Erika: dal 2018 porto l’arte culinaria indiana in Italia”

A cura di Maricla Pannocchia

“Quelli in India sono stati gli anni più spensierati della mia vita” racconta Erika, che si definisce un po’ nomade e senza delle origini ben precise, “Del resto, avevo tra i 20 e i 30 anni e quelli sono gli anni formativi per qualsiasi persona. Viaggiavo zaino in spalla, entrando in contatto con le persone del posto e con altri viaggiatori. A quei tempi, non potevo contare su Internet come facciamo adesso.”

Durante quei mesi di viaggio in solitaria, Erika ha esplorato l’India, ha studiato una danza tradizionale all’università ed è entrata in contatto con la cucina locale. “Dopo la morte di mio padre, ho sentito che quello era il momento per rientrare in Italia e rimanervi” continua la donna, che ora abita a Cesenatico. Lì, nel 2018, Erika ha dato vita a un HomeRestaurant che, con il passare del tempo, è diventato un vero e proprio progetto ben strutturato dal nome “L’India in diffusione – cultura e tradizione”, nel quale sono state inseriti l’attività di personal chef a domicilio, corsi di cucina indiana e collaborazioni varie con locali o per l’organizzazione di eventi a tema.

In futuro, Erika continuerà a far conoscere la cucina indiana in Italia e chissà che, un giorno, non rimetta piede nella sua amata India!

Erika Scotton

Ciao Erika, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, mi chiamo Erika Scotton e sono una donna sognatrice, creativa e determinata, amante della bellezza in tutte le sue forme, in particolare della bellezza a tavola. Da buona forchetta a cuoca etnica vegetariana il salto è stato breve. Dire da dove vengo è sempre difficile per me, non ho delle vere e proprie radici, diciamo che queste sono tra Veneto e Lombardia. Ho vissuto un po’ da nomade nella provincia di Milano, poi tra le montagne bergamasche. In seguito, ho viaggiato per diversi anni in India per poi finire (ormai direi stabilmente) a Cesenatico, in Emilia Romagna.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Ero poco più che una ragazzina quando ho viaggiato per la prima volta verso l’India. Era l’ormai lontano 2003 e avevo 23 anni. Le ragioni che mi hanno portata in India trovano la loro origine nel famoso “richiamo.” In India ci si arriva solo grazie a questo, anche se apparentemente ci sembra di deciderlo. In realtà, l’India chiama e quando il momento è quello giusto, allora si parte!

Dal 2003 al 2010 hai vissuto lì. Dove, precisamente? E cosa ti ha portata proprio in quelle zone?

Inizialmente è stato un viaggio di scoperta. Ricordo che, la prima volta, sono arrivata di notte e sarei voluta tornare indietro il giorno dopo, poi, invece, il risveglio pieno di colori, di brio e di stupore mi ha permesso di continuare il viaggio, che ancora non sapevo dove mi avrebbe portata. Ho esplorato diverse zone dell’India, dall’Himachal Pradesh al Rajhastan ma anche Punjab, Madhya Pradesh, karnataka, kerala e Tamil Nadu. Stavo in viaggio per 6/7/8 mesi, rientravo in Italia e ripartivo. A un certo punto ho conosciuto la danza indiana kathak, originaria del Nord India. Allora mi sono trasferita a Varanasi, nell’Uttar Pradesh, per studiare sotto la guida di una guru indiana, prof. Ranjana Srivastava ji, e per iscrivermi all’università della quale ai tempi lei era preside, la Banaras Hindu university, dove ho studiato nella facoltà di performing art, dance department.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Alcune amicizie le ho perse un po’ per strada, il non essere presente non aiuta i rapporti. Altre amicizie iniziate in India, anche con altri italiani, sono tuttora presenti nella mia vita. La mia famiglia mi ha sempre sostenuta, nonostante sentisse la mia mancanza. I miei genitori erano felici per me e della mia stessa felicità.

Come ti sei organizzata prima della partenza?

Prima della partenza ho studiato, ai tempi non c’era Internet “in tasca”. I miei viaggi erano zaino in spalla, facevo dei programmi flessibili che potevano cambiare in base a chi incontravo, alle storie che sentivo e a come volevo proseguire il viaggio. Seguivo il flusso e ho sviluppato un altissimo spirito di adattamento. Poi c’è da dire che in India, tra viaggiatori, ci si aiuta parecchio.

Di cosa ti occupi?

Grazie all’esperienza in India, ho approfondito la mia passione per la cucina e le spezie. Ho portato l’India a casa, in Italia, perché è di cucina indiana che mi occupo.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Io in India studiavo, però ho visto diversi italiani aprire attività (sopratutto di cucina) con l’aiuto dei locali. Sicuramente non è facile ma nemmeno impossibile!

Come descriveresti la vita che facevi in India?

A quei tempi ero nell’età più bella, tra i 20 e i 30 anni, quella in cui una persona si forma. Io oggi sono il risultato di tutte le esperienze vissute allora. Grazie all’età che avevo, posso descrivere quel periodo come il più spensierato della mia vita. Visitavo posti nuovi e incontravo amici, studiavo, praticavo la danza 6/7/8 ore il giorno, andavo a lezione, passavo il tempo con amici sia locali sia occidentali e cucinavamo insieme e casa mia. Anche allora, come oggi in Italia, casa mia era il ritrovo per condividere cibo, storie, chiacchiere e imprese quotidiane. È stato proprio bello!

È stato facile integrarti nella vita delle persone del posto?

Fortunatamente sì, la vita nella zona dove vivevo (Assi Ghat a Varanasi), era un microcosmo e ci si conosceva tutti. Ci si aiutava, ci si sosteneva. I locals mi hanno aiutata molto a integrarmi, con alcuni di loro praticavo lo studio della lingua, con altri cucinavo, qualcuno mi ha aiutata nella burocrazia per l’università, qualcun altro anche solo per acquistare una Sim del telefono. Le donne indiane, poi, si divertivano a vestirmi con le sari, gli abiti tradizionali lunghi diversi metri che si arrotolano con maestria attorno al corpo con diverse pieghe. Mi truccavano e mi ornavano come se fossi una di loro.

Sono passati tanti anni da quando sei rientrata in Italia, sei più tornata in India in quest’arco di tempo?

L’età dell’India era la più spensierata, come detto sopra, anche perché partivo con la tranquillità di due genitori giovani e in salute a casa, in Italia. Poi sono iniziati i primi problemi di salute di mio papà e in seguito la sua morte. Essendo figlia unica, non me la sono più sentita di andare così lontano per un tempo indeterminato, motivo per cui ho portato l’India in Italia, per sopperire alla mancanza che sentivo e che sempre sentirò. il mio progetto lavorativo è la mia cura al mal d’India. Con questo non intendo dire che non ci tornerò più ma solo che quello era il tempo di andare e questo è, invece, il tempo di stare. Con tutta la consapevolezza e la felicità di essere esattamente dove sono, nel qui e ora. Quando i tempi saranno maturi, ripartirò, magari non più per lunghi periodi ma sicuramente un giretto lo farò ancora volentieri!

Quell’esperienza ha fatto sì che tu avviassi il tuo ristorante in casa di cibi indiani. Come ti è nata questa idea?

Nel mio caso è nata prima la richiesta dell’offerta. Cucino indiano da più di vent’anni ormai ma è diventato un vero e proprio lavoro a partire dal 2018. Le persone hanno iniziato a chiedermi se potevo cucinare per loro. Mi sono informata e ho scoperto l’esistenza dell’HomeRestaurant come attività occasionale. E così tutto ebbe inizio, con “L’India a Casa mia”. Poi, con il tempo, l’idea ha avuto i suoi sviluppi, ho fondato “L’India in diffusione – cultura e tradizione” aprendo Partita IVA come libera professionista e inserendo l’attività di personal chef a domicilio, corsi di cucina indiana e collaborazioni varie con locali o per l’organizzazione di eventi a tema.

Come hai fatto a passare dal sogno alla realtà? Penso alla burocrazia…

Mi sono affidata alla cara amica ed ex compagna di scuola Ilaria Saibene, commercialista affermata con uno studio a Rimini. Non c’è ancora una legge sull’HomeRestaurant, esistono però delle linee guida che variano da regione a regione. Gli steps da fare sono simili a quelli per l’apertura di un locale. Non è stato facilissimo.

Quali sono, secondo te, i piatti indiani più facili da preparare?

La cucina indiana non è difficile, a dispetto di ciò che si può pensare comunemente. La difficoltà maggiore è quella di conoscere le spezie e saperle utilizzare. Tra i piatti più semplici potrei pensare al Daal-Chaval, una zuppetta speziata di lenticchie accompagnata da riso basmati profumato. Oppure il Chapati, tradizionale pane indiano simile alla piadina fatto con farina, acqua e sale e cucinato sulla piastra dopo essere stato spento.

E quali quelli più gustosi?

Tutti i piatti indiani sono gustosi, dai curry di verdure ai sabzi (verdure saltate in padella) passando per il famoso riso Veg. biryani (riso con verdure, frutta secca e spezie) ma, senza dubbio, quello che fa davvero impazzire tutti è lo street food. Samosa, pakoda, vada e kachori, sono solo alcuni dei piatti più gustosi. Io poi vado matta anche per il cibo del Sud India, il dosa per esempio, una specie di crêpe fatta con pastella fermentata di riso e legumi e poi cotta sulla piastra, è un must da provare ma difficile da trovare nel nostro Paese, quindi bisogna imparare a farlo!

Cosa caratterizza la cucina indiana?

Prima di tutto le spezie con aromi, profumi e sapori, poi i giochi di contrasto tra sapori e consistenze. Un viaggio attraverso la cucina indiana è interessante per qualsiasi chef ma non solo.

Che servizi offri ai tuoi clienti?

Sono partita nel 2018 con l’attività occasionale di HomeRestaurant, aprendo quindi la porta di casa per serate all’insegna del cibo indiano da condividere. Gli ospiti mi contattano e decidiamo insieme la data per la loro cena oppure, saltuariamente, lancio io delle serate e chi vuole si aggrega. È qui che il cibo diventa anche condivisione, un modo per conoscere nuove persone che solitamente hanno le mie stesse passioni e quelle degli altri partecipanti a queste serate.

Il cibo è anche un modo per avvicinarsi a un’altra cultura. Quando vivevi in India, ti è mai capitato di scoprire meglio qualcosa della sua cultura proprio grazie al cibo? Per esempio, cenando con una famiglia del posto…

Assolutamente sì! È capitato spesso di condividere cibo con famiglie locali, addirittura si cucinava insieme. In alcuni casi è stato uno scambio culturale, io ho insegnato loro a fare gnocchi e tagliatelle, loro hanno insegnato a me i segreti di questa meravigliosa cucina. In India il cibo è considerato sacro, Dio si manifesta agli affamati attraverso esso. Il cibo viene portato alla bocca con la mano destra, considerata pura (energeticamente parlando) e tutte le azioni più nobili vengono fatte con la mano destra: offerte, scambio di denaro, la preparazione e consumazione del cibo… Alla mano sinistra, invece, spettano le azioni meno pure, come, per esempio, l’igiene e la pulizia.

Erika Scotton cucina indiana

Come ti sei mossa per trovare un alloggio, quando vivevi in India?

Viaggiavo zaino in spalla, mi consultavo con altri viaggiatori e, quando arrivavo a destinazione, trovavo sempre una camera. Se non ero soddisfatta, avevo tutto il tempo di muovermi da lì per esplorare e trovare di meglio. A volte telefonavo un po’ prima per essere certa di avere il mio alloggio disponibile. Trovare un alloggio non è mai stato un problema.

Spesso, quando sentiamo parlare di India, ci sono tanti discorsi sulla sporcizia e la scarsa sicurezza, specialmente per le donne in solitaria. Qual è la tua opinione al riguardo?

L’India è certamente sporca ma questo non vuol dire che gli indiani lo siano. Anche solo per religione, i locals hanno l’abitudine di lavarsi all’alba prima della puja, la preghiera mattutina, e tengono molto all’igiene personale. Ho visto anche i senza tetto lavarsi alle fontane, pure con un clima tutt’altro che caldo. Alle donne sole, consiglio di essere rispettose e decorose nell’abbigliamento, senza scoprire spalle e gambe. Io non mi sono mai trovata in situazioni ambigue o pericolose.

Che consigli daresti ad altre persone che vorrebbero avviare un’attività come la tua?

In primis, consiglio di non avere paura, poi di studiare e di passare più tempo possibile con le persone del posto, per entrare nel vivo della loro cultura. Per la burocrazia, invece, suggerisco di affidarsi a un buon commercialista.

Com’è una tua giornata tipo?

Non ho eventi tutti i giorni e non tutti i giorni sono uguali. Riesco a distribuire i tempi tra lavoro e impegni personali. Quando devo preparare una cena, solitamente faccio la spesa il giorno prima, per essere certa di potermi dedicare completamente alla cucina il giorno seguente. Il menù è composto da una decina di pietanze quindi mi sveglio molto presto e cucino per 7 o 8 ore per preparare tutto, con qualche pausa tra la preparazione di una pietanza e l’altra. Quando è tutto pronto, mi dedico a preparare la sala e l’accoglienza. Quando arrivano gli ospiti, il viaggio culinario e sensoriale ha inizio. Per i corsi di cucina, invece, inizio a prepararmi qualche giorno prima organizzando le dispense, procurando tutti gli ingredienti, ordinando dei gadget e stampando gli attestati. C’è qualcosa da fare tutti i giorni. Alcune giornate sono più intense, altre più rilassanti.

Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

La difficoltà principale è stata quella di superare i pregiudizi riguardanti il cibo indiano che spesso viene definito “troppo piccante, troppo speziato”. Anche in India, la cucina di casa è molto equilibrata e l’uso del peperoncino può essere facoltativo o comunque dosato. Supero questa difficoltà, che puntualmente si ripresenta con i più scettici, spiegando, appunto, che cucino “su misura” seguendo i loro gusti e le loro richieste.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

La gioia più grande è quella di far assaggiare il cibo che preparo a persone che, come me, sono state in India. Sentirmi dire che gli pare di essere di nuovo là grazie ai sapori autentici è sempre una grande soddisfazione per me. Affascinare chi, invece, non è mai stato in India, è altrettanto gioioso e soddisfacente.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Ripeterei tutto tale e quale, dalla A alla Z!

Cos’hai imparato, finora, grazie alla tua esperienza in India?

Ho imparato la pazienza, ad aspettare il momento giusto e a non giudicare. Ho appreso il non attaccamento, anche come protezione personale. Ho imparato a lasciar andare. Ho imparato a fare offerte di cibo davanti a qualcuno che non può permetterselo, perché offrire cibo ai bisognosi, secondo la filosofia induista, è il modo più nobile per innalzare la propria anima. Ho imparato che non ci sono risposte a ogni domanda. A volte le cose sono come sono semplicemente perché devono essere così! Difficile da accettare per noi occidentali, che cerchiamo sempre una spiegazione a tutto.

Progetti futuri?

Sicuramente continuare a diffondere la cultura indiana attraverso il cibo. Nel futuro prossimo, poi, la casa editrice Macro Edizioni, pubblicherà un mio piccolo libro che parla di cucina, sentimenti ed emozioni. Non vedo l’ora di averlo tra le mani!

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