sull’isola di O’ahu, che non credo sia la più bella in assoluto, sono ancora alla ricerca della vista mozzafiato… Qui le cose belle sono solo il sole, il mare… Il sole, il mare… Non vorrei sembrare negativa o snob, ma vivere qui, come una famiglia normale, non è semplicissimo. E’ un posto fantastico per venirci in vacanza, per i fanatici del surf, per gli hippy, per tutti coloro che non hanno bisogno di scuole e ospedali e desiderano vivere sulla spiaggia, nutrendosi dei frutti della terra (scarsi, peraltro). Qui, se cerchi casa, devi avere a disposizione un budget notevole. Se cerchi lavoro, devi essere disposto a fare veramente di tutto e non è detto che lo trovi facilmente. Se hai bisogno di un ospedale… Buona fortuna! Se devi prendere un appuntamento, si usa dire “Hawaiian time” visto che, un po’ come a Napoli, sai a che ora parti, ma non sai mai a che ora arrivi. Il costo della vita è molto alto rispetto ad altri Stati degli USA e paghi di più, un po’ perchè sei in paradiso e un po’ perchè qui ormai non si produce quasi più niente. Le Hawaii importano l’85% del proprio fabbisogno, cosa che mi ha lasciata veramente sbigottita. Mi aspettavo di trovare pesce, frutta e verdure buonissimi ed a prezzi stracciati ed invece, persino le ananas arrivano dal Sud America! La popolazione è formata in larga parte da Asiatici (Cinesi, Giapponesi, Koreani e, maggiormente, Filippini), venuti qui durante l’epoca delle piantagioni di ananas e canna da zucchero (alla fine dell’800). C’è una piccola percentuale di bianchi e meno del 6% di nativi Hawaiiani. E poi ci sono i militari… Qui ad O’ahu ogni corpo militare ha una o più basi, per cui il grosso delle entrate dell’isola (e dello stato) è dato proprio dai militari e dalle loro famiglie. Non ci sono molte strade e la densità della popolazione è talmente alta (un milione di abitanti per 1,546 km2), che il traffico nelle ore di punta (ed anche in qualsiasi momento della giornata) è peggio di quello sul Raccordo Anulare, in prossimità del Natale. Le scuole pubbliche sono tra le peggiori negli USA. Le private costano praticamente quanto un College e da un punto di vista curricolare non sono migliori di quelle pubbliche. Il costo delle case è tra i più alti in America. I prezzi sono paragonabili a quelli di Roma o Milano centro. Il problema è che qui paghi tanto per non essere in centro (per cui se non hai la macchina non vai da nessuna parte) e per case che sono delle vere e proprie baracche. Noi abbiamo preferito comprare anzichè affittare, pur non sapendo per quanto tempo rimarremo qui, perchè comunque pagare un mutuo ci costa la metà di un affitto. E viviamo in periferia. Il cibo costa tanto. Non sono più al corrente dei prezzi in Italia. Posso fare il paragone solo con San Diego (che certo non è un posto economico). Però qui non hai molta scelta. Ci sono dei mercati locali una volta a settimana, ma non sempre trovi tutto e fresco. Cerco di favorire le produzioni locali, ma non sempre ci riesco perchè, esempio banale, un chilo di pomodori locali costa esattamente il doppio di un chilo di pomodori importati dalla California.

Non sei affatto negativa o snob, anzi… sei stata abbastanza realista nel descrivere la realtà in cui vivi e di questo ti ringrazio. In base alla tua esperienza, se una persona decidesse di andare via dall’Italia, cosa dovrebbe fare per non incorrere in gravi errori?

Innanzitutto informarsi quanto più è possibile sul posto nel quale si vuole andare. Leggere, chiedere, consultare Internet… Un conto è l’idea che ci facciamo perchè abbiamo visto un film, una foto o sentito un racconto, un conto è invece l’avere a che fare con la quotidianità. E poi imparare la lingua. Purtroppo, devo ammettere con tristezza che la lingua italiana non è conosciuta nel resto del mondo. Consiglio, nei limiti delle possibilità di ognuno, di fare un viaggio esplorativo prima di affrontare il grande passo. E poi, lasciare sempre una porta aperta e non aver paura di ricredersi e di tornare sui propri passi.

L’essere donna ti ha mai penalizzata a livello professionale durante tutti questi anni vissuti fuori dall’Italia?

Mai! Solo a Napoli!

Ora sei una mamma e una moglie felice … è arrivata l’ora di fermarsi?

Chi si ferma è perduto! 😉