Quella bellezza architettonica e imperfetta, quel vago accento italiano dei figli e nipoti dei nostri emigranti, quella semplicità che si trova ancora, in una metropoli caotica dell’emisfero australe, ma così europea da farci sentire a casa, le ha riviste due anni dopo e da allora non è più tornata a casa, a Matera, dove è nata. “Ero proprietaria di un sasso, l’ho venduto e non ci ho fatto nemmeno un grande affare, poi mi sono trasferita”. Diplomata in arte, Cristina è vissuta anche a Roma e Firenze, ma è stata Buenos Aires la città che l’ha accolta come fosse una seconda patria. Anche lei emigrante nella terra che dalla fine dell’800 ha accolto 3 milioni di italiani, ma con una nuova saggezza e nuove pretese giovanili: “In Italia mi sentivo triste. Non ne potevo più di Berlusconi e del non sentirmi viva”. Nel quartiere dell’Abasto, dove gli italiani dei primi del ‘900 vendevano frutta e verdura nel grande mercato oggi diventato un moderno centro commerciale, Cristina ha scovato un vecchio almacen, una drogheria con le mattonelle di pietra bianche e nere e l’ha trasformato in un bar bohemienne senza cambiare quasi niente.

Le pareti sono state dipinte di color rosso impero, i tavolini sono gli stessi di legno antico, c’è una libreria, lampade che pendono dal soffitto e un’atmosfera rilassata, di lettura, lavoro in internet (c’è la connessione wifi) e buon cibo casalingo. Niente di italiano, però. Il cuoco è messicano, la cucina è argentina. I quadri e i libri sono stati regalati dalla gente del barrio, il quartiere dell’Abasto, in calle Bilinghurst 894, a pochi blocchi dalla avenida Corrientes, la strada dei teatri e delle librerie, un tempo la più rinomata via di colti letterati, artisti e poeti di Buenos Aires. Sua sorella Lucinta, due anni più giovane, l’ha raggiunta qualche mese dopo: “Pentita? Niente affatto. Qui sono rinata”

Cosa vi manca dell’Italia?

“Gli amici, ma qualcuno è già venuto a trovarci. La mozzarella l’abbiamo trovata anche qui, o per lo meno è quella che più assomiglia alla nostra. Mi manca un po’ la scamorza. Con la mamma ci sentiamo al telefono tutti i giorni. Non sono più tornata a casa, verrà lei a trovarci adesso che è pensionata”.

Nel bar Musetta, la civettuola di Puccini che calza a pennello con il carattere di Cristina, che l’ha inventato, però non sono tutte rose e fiori.

BAR MUSETTA matera

“Abbiamo subito tre rapine in pochi mesi con pistola e minacce, ma ce la siamo cavata senza troppi danni”.

Buenos Aires ha una microcriminalità alta e i negozi come il bar Musetta, con grandi vetrate angolari, sono presi di mira anche da banditi solitari. Ma le due sorelle, che lo gestiscono da sole facendo i turni (con l’aiuto di tre dipendenti in sala e cucina) non hanno cambiato idea: “Qui stiamo benissimo”. L’inflazione a Buenos Aires è forte, e anche loro sono costrette ad aumentare i prezzi, ma un pranzo di mezzogiono a 32 pesos (oggi sono 6 euro), lo rende accessibile a diverse fasce sociali e soprattutto ai tanti ragazzi stranieri in vacanza del vicino ostello.

Tra i clienti affezionati ci sono i vecchi figli di italiani che vanno a bere un caffè e giocare a carte, ma anche i tanti argentini colti che il martedì e il sabato sera vanno ad ascoltare buona musica di tango dal vivo o una piece teatrale improvvisata nel piccolo locale.

“Non abbiamo ancora ottenuto i permessi per mettere la musica, intanto ci arrangiamo abbassando le saracinesche”.

Cristina e Lucinta non hanno neppure il permesso di restare nel paese e ogni tre mesi dovrebbero uscire per mettere il visto sul passaporto nella vicina Uruguay. Non se ne preoccupano: “Si paga la multa se passa più tempo e non succede niente. Per ora non possiamo ancora permetterci l’assunzione in regola per avere il permesso di lavorare qui”.

Cristina ha trovato un fidanzato argentino, Lucinta non ne vuole sapere: “Non penso affatto al matrimonio, e se mi sposerò sarà solo per ottenere la cittadinanza”. Intanto, anche lei diplomata in arte, ha seguito un corso a Buenos Aires per imparare a fare le scarpe artigianali: “Disegno quello che mi viene in mente, per ora sto ancora studiando, un giorno spero di venderle”. Al bar delle “musette” si va volentieri. Così come la maggior parte degli argentini, anche loro sono affettuose, cordiali e gentili, trentenni che nella mediocrità italiana si spegnevano, e nel poter fare, anche se serve coraggio e fatica, sono state spinte a creare e adattarsi alle difficoltà di una città dura che però ripaga in rapporti umani.

Cristina e Lucinta hanno portato, tra le case e le vie un po’ fatiscenti del quartiere del cantante Carlos Gardel, un pizzico di modernità nello stesso stile parigino che caratterizza buona parte di Buenos Aires e un’atmosfera dell’Italia che non c’è quasi più: “Speriamo che non vengano a vivere qui troppi italiani” scherzano. Ma forse non troppo.

Bruna Bianchi