Cosa significa “fare il portoghese”

di Gianluca Ricci

Fare il portoghese: quante volte si è sentito dire o si è letto quando qualcuno vuole fare riferimento al fatto che in una determinata situazione si è provato a scroccare qualcosa o ad entrare senza pagare in qualche manifestazione riservata?

Si tratta di un modo di dire che, lungi dal penalizzare l’intero Paese lusitano, ha le sue radici in quella terra, ma ha a che fare anche e soprattutto con l’Italia.

Si tratta di una storia curiosa, peraltro, che merita di essere conosciuta.

Ma vediamo il significato della frase “fare il portoghese”

Tutto ebbe inizio nei primi decenni del XVII secolo, quando il re del Portogallo era Giovanni V di Braganza, noto all’epoca in tutta Europa per essere a capo di uno Stato fra i più ricchi del continente grazie alle enormi entrate provenienti dalle colonie del Sudamerica e dell’Africa.

Oro, pietre preziose, minerali, spezie provenivano a getto continuo con le navi che salpavano dai porti del Brasile o dell’Africa, dove migliaia di operai schiavizzati o, nel migliore dei casi, malpagati estraevano e coltivavano ogni genere di ricchezza da destinare al mercato portoghese prima e mondiale poi.

Per testimoniare questa incredibile ricchezza i sovrani portoghesi scelsero di finanziare la realizzazione di opere architettoniche monumentali che fossero in grado di rivaleggiare con quelle già presenti nelle più prestigiose capitali europee: fu negli anni del dominio dei Braganza che Lisbona si dotò di gran parte dei suoi più importanti edifici per i quali è conosciuta ancora oggi.

Oltre a strategie urbanistiche che portarono alla ricostruzione della capitale, i sovrani portoghesi adottarono una politica di munificenza destinata a rendere nota nel mondo la “grandezza” della casa regnante del Portogallo: fu per questo, ma anche per garantirsi una sorta di neutralità in un continente in cui guerre e contrasti erano all’ordine del giorno, che i portoghesi presero a sovvenzionare manifestazioni ed eventi mondani in tutte le capitali, Roma compresa.

FARE IL PORTOGHESE

Anzi, soprattutto Roma, visto e considerato che lì si trovava il Vaticano e che il Portogallo era un Paese a maggioranza cattolica in un’Europa dove il protestantesimo era dilagato un po’ dappertutto.

Ecco perché l’ambasciata portoghese si distinse in quegli anni come una delle più attive sul fronte dell’organizzazione di spettacoli ed iniziative, particolarmente apprezzati dal popolo romano perché nessuna prevedeva il pagamento di un biglietto di ingresso.

Ogni evento era completamente gratuito, offerto dalla corona portoghese, con grande soddisfazione ovviamente di chi vi partecipava.

Fu sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalla politica munifica del sovrano Giovanni V che anche i nobili locali provarono ad emulare il modello coronato: così nel 1732 venne inaugurato in città il Teatro Argentina, voluto e fatto realizzare dalla potente famiglia dei Cesarini Sforza, invitati esplicitamente dal re portoghese in persona, convinto della bontà di questo genere di politica.

In segno di omaggio a colui che aveva ispirato tale iniziativa, venne deciso che i cittadini portoghesi sarebbero potuti entrare gratuitamente alla serata inaugurale: sarebbe stato sufficiente che avessero dichiarato la loro nazionalità all’ingresso.

Una volta girata la voce, agli spettacoli successivi, nei quali erano state mantenute le medesime modalità organizzative, ci fu una folla di romani che si presentò alle casse provando a dichiararsi portoghese e a blaterare qualche parola in una lingua che non conosceva.

Ecco perché da allora, quando qualcuno prova ad imbucarsi dove non gli sarebbe consentito l’ingresso, lo si definisce portoghese.